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vole omeriche. XXVIII. Ma siccome la sapienza riposta non è che di pochi uomini particolari, così il solo decoro de' caratteri poetici eroici, ne' quali consiste tutta l'essenza delle favole eroiche, abbiamo testè veduto che non posson oggi conseguirsi da uomini dottissimi in filosofia, arti poetiche ed arti critiche: per lo qual decoro dà Aristotile il privilegio ad Omero d'esser inarrivabili le di lui bugie, ch'è lo stesso che quello che gli dà Orazio, esser inimitabili i di lui caratteri.

GIUSEPPE BARETTI

(1719 1789)

Si potrebbe dire, che ci sono due Baretti, e che sono in apparente contraddizione l'uno con l'altro. C'è il Baretti scrittore della Frusta Letteraria, che è principalmente un moralista: in questa antologia, tale lato dello spirito e dell'opera di lui si vuol rappresentato da quel vivace e violento articolo contro l'Arcadia, che è notissimo, ma è pure caratteristico e compiuto come nessun altro scritto della Frusta. L'altro Baretti, è soprattutto l'autore dei belli e importanti Discorsi su Shakespeare, che sono di un grande valore estetico e critico. Anche il primo Baretti è quello, che essendo amante del vero contro ogni rettoricume tradizionale, tuttavia non può intendere Goldoni, e per colpire la frivola società italiana coi suoi «< caratteri senza carattere », quali appunto il veridico teatro del veneziano porta sulla scena ma che a lui, Baretti, muovono sdegno e schifo impaziente e non consentono riso indulgente d'arte serena, sferza e sberta ad ogni occasione «l'avvocato Goldoni » con le sue commedie senza nerbo cioè senza la forza di un'idealità morale e civile: il secondo, è quello che pur combattendo fieramente l'Arcadia intende e fa intendere con assai finezza ed acume il valore poetico del Metastasio.

In conclusione, il Baretti è certamente il critico maggiore e più compiutamente rappresentativo della seconda metà del Settecento; ed è nella nostra storia letteraria una figura robusta e ben quadrata, senza contraddizioni se non apparenti. Dovette la sua rieducazione spirituale e critica all'ambiente inglese e al teatro shakespeariano; da ciò in parte deriva la sua superiorità rispetto agli altri nostri critici e poligrafi contemporanei che seguivano la corrente della coltura francese. Ma nessuna presentazione può essere più efficace, delle sue stesse pagine, qui raccolte, su Shakespeare e su Voltaire.

CONTRO L' "ARCADIA "

Memorie istoriche dell'adunanza degli Arcadi di M. G. M., custode generale d' Arcadia. - Quegli amanti d'inutili notizie, che, non sapendo come adoperar bene il tempo, lo impiegano a imparar delle corbellerie, e che bramano di esser informati di quella celebratissima letteraria fanciullaggine chiamata Arcadia, si facciano a leggere questo bel libro, che ne dà un ragguaglio distinto, distintissimo. Il suo celibe autore l'ha scritto con tutta quella snervatezza e con tutto quell'umile spirito d'adulazione, che principalmente caratterizza gli Arcadi: e assai nomi rinomatissimi si trovano in esso registrati, la rinomanza de' quali non è stata punto mai rinomata nel mondo. L'opera è divisa in dieci capitoli, che sono come dieci gioielli di vetro. Ecco qui la sostanza di que' dieci capitoli.

Il capitolo primo dice l'Istituzione d'Arcadia, e narra, fra l'altre fanfaluche, il caso memorandissimo d'un certo poeta, il quale, avendo sentiti cert'altri poeti recitare certe pastorali poesie, in certi prati situati dietro un certo castello, proruppe in questa miracolosa esclamazione: « Egli mi sembra (notate quell'enfatico Egli), egli mi sembra che noi abbiamo oggi rinnovata l'Arcadia ». Oh magica esclamazione, alla quale deve l'Arcadia il suo nascimento, come, da un picciolissimo seme, nasce una zucca molto smisurata; o, per dirla con più dignità, come certi giumenti d'Andalusia è fama debbano l' esser loro allo ingorgarsi d'un po' di vento Favonio nella matrice di certe puledre! Item, in quel capitolo primo, vengon via i quattordici nomi de' quattordici fondatori d'Arcadia, undici de' quali nomi è un pezzo che sono miseramente sprofondati in Lete; cioè a dire, quelli del Coardi, del Paolucci, del Leonio, dello Stampiglia, del Maillard, del Figuri, del Negro, del Melchiorre, del Vicinelli, del Viti, e del Taia. Dico che gli undici nomi di questi undici personaggi sono sprofondati in Lete, in qualità di nomi poetici, che nessuno interpretasse male. I tre, di que' quattordici nomi, che ancora si nominano, sono quello del Gravina, quello del Crescimbeni e quello del Zappi. Quello del Gravina è ancora nominato dai dotti, perchè Gravina aveva un capo assai grande e pieno di buon latino e di buona giurispru

denza. Ma, siccome tutti gli uomini hanno il loro difetto in mezzo a tutte le loro perfezioni, il Gravina ebbe il difetto di voler fare dei versi italiani, e, quel che è peggio, di voler, con italiane prose, insegnar altrui a farne de' lirici, de' tragici, de' ditirambici e d'ogni razza, a dispetto della natura, che volle farlo avvocato e non poeta. Il nome del Crescimbeni è tuttavia nominato, con somma venerazione, da' nostri più massicci pedanti. Il Crescimbeni fu un uomo dotato d'una fantasia parte di piombo e parte di legno; cosicchè sbagliò sino quel matto poema del Morgante Maggiore per poema serio. Che fantasia fortunata per un galantuomo, destinato dal destino ad essere compilatore, e massimamente compilatore di notizie poetiche! Quelle notizie e tutt'altre cose, il Crescimbeni le scrisse in uno stile, così tra il garfagnino e il romano, che gli è proprio la delizia degli orecchi sentirsene leggere quattro paragrafi. Il Zappi, poi, il mio lezioso, il mio galante, il mio inzuccheratissimo Zappi, è il poeta favorito di tutte le nobili damigelle che si fanno spose, che tutte lo leggono un mese prima e un mese dopo le nozze loro. Il nome del Zappi galleggerà, un gran tempo, su quel fiume di Lete, e non s'affonderà, sintanto che non cessa in Italia il gusto della poesia eunuca. Oh cari que' suoi smascolinati sonettini, pargoletti piccinini, mollemente femminini, tutti pieni d'amorini!

Il secondo capitolo delle Memorie istoriche ne secca aliquantulum, con le leggi d'Arcadia, che sono scritte a imitazione di quelle dell'antica Roma, e che s'assomigliano a quelle, come uno de' miei scimiotti americani s'assomiglia a un dottor di Sorbona, anzi, come la mia gamba sinistra (1) ch'è un pezzo di legno, s'assomiglia alla mia gamba destra, ch'è una gamba bella e buona. Dopo il registro puntuale di quelle leggi, il celibe autore delle Memorie ne dà la vera e distinta relazione d'una tremenda e crudelissima guerra, la quale poco mancò non rovinasse l'augusto impero arcadico, pochi giorni dopo che fu fondato. Due segnalati campioni si fecero molto distinguere con le loro braverie, in quella guerra. Uno fu Alfesibeo, primo califfo d'Arcadia: l'altro fu un certo Opico, il quale,

(1) Parla Aristarco Seannabue.

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