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consueto la vita de' sommi ingegni è saturata, non tanto per la freddezza e l'invidia dell'umana schiatta, quanto per le cocenti passioni de' loro proprii cuori. Da sì fatto sentire scaturi una fonte più copiosa di conforto per Dante che pel Petrarca.

Mentre ch'io era a Virgilio congiunto
Su per lo monte che l'anime cura,
E discendendo nel mondo defunto,
Dette mi fur di mia vita futura
Parole gravi; avvegna ch'io mi senta
Ben tetragono ai colpi di ventura.

Ben veggio, padre mio, sì come sprona
Lo tempo verso me per colpo darmi
Tal ch'è più grave a chi più s'abbandona :
Perchè di provedenza è buon ch'io m'armi.

( sacrosante vergini, se fami,
Freddi o vigilie mai per voi soffersi,
Cagion mi sprona ch' io mercè ne chiami.
Or convien ch'Elicona per me versi,
E Urania m'aiuti col suo coro
Forti cose a pensar, mettere in versi.

E, s'io al vero son timido amico,
Temo di perder vita tra coloro

Che questo tempo chiameranno antico.

E da lettera di Dante novellamente scoperta appare, che circa l'anno 1316 gli amici di lui riuscissero a ottenere ch' ei fosse rimesso in patria e ne' beni, sol che scendesse a patti co' suoi calunniatori, si confessasse colpevole e chiedesse perdono alla Repubblica. Ecco la risposta che in tale occasione il poeta indirizzò a de' suoi parenti ch'ei chiama «Padre » forse perchè ecclesiastico, o, più probabilmente, perchè più vecchio di lui.

«Per lettere vostre, con debita riverenza e affe<«<zione accolte, ho compreso con grato animo e diligente <«< considerazione quanto il mio ripatriare stiavi a cuore; « però che tanto più strettamente mi obbligaste, quant' è

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più raro ch'esuli trovino amici. Al contenuto di esse poi rispondo, e (se non a quel modo che forse vor«rebbe la pusillanimità d'alcuni) affettuosamente vi prego a che, prima di giudicarne. vogliate pigliare con maturo « consiglio a ventilare la risposta. Ecco dunque quanto « per lettere del vostro e mio nipote e d'altri amici mi «< viene significato della parte pur dianzi presa in Firenze «< circa l'assoluzione de' mandati a' confini: che se volessi « pagare certa multa e patire la nota dell'offerta, potrei « venire assolto e ritornar di presente. Nel che, o padre, << due cose sono pur degne di riso e male preconsigliate: «<dico male preconsigliate da chi tali condizioni ha « espresse, giacchè le vostre lettere, con più discrezione e maturità conchiuse, nulla di ciò contenevano. È dessa << gloriosa cotesta rivocazione alla patria fatta a Dante, dopo che patì l'esilio quasi trilustre? Tale forse la <«< meritò un'innocenza manifesta a chiunque? Tale il su«dore e la fatica continuata nello studio? Lungi dal«l'uomo famigliare della filosofia la temeraria umiltà di << un cuore terreno, che, a modo di certo Ciolo e d'altri <«< infami, comporti qual vinto l'oblazione di sè stesso. «Lungi dall'uomo che predica giustizia e che ingiuria ha «patito, il pagare del proprio danaro coloro che l'arreca«rono, come fossero benefattori. Questa non è, padre «<mio, la strada di ritornare alla patria; ma se altra per « voi, o in appresso per altri si troverà che alla fama di «< Dante e all'onore non deroghi, quella con passi non <«<lenti accetterò. Che se per nessuna tale in Firenze si << entra, non mai in Firenze entrerò. E perchè no? Non « vedrò forse le spere del sole e degli astri da per tutto? «Non potrò forse sotto qualunque plaga speculare dol«cissime verità, se prima io non mi renda inglorioso, anzi <«< ignominioso al popolo e al comune di Firenze? — Nè <«< certamente mancherà pane ». (') — Nondimeno seguitò a provare

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ང་

come sa di sale

Lo pane altrui, e come è duro calle

Lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.

(1) Lettera di Dante, che conservasi nella Laurenziana a Firenze: pluteo XXIX, cod. VIII, fol 123.

I suoi concittadini ne perseguitarono fin la memoria; morto, fu scomunicato dal papa, e si minacciò di diseppellirne il cadavere, per abbruciarlo e disperderne le ceneri al vento ('). Il Petrarca chiuse i suoi dì in concetto di santo, pel quale il Cielo operava miracoli (2) e il senato di Venezia fece una legge contro chi ne trafugasse le ossa, vendendole come reliquie (").

Altri potrebbe credere che il Petrarca, compiendo fedelmente e generosamente a tutti i doveri sociali con ciascuno che gli stava intorno, e facendo continuamente ogni sforzo per tenere a freno le sue passioni, ne dovesse venir riputato virtuoso e sentirsi felice. Virtuoso fu; ma fu più infelice di Dante, da cui mai non trasparve quella irrequietudine e perplessità d'animo che fece il Petrarca minore di sè agli occhi proprii, e lo trasse ad esclamare negli ultimi giorni suoi: «Giovane, spregiai tutto <«il mondo, da me in fuori; nella virilità, me stesso; or «vecchio omai, disprezzo e il mondo e me » (1). Se vissuti fossero in consueta comunicazione, Dante avrebbe avuto dall'emulo suo quel vantaggio, che quanti si fanno ad operare giusta prestabiliti e immutabili propositi hanno da chi cede a variabili e istantanei impulsi. Il Petrarca avrebbe potuto dire con Dante

Coscienzia m'assicura,

La buona compagnia che l'uom francheggia
Sotto l'usbergo del sentirsi pura.

Ma l'ardente anelare a morale perfezione e il disperarne, lo indusse a guardare «con trepida speranza » al giorno che doveva essere citato al cospetto di Giudice inesorabile. Dante credeva espiare gli errori dell'umanità co' patimenti in terra:

Ma la bontà infinita ha si gran braccia,
Che prende ciò che si rivolve a lei;

(1) Bartolus, Lex de rejudicandis reis, ad cod. I

(2) Ea res miraculo ostendit divinum illum spiritum Deo,amiliarissimum. Vita Petr., sul fine.

(3) Tomasini, Petrarcha redivivus, pag. 30

(4) Senil, lib. XIII, cp. 7.

Villani,

e par ch'ei volgasi al cielo da uomo che adora, più presto che da supplice. Fermo nella mente il concetto «l'uomo allora essere felice davvero che libero esercita tutte « le sue forze » ('), Dante percorse con passo sicuro il cammin della vita,

E vigilando nell'eterno die,

Si che notte nè sonno a lui non fura
Passo che faccia 'l secol per sue vie,

raccolse opinioni, follie, vicissitudini, miserie e passioni, onde gli uomini vengono agitati, e lasciò dopo sè monumento il quale, se ne umilia con la rappresentazione di nostre fralezze, dovrebbe farci insuperbire di far parte d'una stessa natura con un tant'uomo, e ci conforta al miglior uso di nostra vita transitoria. Il Petrarca da saviezza piuttosto contemplativa che attiva fu guidato a conoscere, come le travagliose nostre fatiche in pro degli uomini eccedano a gran pezza qual benefizio ne possa ad essi tornare, come ogni nostro passo non ad altro riesca all'ultimo che ad approssimarci al sepolcro; e come la morte sia tra i doni della Provvidenza il migliore, e il mondo avvenire l'unica dimora nostra sicura. Vacilla quindi nel mortal viaggio, convinto che stanchezza e fa«stidio d'ogni cosa fossero naturali all'animo suo » (2);

e così sconto il prezzo di que' doni che natura, fortuna e il mondo gli avevano largamente profusi, senza neppur la vicenda de' consueti rovesci.

FARINATA (*)

La osservazione diligentissima della storia guasta i magici incanti degli altri poeti; e a' critici corre debito di non discorrerne più che tanto. Ma in questo nostro chi

(1) Questa sentenza ricorre più volte ne' libri De Monarchia: citiamone due soli luoghi che leggonsi nel libro primo. « Patet quod genus humanum in quiete swe tranquillitate pacis ad proprium suum opus, quod fere divinum est (juxta illud: minuisti eum paulo minus ab angelis) liberrime atque facillime se habet ». Cap. 5. Et humanum genus, potissumum liberum, optime se habet». Cap. 14.

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(2) Cum omnium rerum fastidium atque odium naturaliter in animo meo insitum ferre non possim Epist ad Post.

(*) Dal « Discorso sul testo del Poema di Dante, capitoli CXL - CXLI.

più la considera più s'accerta che la finzione assume apparenze e potere di verità; onde quanto più Dante è guardato da storico, tanto più illude e sorge ammirabile come poeta. Scrivendo, ei sapeva che l'amico suo giaceva sot terra già da più anni:

Allor, come di mia colpa compunto,
Dissi: Or direte dunque a quel caduto,
Che il suo nato è co' vivi ancor congiunto.
E s'io fui dianzi alla risposta muto,
Fat'ei saper, che il fei, perchè pensava
Già nell'error che m'avete soluto (').

La sua ignoranza della cecità degli spiriti a scorgere cose che stanno per accadere, pare, com'è, la ragione poetica del silenzio; e il romperlo gli era imposto più veramente da compassione al padre di Guido. Però da prima sta in forse; poscia mentre pur lo consola, la voce ANCORA gli è suggerita per non violare la verità, ed insieme lasciar intendere come Guido aveva di poca e languida vita. Dopo più tempo ch'egli viveva perduto per sempre il suo nobile compagno, Dante scrivendo ANCORA è vivo, sentiva un lutto che non può essere concepito se non da' lettori, i quali non hanno più nè patria nè amico.

Il passaggio istantaneo in quel canto dalle fiere memorie e dalle profezie delle stragi civili, alle malinconiche dell'amico morente, e alle lodi della filosofia e delle lettere, è uno de' contrasti di sceneggiatura e di chiaroscuro da' quali risultano gli effetti maggiori, direi quasi tutti, delle arti di immaginazione. Omero, e Dante, e 1 poeti Ebrei ne sono maestri, non però possono insegnare il secreto dell'arte, perchè essi l'usavano quasi senza conoscerlo, e come l'ottennero dalla natura, e da' tempi. Dipende da impetuosa velocità di sentire gli affetti e af ferrare fantasie diverse in un subito, tutta propria delle epoche ancor mezzo barbare. Pare che Dante pensando a Farinata degli Uberti, eroe ghibellino, e alle guerre civili, si risovvenisse di Corso Donati (2). Onde il vecchio Cavalcanti si mostra fuori dell'arca, e interrompe il discorso politico dimandando del figlio suo; e incontanente

(1) Interno, X, 109-114.

(2) Dino Compagni, Croniche, lib. I.

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