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FRA GUIDOTTO DA BOLOGNA

(SECOLO XIII)

«Fra Guidotto dirugginiva la retorica tulliana per addestrare belli ed eloquenti parlatori al Comune », dice il Carducci. E così è, che il suo Fior di retorica, come i trattati di Ars dictandi del tempo suo, non hanno valore se non in vista di quello scopo pratico e civile a cui dovevano servire e servivano; nessun valore propriamente artistico, nè teoretico.

Un saggio dell'opera di fra Guidotto può tuttavia efficacemente far conoscere idee e coltura di quell'età. Qui non si dubita neppure che la parola possa avere un valore in sè, estetico: non se ne conosce che uno morale, razionale, civile (pag. 5). Nè si pensa pur lontanamente a un problema di relazioni fra le forme e un dato intimo spirituale da esprimere ma solo al fine pratico da conseguire e a certe qualità è a certi ornamenti estrinseci del dire che possono giovare a tal uopo (pagg. 6-8).

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Nel tempo che signoreggiava il grande e gentile_uomo Giulio Cesare, il quale fu il primo imperadore di Roma, di cui Lucano e Sallustio et altri autori dissono alti e maravigliosi versi, nel XIIII (sic) anno dinanzi alla natività del nostro Signore: in quel tempo fu un nobile e virtuoso uomo, cittadino di Capoa e del regno di Puglia, il quale era fatto abitante della nobile città di Roma, et aveva nome Marco Tullio Cicerone; lo quale fu maestro e trovatore della grande scienza di Rettorica, cioè, di bene

(*) Da Il Fiore di retorica di frate Guidotto da Bologna, posto nuovamente in luce da Bartolomeo Gamba. Bologna, Masi, 1824.

parlare; e trovò et ordinò per lo suo grande ingegno naturale questa scienza di Rettorica. la quale avanza tutte le altre scienze per la bisogna di tutto giorno parlare nelle valenti cose, siccome in far leggi e piati civili e criminali, e nelle cose cittadine, siccome in fare battaglie et ordinare schiere e confortare cavalieri nelle vicende degl'imperii, regni e principati, e governare popoli, regni, cittadi, ville, stranie e diverse genti, come conversano nel gran cerchio del mappamondo della terra. Et a contare brievemente la vita del detto Marco Tullio, vo' che sappiate, che fu uomo in tempo della sua vita amabile e costante, di grazia e di virtù, grande della persona e bene fatto di tutte membra, e fu d'arme maraviglioso cavaliere, franco di coraggio, armato di grande senno, fornito di scienza e di discrezione, ritrovatore di tutte cose.

Et io frate Guidotto da Bologna, cercando le sue magne virtudi, emmi mosso talento di volere alquanti membri del Fiore di Rettorica vulgarizzare di latino in nostra lingua, siccome appartiene al mestiere de' laici, vulgarmente. E, come contaremo per lo 'nanzi nel versificato che fece il grande poeta Virgilio, nel tempo che fu Ottaviano imperatore Augusto, figliuolo adottivo di Giulio Cesare, nell'imperio della sua dignitade, nacque Cristo glorioso Salvatore del mondo: il quale Vergilio si trasse tutto il costrutto dello intendimento della Rettorica, e più ne fece chiara dimostranza: sicchè per lui possiamo dire che l'abbiamo, e conoscere la via della ragione e la etimologia dell'arte di Rettorica; imperocchè trasse il grande fascio in piccolo volume e recollo in abbreviamento. Et io conoscendo te e la tua grande bontà, alto Manfredi lancia e re di Cicilia, siccome a diletto e caro Signore nell'aspetto de' valenti principi del mondo, essere sopra gli altri re grazioso, ho compilato questo Fiore di Rettorica nella ornatura di Marco Tullio: nel quale, secondo mio parere, voi potete avere sufficiente et adorno ammaestramento a dire, per questo libro. in pubblico et in privato.

Acciocchè la vita è corta e l'arte è lunga e 'l mestiere e 'l bisogno, non potemo in tutto considerare pienamente il nostro volere, ma pigliarne una partita brievemente. Siccome il nostro Signore ne concederà grazia, diremo come l'uomo, per la virtù che gli è data dalla somma po

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tenzia di Dio nella lingua, di sapere favellare, perchè avanzi tutti gli altri animali, quanto, per la detta cagione, è più nobile e migliore che gli altri animali, cotanto l'uno uomo è maggiore e migliore che non è l'altro, in ciò, che sa favellare meglio e più saviamente; chè, tuttochè la regale pecunia sia mantello, lo quale molti vizi ricopre fra le genti, non fa ricoperta di colui che non sa ben dire. Et 10 veggendo nella favella tanta virtude et utilitade, si misi tempo per trarre a fine con istudio questa opera.

Non certo che fusse mia credenza che solo la bella Javella in se avesse tanto di utilitade, se colui che sa ben favellare non avesse in sè senno e giustizia; anzı sanza le dette due cose, secondo che dicono i savi, è · quella persona una pistolenzia grandissima del suo paese e del suo Comune, perchè la favella sua è come un coltello acuto e tagliente in mano d' uno furioso; ma se I uomo ha in se senno in saper bene provvedere, e ha in se giustizia e ferma volontà di sapere le cose bene disponere e dirittamente voler giudicare, sì gli fa bisogno di sapere ben favellare, acciocchè sappi le cose mostrare et aprire. E sanza la favella sarebbe la bontà come uno tesoro riposto sotterra, che se non è saputo più che terra non vale; e dacchè la favella è accompagnata in alcuna persona colla giustizia e col senno, si rende più perfetto I uomo, che non sono gli altri. Ho mostrato di sopra quanto sono gli uomini per la favella meglio che gli altri animali; perocchè molto vale a se medesimo, et è molto utile e caro ad altri, si al suo Comune, sì a' suoi amici e parenti, che n'hanno conforto ne' loro fatti, e grandissimo consiglio e rifugio, quando è savio dicitore.

Adunque qualunque persona vuole sapere ben favellare e piacevolmente, si pensi di avere prima senno, acciocche conosca e senta quello che dice; poi prenda ferma volontà di operare giustizia e misura e ragione, acciocchè della sua parola non si possa altro che ben seguitare; e questo libro legga sicuramente, e senta meco certi ammaestramenti, che sono dati dalli savi in sul favellare, e ua che gli ha letti e ben impressi si usi spesse volte di dire; perchè il ben parlare si è tutto dato alla usanza, che ogni cosa si acquista per uso et abbassa molto per disusare, e senza usare non può essere alcuno buono parlatore.

QUI DICE DELLE PARTI DI RETORICA.

L'Arte della Retorica ammaestra di sapere ben favellare, e fa di sè cinque parti: Invenzione, Disposizione, Elocuzione, Memoria e Pronunziazione. Siccome di sei parti: Esordio, Narrazione, Divisione, Confirmazione, Confutazione e Conclusione.

QUI DICE DELLA FAVELLA COMPOSTA.

La seconda cosa laonde il dicitore dee essere ammaestrato e ammonito, acciocchè nella favella Giudiciale favelli perfettamente, si è, che faccia la sua parola composta; e quella è detta composta favella quando la favella e le parole, che sono insieme poste, suonano bene e piacevolmente l' una dopo l'altra e possonsi acconciamente proferire.

E questo si puote fare così, che 'l dicitore si guardi da sei cose. La prima, che non faccia nella diceria e nel detto suo alcuno iato; la seconda, che non ponga molti nomi insieme nel detto suo, nelli quali una medesima lettera molte volte si ridica; la terza, che nella sua diceria non ridica una medesima parola molte volte; la quarta, che non ponga molti nomi insieme che siano consonanti, o che si accordino in rima; la quinta cosa, che nella sua diceria non trasponga parole sozzamente; la sesta, che non continui sue parole troppo dalla lunga.

La prima cosa, onde ti dissi che si dee guardare il dicitore a fare la sua parola composta, si è, che non faccia alcuno iato nella sua diceria. Iato s'intende, che non dica la parola che finisca in e, e ricominci in e, e così si guardi di ciascuna lettera vocale; il quale iato si fa quando il dicitore pone dui o più nomi insieme, che l'uno finisca in alcune di queste cinque lettere, che sono appellate vocali, cioè a, e, i, o, u; e l'altro, che seguitasse, incominci dalla lettera simigliante, o da alcun' altra di quelle; e questo è lo esempio: « Quando andava alla Quarantina a Roma, di marzo, m'intoppai in Martino in Viterbo in andando ». La seconda, cioè che il dicitore non ponga molti nomi insieme, colli quali una medesima lettera molte

volte si ridica; e questo è lo esempio: « Di fino talento ti amava tanto teneramente che posare mi parea in Paradiso, pensando che m' eri piacente ». Della terza, cioè che non si ridica una medesima parola molte volte; questo è lo esempio: «Della ragione, onde ragione non si può dare, non è da dare fede a quella ragione ». Anche : «<< Elli è ben buono di molta bontà, ma sconcia la bontà sua, perchè di bontà vuole esser lodato, e che abbia bontà fa grande vista ». E questo dee osservare il dicitore, se non ridicesse la parola per cagione di fare alcuno bello ornamento, come più innanzi ti mostrerò che si può fare. Della quarta, cioè, che non ponga il dicitore nella sua diceria molti nomi insieme che siano consonanti, o che si accordino insieme in rima; questo è lo esempio: « Lacrimando, piangendo, luttando mi disse in andando ». Della quinta, cioè che nella sua diceria non trasponga parole sozzamente; questo è lo esempio: « A te, lo dico, figliuolo di Joanni Martino ». Della sesta, cioè che 'l dicitore non continui sue parole molto da lungi, si è, quando il dicitore avendo detto sopra una cosa, e poi molte altre cose dette innanzi, quella cosa vorrà ripigliare; e di questo non fa di bisogno di dare esempio, perchè apertamente si vede, che le orecchie dell'uditore e lo spirito del dicitore di ciò riceve grande offensione per quella cagione.

Tutte le cose, che in fino a qui sono dette di sopra, dee osservare il dicitore a ben componere insieme le parti nella favella perfetta. L'altro, che si dirà per innanzi, è tutto come si dee ordinare la favella.

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DELLA ELOCUZIONE.

La quarta cosa laonde il dicitore dee essere ammaestrato, acciocchè nella favella giudiciale sappia favellare perfettamente, si è, che la sua favella sappia ornare; e pongono i savi che gli ornamenti della favella sono in due modi, ovvero generazioni. L'uno è in ornare le parole della diceria, l'altro è in poter dire bellissime e gravi sentenze onde la favella riceve ornamento. E come le parole della diceria si possano ornare, quali siano belle e gravi sentenze, onde la favella riceve ornamento, ti voglio per ordine mostrare e aprire. E prima, come le pa

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