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E' ciel di vaghe e lucide faville
S'accende in torno, e 'n vista si rallegra
D'esser fatto seren da sì belli occhi (*).

Tre successivi abbozzi di un componimento escluso dal << Canzoniere ».

Primo abbozzo. (Ad esso precede questa notizia: « 1350, decembris 26, inter meridiem et nonam, sabato per Confortinum »).

Dal cielo scende quel dolce desire (1)
Ch' accende l' alma e poi l'acqueta; (3)
Onde pensosa e lieta

Conven ch' or si rallegri ed or sospire.

Secondo abbozzo (« Decembris 30, mercurii, eadem hora, scilicet inter meridiem et nonam »).

Amor che 'n cielo e 'n gentil core alberghi,

Tu vedi gl'infiammati miei desiri:

De sosterrai che mai sempre sospiri?
Altera donna col benigno sguardo
Leva talor si 'l mio pensier da terra,
Che de' begli occhi suoi molto mi lodo;

(*) Vale la pena riferire, intorno a questo sonetto, successivi giudizi della critica; singolarmente l'analisi dell'arte, (che al Petrarca è appropriata) fatta dal Muratori secondo la buona maniera della vecchia rettorica. Tassoni: «Questo è uno di quei sonetti che mostrano veramente di essere fatti da maestro dell'arte.» - Muratori: Se non è il più bello, è almeno uno dei più belli del Petrarca. Qui ti si rappresenta un' estasi amorosa; e il poeta agi. tato da straordinario estro ed affetto più non considera Laura come cosa umana ma sì bene come sovrumana e maravigliosa cosa, e tale ch'essa riempia di dolcezza e bellezza gli altri oggetti. Ecco dunque con che stupore e bizzarria entra il P. in questo son., e con che sublimità e amenità segue fino al fine. Rime difficili ben maneggiate. Ogni verso limato. Ogni sentimento magnifico e pellegrino, e ornato di vaghe figure. Un estro si gagliardo, e un' estasi tanto affettuosa fa che l'ultimo terzetto, quantunque si arditamente splendido, ci appaia bellissimo. Ma di gran lunga più leggiadra e più sicuramente bella vi è l' immagine che nel primo terzetto dà anima e preghiera all'erbette e ai fiori. Ammira e imita alle occasioni.» - E il Carducci: «L'analisi si estetica come rettorica del buon Muratori è finissima: ma anche quell' imita alle occasioni è il sommo dell'Arcadia».

(1) In uno dei vari altri tentativi questo verso dice: «Move dal cielo il mio dolce desire (2) Già: Che 'nfiamma la mia mente e poi l'acqueta ».

Ma dogliomi del peso ond'io son tardo
A seguire il mio bene, et vivo in guerra
Co l'alma rebellante!

Rompi, signor, questo intricato nodo!
E pregho ch' e miei passi in parte giri
Ove in pace perfecta alfin respiri.

Terzo abbozzo (« Veneris, 1 januarii, eadem hora »).

Amor che 'n cielo e in gentil core alberghi
E quanto è di valore al mondo inspiri
Acqueta l'infiammati miei sospiri.
Altera donna con sì dolce sguardo
Leva il grave pensier talor da terra,
Che lodarmi conven degli occhi suoi;
Ma dogliomi del nodo ond'io son tardo
A seguire il mio bene, e vivo in guerra
Coll'alma rebellante a' messi tuoi,
Signor, che solo intendi tutto e puoi.
Pur spero ch'e miei passi in parte giri
Ove in pace perfecta alfin respiri.

«< Hic videtur proximior perfectioni ».

GIOVANNI BOCCACCIO

(1313 1375)

Anche il Boccaccio, così interamente uscito dalla mentalità medievale nell'esercizio dell'arte, così schietto adoratore e pittore della vita come vita e franco cultore della più libera Musa, cioè della poesia come poesia e nelle prose e nelle ballate del Decamerone, anche il Boccaccio, seguendo le orme di Dante e del Petrarca, chiuso affatto ad ogni pensiero critico nuovo, riafferma il valore non artistico, dell'arte, ma allegorico, intellettuale, morale, religioso.

Nel Trattatello in Laude di Dante, teorizza (vedi pag. 46 segg.), nel Commento alla Commedia ribadisce coll' esempio della sua critica la teoria. Nel Commento del Boccaccio come in tutti i commenti antichi.... e molti anche dei non antichi dei valori poetici della Commedia non c'è quasi cenno alcuno. Partizione e ordinamento logico del Poema; spiegazione della lettera; significato allegorico più strettamente dottrinale, minuto, arido che non umano, universale, vivo, quale è pur quello che urge nell'alta e passionata poesia di Dante: ecco tutto.

Tuttavia, si è detto troppo, che tale sorta di studio critico, o commento, è estraneo alla poesia: piuttosto, fa parte della preparazione allo studio dell'opera d'arte come tale; al quale certamente, peraltro, il Boccaccio non passa, restando egli soltanto sul limitare del tempio, senza entrarvi.

Il non indegno epitaffio di Giovanni del Virgilio per Dante, comincia, «Theologus Dantes....»: la nota critica più viva e ricostruttiva, uscita dall'amoroso e devoto studio del Boccaccio, nel riguardo della Commedia, è il famoso sonetto che del divino Poeta pur ci presenta sempre quel medesimo aspetto: il poeta dell'allegoria per eccellenza:

Dante Alighieri son, Minerva oscura

D'intelligenza e d'arte, nel cui ingegno
L'eleganza materna aggiunse al segno,
Che si tien gran miracol di natura.

L'alta mia fantasia pronta e sicura

Passò il tartareo e poi celeste regno,
E nobil mio volume feci degno

Di temporal e spirital lettura....

POESIA È TEOLOGIA

IN FORMA DI "FABULOSO PARLARE,,
CIOÈ ALLEGORIA. (1)

La prima gente ne' primi secoli, comechè rozzissima e inculta fosse, ardentissima fu di conoscere il vero con istudio sì come noi veggiamo ancora naturalmente disiderare a ciascuno. La quale veggendo il cielo muoversi con ordinata legge continuo, e le cose terrene avere certo ordine e diverse operazioni in diversi tempi, pensarono di necessità dovere essere alcuna cosa, dalla quale tutte queste cose procedessero, e che tutte l'altre ordinasse, si come superiore potenzia da niun'altra potenziata. E, quest'investigazione seco diligentemente avuta, s'immaginarono quella, la quale « divinità » ovvero « deità » nominarono, con ogni cultivazione, con ogni onore e con più che umano servigio esser da venerare. E perciò ordinarono, a reverenza del nome di questa suprema potenzia, ampissime ed egregie case, le quali ancora estimarono fossero da separare così di nome, come di forma separate erano, da quelle che generalmente per gli uomini si abitavano; e nominaronle « templi ». E similmente avvisarono doversi (ordinar) ministri, i quali fossero sacri e, da ogni altra mondana sollecitudine rimoti, solamente a' divini servigi vacassero, per maturità, per età e per abito, più che gli altri uomini, reverendi; gli quali appellarono «sacerdoti ». E oltre a questo, in rappresentamento della immaginata essenzia divina, fecero in varie forme magnifiche statue, e a' servigi di quella vasellamenti d'oro e mense marmoree e purpurei vestimenti e altri apparati assai pertinenti a' sacrifici per loro istabiliti. E, acciocchè a questa cotale potenzia tacito onore o quasi mutolo non si facesse parve foro che con parola d'alto suono essa fosse da umiliare e alle loro necessità render propizia. E così

(1) Dalla Vita di Dante, IX e X.

come essi estimavano questa eccedere ciascuna altra cosa di nobiltà, così vollono che, di lungi da ogni plebeio o publico stilo di parlare, si trovassero parole degne di ragionare dinanzi alla divinità, nelle quali le si porgessero sacrate lusinghe. E oltre a questo, acciochè queste parole paressero aver più d'efficacia, vollero che fossero sotto legge di certi numeri composte, per li quali alcuna dolcezza si sentisse, e cacciassesi il rincrescimento e la noia. E certo, questo non in volgar forma o usitata, ma con artificiosa ed esquisita e nuova convenne che si facesse. La qual forma li greci appellano « Poetes »; laonde nacque, che quello che in cotale forma fatto fosse s'appellasse « Poesis »; e quegli, che ciò facessero o cotale modo di parlare usassono, si chiamassero « Poeti ».

Questa adunque fu la prima origine del nome della poesia, e per conseguente de' poeti, comechè altri n'assegnino altre ragioni, forse buone: ma questa mi piace più.

Questa buona e laudevole intenzione della rozza età mosse molti a diverse invenzioni nel mondo multiplicante per apparere; e dove i primi una sola deità onoravano, mostrarono i seguenti molte esserne, comechè quella una dicessono oltre ad ogni altra ottenere il principato; le quali molte vollero che fossero il Sole, la Luna, Saturno, Giove, e ciascuno degli altri de' sette pianeti, dagli loro effetti dando argomento alla loro deità; e da questi vennero a mostrare ogni cosa utile agli uomini, quantunque terrena fosse, deità essere, sì come il fuoco, l'acqua, la terra e simiglianti. Alle quali tutte e versi e onori e sacrifici s'ordinarono. E poi susseguentemente cominciarono diversi in diversi luoghi, chi con uno ingegno, chi con un altro, a farsi sopra la moltitudine indotta della sua contrada maggiori; diffinendo le rozze quistioni, non secondo scritta legge, chè non l'avevano ancora, ma secondo alcuna naturale equità, della quale più uno che un altro era dotato; dando alla loro vita e alli loro costumi ordine, dalla natura medesima più illuminati; resistendo con le loro corporali forze alle cose avverse possibili ad avvenire; e a chiamarsi re, e mostrarsi alla plebe e con servi e con ornamenti non usati infino a que' tempi dagli uomini a farsi ubbidire; e ultimamente a farsi adorare. Il che, solo che fosse chi 'l presumesse, sanza troppo difficultà avvenia; perciochè a' rozzi popoli parevano, così

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