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Non ti maravigliare, lettore, che io abbia tanti autori alla memoria ridotti; perciò che non possemo giudicare quella construzione, che noi chiamiamo suprema, se non per simili esempi. E forse utilissima cosa sarebbe, per abituar quella, aver veduto i regulati poeti, cioè Virgilio, la Metamorfosis di Ovidio, Stazio e Lucano; e quelli ancora che hanno usato altissime prose, come è Tullio, Livio, Plinio, Frontino, Paulo Orosio, e molti altri, i quali la nostra amica solitudine ci invita a vedere. Cessino adunque i seguaci della ignoranzia, che estolleno Guittone d'Arezzo ed alcuni altri, i quali sogliono costantemente nei vocaboli e nelle construzioni essere simili alla plebe.

FRANCESCO PETRARCA

(1304 - 1374)

Del Petrarca, non c'era dubbio che non fosse qui da riprodurre quella lettera famosa al fratello Gerardo, che ci dà limpidamente, e con più finezza e compiutezza forse d'ogni altro scritto, esposta ed esemplificata la teoria più schiettamente medievale, della poesia come teologia; come teologia ammantata dei pregi d'uno stile nobile, totalmente diverso dal volgare e plebeo, e per legge di numero adorna di grata armonia.

Il pensiero è dunque quello stesso di Dante la giustificazione della poesia non è connaturata ed intrinseca ad essa, ma sta nel suo valore allegorico. E il Boccaccio poi attingerà per l'appunto a questa lettera del Petrarca per ripetere e ampliare la stessa affermazione (vedi qui pag. 46 segg.). Così i tre sommi artisti del nostro Trecento teorizzando sulla poesia esprimono lo stesso concetto, e quasi con identiche parole. Può sembrar singolare, che proprio questi tre massimi rinnovatori dei più schietti e alti valori poetici non sappiano parlare criticamente dell'arte loro se non con parole vecchie, che si riferiscono all'età da cui escono e che essi superano, inconsapevolmente contradicendo l'opera loro stessa di novatori e creatori: ma come l'azione precede solitamente il pensiero riflesso, così l'arte precede la consapevolezza critica, e spesso le idee estetiche sono in arretrato di un'età rispetto all'arte in atto. Con particolare rilievo balzano agli occhi certe frasi caratteristiche della epistola petrarchesca: così, la lunga e studiata lettera è scritta «a scusa della forma poetica » e dello stile poetico; e dice il poeta al fratello monaco: «pon mente alle. sentenze, e se vere le trovi e salutari, qualunque sia lo stile in cui vengono espresse (cioè, anche se poetico) fa loro buon viso ». L'arte è una «scodella d'oro »: « lodar come buona una vivanda che in istoviglie di terra si appresti, e sopra scodella d'oro averla a schifo cosa è da pazzo, ovveramente da ipocrita. Chi dell'oro è ingordo merita nome di avaro: ma chi d'usarne ha paura è pusillanime. Certo nè migliore nè peggiore il cibo diventa per l'oro in cui si appresta....

Il carme come carme, se non è da tenersi in pregio non è manco da disprezzarsi ». La poesia allegorica (cioè al vera e l'unica poesia dal pensiero medievale giustificata) è naturalmente oscura : « proprio è di siffatti componimenti qui il Petrarca si riferisce in particolare all' Egloga che, se l'autore non lo dichiari, intendere non si possono ».

Si può osservare anche il giudizio pronunciato più innanzi : quel pastore per cui Monico disgrada Virgilio e Omero, non altri è che Davide » : e così, la tesi della poesia ancella dellą religione è sostenuta pur nelle sue conseguenze e negli apprezzamenti storico-critici.

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La forma di critica particolare e propria ad un grande artista, che più d'ogni altra in lui c'interessa e vale, è quella ch'egli eseroita sulla sua opera stessa nel tempo della elaborazione creatrice. Più importante sarebbe la prima parte, di quell' intimo dramma che è la costruzione e la genesi dell'opera artistica: quella, intendo, per cui, apparsa la prima idea poetica ispiratrice, vaga e informe, poi questa si amplia, si modifica, prende corpo sempre più ad essa conforme; e via via per successive correzioni, eliminazioni, mutamenti, aggiunte, l'idea originaria si fa sempre più compiuta, più evidente e nitida a mano a mano che più pura, più semplice, più efficace e potente si plasma la forma che la rende. Questa prima fase del divenire dell'opera artistica si può seguire in pochissimi autori nel Leopardi per esempio talvolta, i cui scritti minori, il cui Zibaldone, la cui vita tutta sono uno specchio terso del suo spirito in ogni successivo momento della sua attività creatrice. Ma ordinariamente non ci è dato conoscere se non l'ultima e meno importante fase (e spesso neppure questa) del lavoro di un autore: quando le grandi linee e le masse costitutive dell'opera sono già state immaginate, provate e poste, e l'idea formatrice ha già trovato la sua rude espressione e il suo essere sostanziale: quando non resta se non l'ultimo finimento e il ritocco.

I saggi di correzioni petrarchesche qui sotto riferiti ci fanno conoscere talvolta mutamenti tali che interessano l'opera d'arte nella sua parte viva ed essenziale, per cui la forma diventa in verità più fedele e limpido specchio dell' idea poetica; come, nelle quartine del primo sonetto (« L'aura celeste che 'n quel verde lauro »). Ma più spesso si tratta di correzioni estrinseche, tendenti a un miglior effetto musicale: così, « Stiamo, Amor, a veder la gloria nostra » è stato preferito alla prima lezione (« Stiamo, Amor, a mirar la gloria nostra ») probabilmente solo per evitare il seguirsi fastidioso delle tre m prossime.

Questa minuziosa e sapiente revisione formale è ad ogni modo la vera critica propria al Petrarca e conforme al gusto e agli spi

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riti della sua poesia raffinata; più assai, che non il teorizzare scolastico intorno ai valori allegorici, cioè non propriamente estetici, della poesia.

IL CONCETTO DEL "POETA THEOLOGUS,, (1)

Se penso quanta sia la pietà dell'animo tuo, faccio ragione che ti sia nato scrupolo nel ricevere unito a questa lettera un poetico componimento. Bada però di non precipitare il giudizio, ch'egli è da stolto il dar sentenza di cose che non si conoscono. Alla teologia punto la poesia non repugna. Stupisci? eppure io sto quasi per dirti che la teologia è tutta un poema, che ha Dio per subbietto. E non è ella tutto poetica la figura per la quale ora Leone, ora Agnello, ed ora Verme chiamasi Cristo ? delle quali frasi abbondano per modo le Sacre Scritture che a VOlerle tutte raccogliere, e' sarebbe un non finirla mai. E che altro son esse le parabole del Salvatore nell'Evangelo, se non un discorso continuamente allegorico, quale perfettamente si conviene e si addice essenzialmente alla poesia? Ma diverso è il subbietto. Lo so. Quella del vero Iddio, e questa tratta de' falsi numi e de' mortali: per guisa che narra Aristotele essere stati i poeti i primi teologi, siccome il nome stesso chiaramente dimostra. Con ciossiachè delle diverse sentenze sulla origine prima del Poeta, ecco quella che s'ebbe plauso maggiore. Mossi gli antichissimi è rozzi uomini dall' innata curiosità d' investigar la natura della causa prima, onde con sovrano ar bitrio e potere le mortali cose si reggono e si governano, degna la conobbero di culto sovrumano e di augustissima venerazione. Perchè in onore di quella ersero grandiosi edifici, e li chiamarono tempi, istituirono sacri ministri cui dissero sacerdoti e quelli di superbe statue, di altarı marmorei, di preziosissimi vasi, questi di ricco purpureo ammanto vollero decorati. Ma perchè muto non fosse il culto, stimaron doversi sublimi è sonanti parole rivolgere alla divinità, ed implorarne il favore con preci dettate in uno stile dal volgare e plebeo totalmente diverso, cui per cessarne in tutti il fastidio e renderlo grato e piacevole,

(1) Lettere di Fr. Petrarca delle cose tamigliari libri ventiquattro... volgarizzate da Giuseppe Fracassetti. Libro X, lettera IV, a Gerardo suo fratello (Firenze, Le Monnier, 1864. Vol. II).

piacquersi di acconciare certe leggi di numero e di armonia. Opra questa non era di volgo ignaro, ma industre e nuovo trovato di un'arte ingegnosa, che con greco vocabolo fu detta « Poetica », e quindi coloro che primi se ne serviron furon chiamati « poeti ». Onde sai quel che dici? tu mi domandi. Ed io rispondo, o fratello, che senza chieder malleveria potevi tu fidarti di me, non indegno per avventura che altri mi creda, senz'addur testimoni, quando cose vere e non punto incredibili io riferisco. Ma poichè ti piace camminar sul sicuro, ecco mallevadori de' più ricchi, ecco testimoni d'ogni fede degnissimi. Primo è Marco Varrone de' Romani il più dotto: Tranquillo è l'altro di tutte cose eruditissimo indagatore: un terzo ne aggiungo, solo perchè credo tu l'abbia più famigliare di quelli voglio dire Isidoro, che sebbene in poche parole, nel libro ottavo delle sue Etimologie, citando anch' egli Svetonio, ripete quanto io ti dissi.

Sta bene tu mi soggiungi: non nego fede al santo Dottore: dico però che a questo rigido tenore della mia vita mal si conviene la dolcezza della poesia. E tu t'inganni a partito, fratello mio. Di carmi eroici e d'altri poetici non dubitaron far uso i primi padri del Vecchio Testamento; Mosè, Giobbe, Davide, Salomone, Geremia, e quel Salterio Davidico, che notte e giorno tu canti, nella lingua ebraica fu scritto a legge di metro, per guisa che a buon diritto cred' io potersi chiamare il Poema de' Cristiani. La cosa è per sè manifesta; ma se di quanto oggi dico nulla creder tu vuoi senza conferma di testimoni, senti Girolamo quel che ne pensi. Impossibile cosa era di quel Sacro Poema che canta la nascita, la morte, la discesa all' inferno, il risorgimento, l'ascensione, e l'ultima venuta di Cristo tradurre in altra lingua i concetti. Pur ciò nonostante si sente ne' Salmi un certo che di metro e d'armonia, e quegli articoli in cui sono divisi volgarmente, da tutti si chiaman versetti. E basti di quegli antichi. Fra gli scrittori poi che al Nuovo Testamento appartengono, agevole cosa sarebbe il dimostrare come versi scrivessero Ambrogio, Agostino, Girolamo, senza parlare di Prudenzio, di Prospero e di Sedulio, e d'altri ancora de' quali nessuno scritto in prosa e molte opere di poesia a tutti notissime ci sono rimaste. Non sia dunque, o fratello, che

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