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piacciono cotanto e danno perfezione al ragionamento, è quella del farci sensibilmente comprendere le verità astratte e per così dire spirituali. Noi, con tutto il nostro amore alla verità, non sogliamo per l'ordinario amar molto i sentimenti speculativi, perchè questi non possono bene spesso senza fatica ben capirsi, anzi talvolta sono oscurissimi alla maggior parte della gente. Vivendo il popolo assai lungi da gli studi, usa egli per lo più immagini sensibili e particolari delle cose, valendosi più della fantasia che dell'intelletto. Laonde per concepir le cose universali, spirituali e speculative, per intender le verità insensibili ed astratte, gli è necessaria un'applicazione penosa. Dall'eccellente dipintura poetica se gli suol risparmiare una tal fatica, allorchè l'immaginativa con sensibili colori, con espressioni, per dir così, corporee, veste le verità difficili e metafisiche in guisa tale, che agevolmente giunge anche il rozzo popolo a ben intenderle e a saporitamente gustarle. Questo gusto d' apprendere con facilità le cose fu osservato da Aristotele nel lib. 3 cap. 10 della Rettor. ove dice: «l'imparare con facilità naturalmente è dolce a tutti ». Così Ausonio in una sua elegia, che una volta s'attribuiva a Virgilio, per trattar della fragilità della vita umana, abbandonando le ragioni filosofiche, leggiadramente spese tutta l'opera in considerar le bellezze d'una rosa, che nascono e tramontano in un sol giorno. Colla qual sensibile immagine dilettevolmente ci fa comprendere la poca durabilità della nostra vita.

Che se noi prenderemo ad esaminar tutti i migliori poeti, apparirà, essi nelle opere loro spessissime volte usano queste fantastiche immagini, per accostare al senso e far concepire con facilità al popolo quelle verità e cose. che sono speculative, spirituali, astratte. E questa fu la cagione, per cui gli antichi diedero corpo al sommo Dio. chiamandolo Giove, alla Prudenza formandone Minerva, al Valor militare inventando un Marte, alla Superbia figurando Giunone, alla Bellezza sognando una Venere, all'Amore, alle Furie, a i Venti ecc. Poi fecero operar queste immagini fabbricate dalla fantasia all'usanza de gli uomini, benchè poi corrompessero in molte guise i costumi e la credenza de' popoli, abusando questa libertà conceduta a i poeti e facendo creder deità vere questi chimerici parti, questi idoli della lor poetica fantasia. Oltre a

ciò, come dianzi accennammo, ancor la nostra santissima religione non isdegnò di adoperare questi sensibili ammanti delle verità e cose spirituali, affin di soccorrere al bisogno del volgo ignorante, incapace di ben comprendere gli altissimi e invisibili suoi misteri. Spiegò essa con dipinture che cadono sotto il senso i movimenti del voler di Dio, quelli de gli Angeli, de' Demoni, con attribuir loro corpo, affetti ed azioni somiglianti a quelle de gli uomini. Del che pure ci fece Dante avvisati ne' seguenti versi:

Così parlar conviene a vostro ingegno,
Però che solo da sensato apprende
Ciò che fa poscia d' intelletto degno.

Per questo la Scrittura condiscende
A vostra facultade; e piede e mano
Attribuisce a Dio, ed altro intende.

CONTRO L'IDOLO DEI POETI E DEI RETORI ITALIANI (*)

Orso, e' non furon mai fiumi nè stagni,
Nè mare ov'ogni rivo si disgombra,
Nè di muro o di poggio o di ramo ombra,
Nè nebbia che 'l ciel copra e 'l mondo bagni,

Nè altro impedimento, ond'io mi lagni,
Qualunque più l'umana vista ingombra,
Quanto d'un vel che due begli occhi adombra
É par che dica: Or ti consuma e piagni.

E quel loro inchinar, ch'ogni mia gioia
Spegne, o per humilitate o per orgoglio,
Cagion sarà che 'nanzi tempo i' moia.

E d'una bianca mano anco mi doglio,
Ch'è stata sempre accorta a farmi noia
Et contra gli occhi miei s'è fatta scoglio.

(*) Vila e Rime di Francesco Petrorce, con le Considerazioni del Tassoni e di Ger. Muzio aggiunte le osservazioni di L. A. Muratori, in Modena, 1711.

CONSIDERAZIONI DEL TASSONI.

Scrive il P. (per quant' io stimo) ad Orso Conte dell'Anguillara, a cui parimente è indirizzato, quell'altro Sonetto.

OSSERVAZIONI DEL MURATORI.

Per riputazione e scusa del Petrarca, io m'indurrei di buona voglia a credere, che questa fosse più tosto una risposta, che una proposta; giacchè la schiavitù volontaria, in cui si mettono i poeti, di rispondere per le rime, ove queste rime sieno ritrose e difficili, strascina anche i più destri e fecondi ingegni a far de' sonetti stentati, è a dir quello che non vorrebbero dire. Quando così non sia passata la bisogna, nel vero io non so perdonare al poeta, che coll'avere eletto queste rime per altro difficilissime abbia eletto ancora la necessità di cadere in freddure. Chiamo io freddura, quell'aver posto ne' due primi versi e fiumi e stagni e mare, i quali poco o nulla possono servire all'argomento, perocchè vuol qui il P. propriamente annoverare diversi impedimenti della vista umana, quali veramente sono i muri, i poggi, etc.. Ma i fiumi, gli stagni e il mare, possono ben essere impedimento a passi, ma non già alla vista dell'uomo. Coll'argomento ha anche molto men che fare quell'aggiunta di « ov'ogni rivo si disgombra ». Ci era bisogno della rima « disgombra»; ed eccoti il mare che è venuto a sostenerla. Ci era bisogno di stagni, ed eccoti che i fiumi per conversazione, o per far letto a gli stagni, c'entrano anch'essi. Ma con che ragione, cel dirà un giorno qualche strologo fra i comentatori; non potendomi parer buona ragione il dire, che queste cose anch'elleno sono in qualche maniera impedimento, se non alla vista, almeno a i piedi; poichè il P. qui intende favellare de gl' impedimenti individuali della vista, com'egli si spiega appresso; e lo scorrere col ragionamento ne i fiumi, e nel mare è appunto un entrare nel mare, e nell'università degl' impedimenti che non ha fine. Nel primo terzetto propriamente

il P. non trapassa, come è d'avviso il Tassoni, dal velo a gli occhi; ma sì bene da un impedimento a un altro, cioè dal velo al chinamento de gli occhi, il quale altresì impediva al P., non men del velo e della mano, il mirar gli occhi stessi. All'udire bensì, che l'abbassarsi talora de gli occhi di L. « cagion sarà che 'nanzi tempo i' moja », mi vien voglia di dire, che il P. era ben tenero di scorza, da che si lieve cosa era bastevole a trarlo di vita. Oh si dirà, che è un'esagerazione poetica e amorosa; ma di queste ve ne ha ben anche delle fredde; e tale questa a me sembra, e specialmente dopo essersi detto molto meno del velo, il qual pure portava pregiudizio maggiore. Quello scoglio, ultima parola del sonetto, è traslazione tirata qua contra sua voglia in soccorso della rima; perchè quantunque noi possiamo concepire, che gli scogli impediscano alla vista il mirar qualche oggetto, siccome di tant'altre cose si può lo stesso concepire, nulladimeno essendo ciò accidente e non proprietà degli scogli, essi naturalmente e facilmente non ricordano all'uomo d'essere impedimenti e così non appare nel punto principale della comparazione quella analogia e simiglianza fra la mano e lo scoglio, che secondo le buone regole della formazion delle metafore si richiedea.

UN VERO PREDICATORE (1)

Ma come mai e con quai mezzi giugneva a far tanto il P. Segneri? Ne dirò la ragione.

In primo luogo, era stato verso di lui liberalissimo Iddio con fornirlo di un singolar dono di eloquenza, in guisa che io, dopo aver ascoltati tanti e tanti altri predicatori sacri, ed anche insigni nell'arte oratoria, ed anche rinomati per la loro pietà, pure non so d'aver udita giammai eloquenza si efficace e vincitrice de' cuori come quella del P. Segneri iuniore. Era in bocca sua la parola di Dio la più soave, viva e penetrante cosa del mondo. Nè già do io per pruova di ciò il solo senso mio; cito l'esperienza d'interi popoli, che sono il giudice migliore in simili casi.

(1) La vita del Padre Paolo Segneri Juniore, della Compagnia di Gesù, descritta da L. A. Muratori, Modena, 1720. Tomo I, cap. IX.

Alla prima predica ch'egli venne a fare in vicinanza di Modena, cioè a S. Faustino, il dì 18 maggio del 1712, concorsero in gran copia cittadini, e spezialmente giovani, e molti forse non con altro pensiero che di appagare la loro curiosità e di conoscere che novità era quella. Non avevano mai veduto, mai inteso se non quella volta questo santo missionario, anzi nè pur le missioni: e pure s'impossessò egli fin allora talmente del loro cuore, che, oltre alle lagrime di pentimento ivi sparse, corsero ancora alcuni sul fin della predica a riconciliarsi fra loro, con perdonarsi le offese passate. Ma come mai poteva un uomo sconosciuto cambiare affatto in sì poco di tempo il cuore d'una intera udienza? Io ne ricercava le cagioni, e mi parve che fossero queste.

Consisteva l'eloquenza sua in ragionamenti famigliari, che nulla sapevano di scuola, nulla di meditato, benchè gli avesse egli prima ben bene pensati e disposti. Perciò sembrava egli un uomo dabbene, che all'improvviso avesse preso preso a parlare di Dio, e dell'importantissimo affare dell'anime loro, a persone sue confidenti; e che gli nascessero allora in bocca quelle parole e que' sentimenti che profferiva, tanto erano naturali e senza belletto. Ora questo facile, riconosciuto per ben difficile da tutti gl' intendenti dell'arte del dire, era un pregio maraviglioso del P. Segneri, e cagionava ne gli animi de gli ascoltanti un santo diletto e una commozion gagliardissima, con sì raro successo, che ugualmente piaceva a gl' ignoranti e a 1 dotti, e tutti l' intendevano, e stavano ad udirlo rapiti da inesplicabil piacere, penetrando per tal via fino all'intimo. del cuore d'ognuno i suoi salutevoli documenti. E tanto più s'imprimeva con forza ne gli uditori quel suo parlare si chiaro (il quale anche per se stesso ha una greta natural forza di piacere, perchè punto non istanca l' intelletto di chi ascolta) quanto che esso era vivificato ed animato dallo spirito interno di Dio, cioè usciva fuori d'un cuore tutto infiammato d'amore di Dio e pieno di un fervente zelo per l'eterna salute d'ognuno. Predicava inoltre il suo volto, tutto spirante divozione ed umiltà; predicavano i suoi occhi, ne' quali ciascun leggeva una santa modestia e un'amabilità singolare. La voce sua, argentina e sonora sul tuono di corde dolci, aveva bensì del virile, ma insieme un non so che di virginale; il che

Andreoli. 20

se

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