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E la faccia del Sol nascere ombrata,
Si che per temperanza di vapori
L'occhio lo sostenea lunga fiata:
Così dentro una nuvola di fiori,

Che dalle mani angeliche saliva,
E ricadeva giù dentro e di fuori,
Sovra candido vel cinta d'oliva

Donna m'apparve sotto verde manto,
Vestita di color di fiamma viva.
E lo spirito mio, che già cotanto
Tempo era stato che a la sua presenza
Non era di stupor tremando affranto,
Senza degli occhi aver la conoscenza,

Per occultà virtù, che da lei mosse,
D'antico amor sentì la gran potenza.

Si può egli mai con più poetici colori, con più sacre e gravi immagini, o grandezza e sublimità maggiore, far comparire questa Beatrice, cioè questa Teologia, la quale al colore del velo, dell'olivo e del vestito, alle Virtù Teologali, che con essa vengono, si rassomiglia? Questa è colei che dee fare l'altra parte del viaggio, e condurre il poeta dal terrestre al Paradiso celeste. Sta ella ancora velata agli occhi di lui, perchè non si è ancora ne' due fiumi di quel luogo bagnato: ma pure è giunta, onde Dante:

Volsimi alla sinistra, col rispitto

Col quale il fantolin corre alla mamma,
Quando ha paura, o quando egli è afflitto,
Per dicere a Virgilio: men che dramma
Di sangue m'è rimasa che non tremi;
Conosco i segni dell'antica fiamma.
Ma Virgilio n'avea lasciati scemi.

Di sè, Virgilio dolcissimo padre,
Virgilio, a cui per mia salute die 'mi.

E però vedete che, com'egli da prima nel suo argomento propose di voler fare, sottentrata è la teologia alla filosofia morale, o all'umana ragione, e con essa va Dante fino al cielo empireo, dove all'eterna beatitudine si affaccia sommo compimento di ogni bene; e termina il suo poema

Qual'unità o semplicità richiedereste voi maggiore in componimento poetico di questa? L'essere l'uomo nella selva degli errori ravviluppato, e aiutato dalla ragione esaminare i vizj, è il suo principio: il pervenir egli alla terrena felicità, o Paradiso terrestre, è il suo mezzo; e l'arrivare condotto dalla teologia alla beatitudine eterna è il suo fine. Eccovi tutto quello ch'egli ha proposto, interamente eseguito con facilissimo filo. Propone che Virgilio dal principio fino al mezzo lo condurrà: attiene la sua parola. Promette che Beatrice da esso mezzo sino alla fine lo guiderà; e non vi manca. Quando tutto quello vi trovate senza interruzione che nella proposizione è promesso, il filo è uno e semplice. Se poi voleste, come alcuni pretendono, che l'unità del soggetto dipenda da una massima morale, il che, trattandosi di un allegorico poema, come questo è, non m'increscerebbe, eccovi la massima morale che ne esce da quel di Dante. Considera i vizj, gli coreggi, e salirai a Dio.

Molto avete fino al presente sentito dell'arte usata da Dante nel suo poema, e molto più lungamente potrei ragionarvi; imperciocchè oltre a quell'artifizio, che nel conservare l'unità si richiede, di parecchi altri ha di bisogno. un sovrano poeta. Invariabile è l'uniformità del soggetto, o fondamento, di suo poema; ma non minore fu l'arte di lui nel variare le circostanze, mentre ch'egli lo conduce al suo fine. La qual varietà fu notata anche dal riformatore novello di Dante; quantunque con una filza di biasimi, seguendo la usanza sua: il ghiaccio e il fuoco, le valli e a monti, le grotte e gli stagni d'Inferno, chi può tutto ridire? Mille grottesche figure e bizzarri tormenti non fanno certo gran credito a quell' Inferno, nè all'immaginazione del poeta. Quali sono mai coteste figure si grottesche e cotesti si bizzarri tormenti? I carnali da un orribile turbine aggirati, percossi e molestati come quella passione suol fare? Le arche di fuoco, i fiumi del sangue, i trasformati tronchi, dove le arpie lor nido fanno, l'arena infocata, con quella descrizione:

Lo spazzo era una rena arida e spessa,
Non d'altra foggia fatta, che colei,
Che fu da' piè di Caton già soppressa.

Oh vendetta di Dio, quanto tu dèi

Esser temuta da ciascun che legge

Ciò che fu manifesto agli occhi miei!

Dopo questa si debole e fredda esclamazione, sentite grottesche figure che son queste :

D'anime nude vidi molte gregge,

Che piangean tutte assai miseramente,
E parea posta lor diversa legge.
Supin giaceva in terra alcuna gente:
Alcuna si sedea tutta raccolta;

Ed altra andava continuamente.
Quella che giva intorno, era più molta,

E quella men, che giaceva al tormento,
Ma più al duolo era la lingua sciolta.
Sovra tutto 'l sabbion d'un cader lento
Piovean di fuoco dilatate falde,
Come di neve in alpe senza vento.

Tale scendeva l'eternale ardore:

Onde la rena s'accendea, com'esca
Sotto 'l focile, a doppiar lo dolore.

Senza riposo mai era la tresca

Delle misere mani, or quinci or quindi,
Iscuotendo da sè l'arsura fresca.

Queste sono delle immagini che non fanno credito al poema di Dante. Ma che vi dirò io della varietà usata da lui? Io non vi posso ogni cosa ridire, se voi non leggete e rileggete l'opera stessa. Si può creare pena più orribile ai Simoniaci di quella che nel diciannovesimo Canto si legge, nè più nuova, nè più da tutte le altre variata? Dietro alla quale eccovi Malebolge ripiena di bollente pece, e le cappe di fuori dorate, e dentro di piombo per gl' ipocriti; poi le serpi, poi le fiamme del fuoco tutte contenenti un frodolento, le sconce ferite, le infermità, il lago di ghiaccio, e finalmente Lucifero che cadendo dal cielo fece tanto terrore nell'universo, che l'acqua si gelò, e la terra fuggendo di là dov'egli percosse, si sporse all'insù e formò una montagna, sopra gli cui scaglioni, andando in alto, è il Purgatorio, che conduce al Paradiso

terrestre, e oltre all'unità dell'azione forma anche unità di loco.

Immaginereste voi mai, che un cervello poetico tutto ripieno di così orribili e tragiche fantasie, fosse poi così arrendevole che, tutto ad un tratto lasciato il terrore, potesse trasferirsi, come nuovo e fresco, a rappresentare altre pitture, nelle quali fosse l'orribilità minore sì, ma non però con minore diligenza descritta, e quale al soggetto del Purgatorio si conveniva ?

Ahi quanto son diverse quelle foci
Dall'infernali! che quivi per canti
S'entra, e laggiù per lamenti feroci.

Purg., Cant. XVII.

Non più trovi pitture di disperazione, ma di anime che pregando e lagrimando attendono di loro penitenza la fine. E il tutto è così bene rappresentato, che a ragione disse: (Canto XII)

Qual di pennel fu maestro o di stile,

Che ritraesse l'ombre e i tratti, ch'ivi
Mirar farieno uno 'ngegno sottile?
Morti li morti, e i vivi parean vivi:

Non vide me' di me, chi vide 'l vero.

Ma perchè vo io così di cerchio in cerchio spaziando, e lungamente descrivendo quello che sa ciascheduno di voi? A cui non sono già noti tutti i Canti del Purgatorio, e fra gli altri i bellissimi, nobilissimi e profetici ultimi dieci, nei quali sopra tutti gli altri, come detto è, si solleva il poeta invasato dalla prossima venuta di Beatrice, poi dalla sua vista e da' suoi rimproveri. Finalmente uscito dalle umane miserie ti ritrovi fra gli splendori, le melodie e i gaudj eterni; e tutto ciò con sì belle e ingegnose invenzioni, con tanta magnificenza e con pitture veramente divine, che se attento fosti e non leggesti saltando o dormendo, lascio conchiudere a te, s'egli ti abbia condotto con arte e regolatamente dall'uscio dell' Inferno al più alto punto del cielo.

MELCHIOR CESAROTTI

(1730-1808)

Il Cesarotti esprime ed applica in certe sue pagine concetti critici così giusti ed equilibrati, che o almeno sembra a prima vista noi potremmo sottoscrivere oggi senza riserve i giudizi ch'egli esprimeva in quella fine del secolo XVIII. Ma allargando l'esame al complesso delle sue opere, allora ci si accorge facilmente che la tendenza della critica razionalistica, essenzialmente antistorica, propria del tempo suo prevale anche in lui. Solo così poteva accadere a chi aveva scritto nel Saggio sul gusto cose tanto sensate ed appropriate intorno al vero critico, di potere poi manomettere allegramente l'Iliade senza sentire che ciò era sacrilega presunzione, e assurda, inintelligente violenza contro la storia è contro la poesia.

Col Saggio sulla filosofia delle lingue si può dire che si apre l'età moderna nelle secolari discussioni dei nostri letterati sulla questione della lingua. Si veda come sono vivacemente ed efficacemente espresse, e come in sè giuste, le idee contenute nelle pagine qui immediatamente seguenti su tale materia.

CONTRO I PREGIUDIZI DEI GRAMMATICI E DEI RETORI SULLE LINGUE (1)

Nella classe di quei letterati che si dedicano particolarmente allo studio delle lingue, corrono per assiomi alcune opinioni che, mal fondate o mal applicate, impediscono costantemente il miglioramento della lingua medesima. Si crede da loro comunemente che, fra le lingue, altre abbiano qualche peccato di origine, altre il privilegio

1) Saggio sulla filosofia delle lingue, Parte I.

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