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VIRGILIO E OMERO (4)

Il suo carattere [di Virgilio] è per tutto grande e maestoso; e per poterlo sempre sostenere si trattiene il poeta per lo più sul generale, sfuggendo a suo potere tutte le cose minute e particolari: alle quali Omero, che ha voluto mutar corde e variar tuono, è liberamente andato all'incontro. E siccome stimeremmo gran fallo biasimare perciò Virgilio, che ha saputo così bene mantenere il carattere propostosi; così non possiamo maravigliarci del torto che ad Omero fa Giulio Cesare Scaligero, da cui e riputato basso e vile, per aver voluto toccare i punti più fini del naturale: quasichè la magnificenza fosse posta solamente nello strepito delle parole. In tutti i luoghi che questo critico esamina e compara, si lascia trasportare dalla passione e compiacenza del proprio capriccio; ma sopra tutto muove nausea, quando antepone in molte virtù ad Omero, non solo Virgilio, il quale per lo suo sommo giudicio sarebbe stato il primo oppositore che avesse avuto Giulio Cesare, ma sì ancora Orfeo e Museo cosa indegna, tanto del senno quanto dell'erudizione e del nome di Scaligero del che viene dal proprio figlio ripreso, non solo perchè il padre si compiacesse troppo de' fiori declamatorj, ma altresì perchè credesse di Museo le reliquie che portano il di lui nome. Onde Gioseffo nelle Scaligerane confessa che il padre nell' esame de' greci poeti non avea perfetto palato. Per concludere in breve i pregi dell'Eneide, basterà dire, che lo stile di quel poema è pari alla maestà del romano imperio.

DANTE.

Nell'origin sua la poesia è la scienza delle umane e divine cose, convertita in immagine fantastica ed armoniosa.

La qual immagine noi, sopra ogni altro poema italiano,

(1) Si veda come un critico moderno il Sainte-Beuve nell' Étude sur Virgile - tratti ampiamente il tema qui dal Gravina accennato, del diverso carattere dei due grandi epici classici: carattere diverso, e legittimo parimenti così quello dell' uno come quello dell'altro.

ravvisiamo vivamente nella Divina Commedia di Dante, il quale s'innalzò al sommo nell'esprimere ed alla maggior vivezza pervenne, perchè più largamente e più profondamente d'ogn'altro nella nostra lingua concepiva; essendo la locuzione immagine dell'intelligenza da cui il favellare trae la forza e il calore. E giunse egli a si alto segno d'intendere e proferire, perchè dedusse la sua scienza dalla cognizione delle cose divine, in cui le naturali e le umane e civili, come in terso cristallo, riflettono. Poichè siccome ogni evento, tanto naturale quanto civile, da Dio procede ed a Dio si riduce, così la cognizione delle cose nella scienza della divinità si trova impressa e delineata. Quindi tutti i savj prima di Pitagora e tutti i Pitagorici ed altri filosofi sino a Democrito, congiunsero la fisica sempre con la teologia; nè posero il piede mai per entro l'oscura e folta selva delle cagioni naturali e cose corporee, senza portar seco per iscorta qualche facella accesa nella contemplazione della sostanza incorporea ed infinita. Tali furono i primi antichi poeti da noi sopra accennati, Orfeo, Lino, Museo, Omero, che le cognizioni divine e naturali per via dell'allegoria e delle favole accompagnate con l'armonia ne' posteri tramandarono in modo che nel sa vio, che in quei tempi era il solo poeta, concorreano la teologia, la fisica e la musica, tanto interna delle parole e del numero poetico, quanto esterna del suono

canto.

e del

ARIOSTO.

E pure, a parer mio, con tutti questi vizj, (') è molto superiore [l'autore dell'Orlando Furioso] a coloro a' quali in un co' vizi mancano anche dell'Ariosto le virtù; poichè non rapiscono il lettore con quella grazia nativa, con cui l'Ariosto potè condire anche gli errori, i quali sanno prima di offendere ottenere il perdono, in modo che più piacciono le sue negligenze che gli artifici altrui; avendo egli libertà d'ingegno tale e tal piacevolezza nel dire, che il riprenderlo sembra autorità pedantesca ed incivile. Tutto effetto di una forza latente e spirito ascoso di feconda vena, che irriga di soavità i sensi del lettore mossi

(1)....interrompimento delle narrazioni, scurrilità... digressioni oziose, ecc.».

e rapiti da cagione a sè stesso ignota. Di tale spirito ed occulta forza quando lo scrittore non è dalla natura armato, invano si affanna di piacer con lo studio e con l'arte, i cui ricercati ornamenti abbagliano solo quei che sono prevenuti da' puerili precetti e rettoriche regolucce, le quali stemperano la naturale integrità dell'ingegno umano. Da questa ingenua e natural produzione dell'Ariosto scorrono anche spontaneamente le rime, le quali paiono nate in compagnia dello stesso pensiero e non dalla legge del metro collocate

LODOVICO ANTONIO MURATORI

(1672 - 1750)

Il grande storico si occupò di cose poetiche più di quanto non sia comunemente noto, specie nella giovinezza, e per quanto incidentalmente, pure con istudio largo e con tentativi considerevoli di approfondimento e di rinnovamento critico e teorico; i quali hanno lasciato qualche traccia nella storia delle idee estetiche moderne, influendo forse efficacemente soprattutto fuori d' Italia.

I Muratori, come il Gravina, combatte il secentismo in nome di una restaurazione classica, che non è peraltro se non formale e inefficace. Tuttavia, pur come il giurista e critico calabrese egli sta per il vero e il naturale, e per un contenuto morale ispiratore, che preannunziano la nuova letteratura e la nuova critica.

Inoltre, la critica del Muratori è armata del principio che già aveva fatto muovere in guerra i letterati francesi contro la poesia italiana, cioè del principio e dello spirito razionalista. Lo storico modenese partecipò alla famosa controversia letteraria franco-italiana che si svolse sulla fine del Seicento e nei primi anni del Settecento (1); ma i quattro libri della sua Perfetta Poesia si intitolavano originariamente, e il titolo è significativo, « Riforma della poesia italiana »; in essi l'autore, pur ribattendo ancora le accuse dei Francesi, faceva proprio il loro principio critico valendosene per saggiare il valore delle « figure » e di tutto l'armamentario rettorico da cui generalmente egli non si stacca. Si noti, fra le pagine di lui qui riprodotte, la critica d'un sonetto del Petrarca.

Più preme rilevare, che il Muratori intuisce la necessità di entrare nello spirito della poesia oltre la superficialità della forma, ed intravvede l'importanza capitale dell'attività fantastica nell'opera del poeta. Oggi si rivendica questo primato agli italiani del Settecento (il Conti ed altri, oltre il Muratori: non occorre poi ricor

(1) Se ne possono vedere tutti i documenti nella ristampa di Modena, 1735, del volume: G. G. Orsi, Considerazioni sopra la «Maniera di ben pensare.»

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