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ANGELICO APROSIO

(1607 - 1681)

Ecco un secentista convinto che spese tempo, fatica, erudizione considerevoli in una zelante e strenua difesa del Marino. In sostanza, l'Aprosio si riduce a dire che sono belle tutte quelle arditezze stilistiche, quelle stravaganze, quei concetti, quelle metafore di cui altri moveva rimprovero al poeta dell'Adone, e di solito adduce poi esempi classici per mostrare che si tratta di gemme buone, non false. Insomma, la poesia del Marino corrisponde al suo gusto, e il suo gusto corrisponde allo spirito, che si potrebbe dire malato, del tempo l'arte è specchio sincero di quella malattia : non è arte legittima dunque, come arte? L'Aprosio è critico fedele al suo secolo, di cui si fa paladino. Può servire come tipo rappresentativo, anche se scarso è il suo valore.

UN SECENTISTA DIFENDE IL MARINO (1)

Fin qui ci siamo impiegati, Signore Stigliani (2) in rispondere alle opposizioni fatte, intorno a' precetti dell'arte poetica, all' Adone del cavalier Marino: ed abbiamo mostrato, e con ragione e con autorità di critici famosissimi, che è uno; compiuto, cioè che ha principio, mezzo e fine; di giusta grandezza; bene episodiato, ravviluppato; credibile; vario, e negli accidenti de' personaggi e nella locutione; e che insomma ha tutte quelle condizioni che deve avere un buon poema. Rimane ora che mo

(1) Del Veratro Apologia di Sapricio Sapricii (Angelico Aprosio). In Venetia, 1647. Passim (2) Tommaso Stigliani, l'autore dell'Occhiale, critica acerbissima contro l'Adone, autore anche del Mondo nuovo, il poema di Colombo,

striamo, che le opposizioni fatte a ciascuna stanza, anzi a ciascun verso, sono di nessun rilievo e fatte (per così dire) sognando. Voglio nondimeno, che in questo mentre sappiate che a bello studio si lascieranno passare molti luoghi senza risposta: e questi sono quelli ne' quali dite: << versi bassi »; <<< versi tolti al mio Mondo Nuovo »; « versi imitati dal Sissa o dal Vannetti », e simili. Si trapasseranno parimenti molti luoghi, ne' quali stimate errore quello che in nessun modo può essere, nè tenuto per tale. ... Le metafore che stimate ardite, m' ingegnarò mostrarvele ad una ad una in autori antichi e di prima classe (come si suol dire), o portando le loro parole, od accennando i luoghi dove si leggono. Se io poi in rispondendo darò qualche risposta, che al gusto vostro paresse aver dell'amarognolo, dovrete ricordarvi (se mai leggeste il Boccaccio nella Nov. 10 della 5 Gior.) che qual asino dà in parete, tal riceve. Colui che stuzzica il vespaio, se è punto dalle vespe, deve incolparne se stesso, e non quegli animaletti. Se amore non fosse andato a turbar le api mentre fabbricavano il mele, non avrebbe avuto occasione di esclamare:

Quum sit apis tam parvum animal, quibus artibus utens Viribus exiguis vulnera tanta facit?

Che fastidio vi dava il Marino, che doveste siffattamente maltrattarlo? A che fine voler far l'Occhiale? Per mostrare gli errori del Marino? Or notate....

Dimmi, quel tosco ond'ogni core appesti,
Aspe di Paradiso, onde traesti?

Quando non sapete che dire, per mostrar di sapere, vi mettete a censurar le metafore, riprendendole come ardite. I vostri occhiali vi fanno veder le cose in maniera diversa da quel che sono. Abbiatevi cura, che se non ve l'avete vi faranno perdere il midollo del cranio: e se 'l perdete, non si ritroverà quel chirurgo che medicò Raguetto nella Fede costante del Raimondo, che con una minestra di pancotto restituiglielo. Ditemi per cortesia, in che consiste la ridicolosità e l'arditezza? Io per me non so vederla; e però non facendola vedere vi mostrate degno

di pianto e di compassione, come uomo che parli dormendo e trasognando. E tanto più quando dite, che il termine di « Paradiso » in bocca di Dei gentili non è verisimile, e di più indizia poca riverenza in autor battezzato. L'ignorarsi da voi il significato di questo nome cagiona una siffatta opposizione. E perchè prima di segnarla non vi consigliaste col Calepino? dubitavate forse, che quel buon frate non ve l'avesse insegnato? Andate pur da lui, che vi dirà Paradisus, vox deflexa est ab hebraeo Pardes, ut quidam volunt, quod hortum domesticum significat, sive pomarium.

E con roco latrar morde la sponda.

Questo verso è una gemma poetica, e voi novello gallo d'Esopo lo conculcate con dire: «Parlando dell'acqua, che batte il lito. Tre metafore, cioè roco, latrare, e morde ». Le metafore moltiplicate in un verso, purchè non formino enigma, cioè che non generino oscurità, sono lodate da' critici e da' retori. Avendo detto Catullo nell'Epig. in lode del Fasello

nam Cythorio in jugo

Loquente saepe sibilum edidit coma,

dice il dottissimo Mureto nel Com. sopra questo luogo, a car. 16, dell' Edit. d'Anversa fatta da Egidio Radeo l'anno 1582, in 8: Catullus tres hoc versu metaphoras permiscuit, nam et comam dixit pro frondibus, et comam loquentem; et postremo sibilum a serpentibus mutuatus est. E Virgilio nell' Egl. III ver. 26....

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Se aveste saputo, che in questo luogo si fa prosopopea delle Tempeste, e che s'inducono come idoli, non sareste trascorso in considerazione così inconsiderata. Ma ditemi: e perchè non vi dà fastidio, che si mettano i Venti ne' ceppi, e vi dà fastidio che s' inchiodino le Tempeste? Non avete letto in Virgilio, che Eolo le lega, ed imprigiona? Rex Aeolus antro

Luctantes ventos, tempestatesque sonoras
Imperio premit, ac vinclis et carcere frenat,

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pare a me, che dica nel I. dell'En., ver. 56. Or se Virgilio fa che le leghi, perchè non può fare il Marino che le inchiodi? Il Gallaccini, citato da me più volte nella Sferza Poetica, risponde: Se lo Stigliani per la metafora «< inchiodare », avesse inteso « fermare », non avrebbe usata sì mordace censura. Al certo.

E là dove de l'acqua augei squamosi.

E pur seguitate col vostro solito giudizio di riprender le metafore! Non me ne maraviglio però, perchè essendo stato testè nella fucina di Volcano, il fumo di quella vi ha annebbiato alquanto il cervello. Era però meglio nel passare alle acque del mare, che prima di dir altro vi lavaste in quelle, che forse non vi sarebbe venuto voglia di scrivere: «Che i pesci siano squamosi augelli dell'acqua è metafora ardita tolta da quella contraria del Vannetti, il quale chiamò gli uccelli

Pennuti pesci dell' aereo mare ».

Dove consiste l'arditezza? non hanno eglino forse le ali come gli uccelli? Ma di questo parleremo più a lungo.

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Il non essere stato inteso questo luogo da voi, ha cagionato questo trascorso di penna: «Metafora non buona, perchè il cielo della terra è il cielo istesso, e non altra cosa ». Vuol dire Adone in suo linguaggio: «Questa è la maggior delizia che sia in terra ». Intendete voi? Fate non ve lo scordiate, perchè non ve lo dirò più se non a cavallo.

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Con voce di diamante e stil di foco
Cento lingue di acciar ne dirian poco.

Voi non giudicate, che la voce di diamante e lo stile di fuoco stiano bene, perciocchè non essendo il diamante cosa di gran suono, nè il fuoco cosa somigliante a stile, non se ne può formar dal lettore concetto alcuno. Ed io giudico che sì, perchè il Poeta non vuole voce da suono:

ma voce ferma, stabile, infrangibile appunto della natura del diamante. Ricerca stile di fuoco, perchè siccome questo elemento fra tutti gli altri è il più attivo, così vorrebbe, che 'l suo stile fosse attivo, cioè penetrante, efficace ed ardente. Se poi la mia sposizione non vi piace, non so che dirmi : piacerà forse ad alcuno, che non si serva de gli occhiali verdi d'una malnata passione.

L'occhiuto augel rassomigliava a l'ali,

Che di varie fiorian gemme immortali.

Potevate avanzar di dire, che « fiorir di gemme » sia metafora complicata ed impropria, dandone l' onore al Vannetti, perchè Lucrezio, che nel comporre è molto più accurato di voi, disse nel lib. V, ver. 911:

Aurea tum dicat per tempus flumina vulgo
Fluxisse, et gemmis florere arbusta.

O quanto, o quanto avreste fatto meglio, invece di Buovo a leggere i poeti latini, ed i greci, almanco latinizzati, che non errareste così sovente!

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