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cerca di esprimere altro che lo strepito e il romore di ben risonanti vocaboli.

Largamente ancora spiegò le piume del suo ingegno Dante, il quale felicemente ardì di sollevare le forze del suo spirito all'alto disegno di descriver fondo a tutto l'universo, sicchè in un'opera non solamente le umane e le civili cose, ma le divine e le spirituali mirabilmente comprese. E fu egli così avventuroso in questa impresa, che gli riuscì di esprimere al vivo con incredibil brevità et evidenza tutti i costumi, le condizioni e gli affetti, con parole pregne d'immagini e con colori poetici si gagliardi e vari, che scolpiscono i genj, gli atti, i pensieri e i gesti di tutte le persone. Onde si vede in un poema tentato ogni genere di poesia, ogni maniera di dire, ogni stile, ogni carattere, con parole tali, che spesso si cangiano nel proprio essere delle cose.

c) – CONTRO I GENERI LETTERARI E PER LA LIBERTÀ INVENTIVA DEL POETA.

Da quanto fin qui si è ragionato, si può riconoscere, quanto sia stata tramutata da' primi concetti, e trasformata dalla sua antica immagine la poesia, e come tal facultà venga ristretta dagli ambiziosi e avari precetti: in modo tale che non può uscire alla luce opera alcuna, che non sia subito avanti il tribunale de' critici chiamata all'esame e interrogata in primo luogo del nome e dell'esser suo sicchè si vede tosto intentata l'azione, che i giuriconsulti chiaman pregiudiziale, e si forma in un tratto controversia sopra lo stato di essa: se sia poema, o romanzo, o tragedia, o comedia, o d'altro genere prescritto. E se quell' opera travia in qualche modo da' precetti nati dalla falsa interpretazione della dottrina di Aristotile (perciocchè non fu al certo la di lui mente ampissima in così breve giro costretta) e se vi è cosa che non si possa agevolmente ridurre a quelle definizioni vogliono tosto che quell'opera sia bandita e in eterno proscritta. E pure, per quanto scuotano e dilatino i loro aforismi, non potranno comprender mai tutti i varj generi de' componimenti che il vario e continuo moto dell'umano ingegno può produrre di nuovo. Onde non so perchè non si debba

torre questo indiscreto freno alla grandezza delle nostre immaginazioni, e aprirle strada da vagare per entro quei grandissimi spazi, ne' quali è atta a penetrare.

.....

Non siamo noi così mali estimatori del tempo, che ci curiamo d'indagare a qual genere di poesia si possa ridurre quest'opera per sodisfare alle dimande di quei che si fanno legge e norma di pure voci. Non so, se ella sia o tragedia, o comedia, o tragicomedia, o altro, che i retori si possan sognare. Ella è una rappresentazione dell'amore d'Endimione e di Diana. Se quei vocaboli si stendon tant'oltre, potranno anche accoglier questa nel loro grembo se tanto non si dilatano, potrassene rintracciare un altro, chè diamo a ciascuno la facoltà in cosa che nulla rileva; se non s'incontra vocabolo alcuno, non vogliamo noi, per mancanza di nome, privarci di cosa sì bella.

Nè meno esamineremo, se egli abbia esposta fedelmente la favola, e se la favola si può alterare e quando e dove e come. Non so io ancora il tenore di queste leggi, nè mai mi è tanto abbondato l'ozio, che avessi potuto alla considerazione di esse trascorrere. Per quel che posso prontamente raccogliere nella memoria intorno all'uso degli autori gravi, osservo bene in essi grand'alterazione e diversità di una favola medesima. Fu in su 'l principio la comedia una rappresentazione della pura verità, esponendosi in su le scene qualche fatto particolare de' cittadini: lasciatosi poi il vero, con maggiore sodisfazione del popolo, gli scrittori si volsero al finto. Non così nella tragedia avvenne; imperocchè trattandosi di grande e maestoso successo, fu stimato necessario che avesse radice o nel vero, o in quel favoloso che era sì fisso negli animi, che del colore del vero si vestiva. Ciò però non fu sì rigidamente dagli scrittori osservato, che in molti e varj successi non avessero eglino o aggiunto alla comune opinione, o scemato, o con variazioni di luogo e di tempo e di modo tra loro stessi discordato. Riferisce Aristotile, che Medea non uccise mai i figli, ma che tutto ciò sia stato inventato da Euripide. Appo Sofocle nell'Edipo Jocasta muore di laccio: appo Seneca di ferro. Sofocle et Euripide scrissero ambedue l'Elettra: ma l'un di loro la fa sempre durare in casa vergine: l'altro la marita in villa. L'istesso Euripide nelle Troadi fa sacrificar Polissena sul sepolcro d'Achille, nell'Ecuba fa sacrificarla in Tracia. E

molti altri simili esempj si potrebbero da noi riferire intorno a tal punto. Quale opinione intorno a ciò si abbia avuta Aristotile, in vero dalle sue parole non mi dà il cuore di rintracciare. Credo ben esser suo sentimento, che non sia lecito distrugger le favole, alterando la sustanza e quel che è fisso nel concetto comune: e che all'incontro, in quel che gli scrittori tralasciano e ove niuno può essere convinto di falso, possa il poeta fingere liberamente e condurre il filo nella maniera che più si conviene alla tela e al modo che tesse. Ma, se abbia egli voluto intendere questo, o altro, ciò nulla rileva, perchè, essendo sentimento retto da ferma ragione, non è necessario che sia su l'autorità d'alcuno appoggiato; imperocchè dovendo il poeta co 'l finto accennare il vero e acquistarsi fede con la similitudine di esso, non ha dubbio, che quando si narra cosa contraria alla credenza comune e invecchiata, la fede altrui si diverte, e si genera non so quale acerbità di senso; e perciò alterar le cose nella sustanza non si conviene: il che non è così nelle altre parti, le quali, essendo state dagli scrittori taciute, rimangon sottoposte all'ampissima giurisdizione che hanno i poeti nello inventare.

Or quel che l'antiche favole su 'l presente fatto ne porgono è, che Endimione fosse stato amato dalla Luna, e da lei su 'l Latmo, monte di Caria, addormentato: ma come questo amore fosse nato, e quel che dopo fosse avvenuto, tutto soggiace al pieno arbitrio dell'invenzione altrui. Perciò, se il Poeta ha finto che Endimione sia stato il primo ad amare, si è usato della sua facultà. Et il dar principio all' amore dalla persona d' Endimione consente più coll'istoria, la quale narra che questi fosse il primo indagatore del corso della Luna. L'esser poi stato rapito al cielo non può da niuna testimonianza esser contraddetto o rifiutato; perciò nè meno dee tal successo alla libera facultà dell'invenzion poetica esser sottratto (').

(1) Segue l'analisi del dramma, fatta in qualche punto con tale finezza di ricostruzione, da poter giudicare che certamente le pagine del critico valgono di più, come opera d'arte, che non la convenzionale composizione del poeta. Varrebbe la pena di leggere queste pagine, anche per ricredersi un poco al riguardo della universalmente calunniata fantasia di piombo » del Gravina.

RITRATTI LETTERARI (1)

OMERO.

Omero perciò è il mago più potente e l'incantatore più sagace, poichè si serve delle parole non tanto a compiacenza degli orecchi, quanto ad uso dell'immaginazione e della cosa, volgendo tutta l'industria alla espressione del naturale. Ei trascorre talora al soverchio, talora mostra d'abbandonare; ma poi per altra strada soccorre; sparge a luogo e tempo opportuno formole e maniere popolari nei discorsi che introduce; si trasforma qual Proteo, e si converte in tutte le nature; or vola, or serpeggia; or tuona, ora sussurra, ed accompagna sempre l'immaginazione e 'l successo coi versi suoi, in maniera che fa preda delle nostre potenze e si rende con le parole emulo della natura. Ma perchè molti raccolgono maggior maraviglia dalle pitture quando sono troppo cariche di colore; perciò alcuni gli recano a vizio tutte queste virtù, notate ed ammirate da molti saggi, e propongon per modello del perfetto coloro i quali portano l'arte scolpita in fronte, e che hanno più voglia d'ostentar il fervore della lor fantasia, e l'acume e studio loro, che di persuaderci quel che ci espongono. Ma Omero medesimo ha espresso il carattere suo, e quello di costoro per bocca d'Antenore, se ben mi ricordo, quando narra l'ambasceria de' Greci appresso i Trojani, fatta da Menelao e da Ulisse, per ottener Elena Dice Antenore, che primo a parlare fu Menelao il di cui ragionamento era assai ben acconcio e terso ed ornato. accompagnato da una azione ordinata ed esatta, assai piacevole agli ascoltanti, e che, all'incontro, Ulisse stava col pallio abbandonato, e teneva il bastone in maniera negligente, ed al principio parlava, per così dire, alla buona; ma che poi nel progresso del suo ragionamento si sentirono da occulta forza occupare i sensi e la ragione. E fu rassomigliato il di lui parlare alla neve, che cade in copia, ma senza strepito.

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SOFOCLE.

Il luogo di Eschilo solo a Sofocle stimò Aristofane convenire, affatto escludendo Euripide, della di cui gloria era invidioso molto Aristofane. La sublimità dello stile di Sofocle, lo splendore delle parole, la novità delle legature, le maniere grandi tanto di concepire quanto di esprimere, l'artificiosa tessitura con la quale fa conoscere agli ascol tanti non solo quel che si fa, ma quel che si presuppone fatto senza riferirlo, i numeri esatti e temperati, le scene sì ben compartite, la maraviglia di dentro la cosa medesima eccitata, la dissimulazione d'ogni artifizio e d'ogni erudizione, hanno fatto riconoscere in Sofocle senno pari ad un grande imitator di Omero, e saggio amministrator della repubblica. Ritiene egli la sua natural maestà quando anche tratta gli affetti più teneri, e qual tempestoso mare fassi orribile quando è portato a mover terrore. È cosi accorto ed attento nella più fina imitazione dei costumi, che nè per impeto d'ingegno, nè per gagliardezza d'immaginazione dalla giusta misura trascorre. Si contiene si mirabilmente, e si libra tra l'artificioso e 'l naturale, che il frutto della sua migliore industria sembra il più vivo parto della natura. Di rado fa filza di sentenze, nè fa pompa alcuna di dottrine, ma tutte in sugo le converte, e le stempra per entro della sua favola come sangue di quel corpo; e, più col fatto che con le parole, ammaestra l'umana vita. Quanto di fuori raccoglie, quanto frappone, tutto serve e tutto obbedisce alla favola; di cui son cosi bene intese le fila, che non accennano cosa di estraneo, in modo che i cori medesimi, ne' quali altri hanno usata qualche libertà nel trascorrere, non paiono innesti, ma rami di quelle gran piante. Ogni sua tragedia è norma della vita civile; ma l'Edipo Tiranno, con ragione tanto celebrata, ascende molto all'insù, e ci offre agli occhi la vicendevolezza delle cose e la potenza del favoleggiato destino, in cui Edipo s'incontra per le medesime strade per le quali volle fuggirlo. E corrisponde così bene l'or-. dine di quella favola alla connessione degli eventi umani, che pare in essa adoperato il metodo geometrico e la meccanica istessa della natura.

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