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amor ragiona, nel che devesi biasimare il suo intelletto, che le sue rime in lodar costei patiscon difetto, perciochè non vede il Sol cosa tanto gentile, che tanto ha bello quanto a lei fa somiglianza. Le virtù che lei adornano superano la invidia, la qual regna sol dove è paraggio: ma questa è senza pari, e supera il nostro dire come raggio del Sole un fragil viso.

.... Eccomi a colui, a comparazion del quale son gli altri quasi nottole a' solari raggi, et esso a quelli Aquila acutissima, tutto tropi, tutto figure, tutto poetico. Questo è Francesco Petrarca, fonte abbondantissima a ciascuno esposto, donde da' nostri poeti infiniti rivoli si deducono, le cui sentenze in laudare l'amata Lauretta, et in narrare il suo ardore con le sue parole (come de gli altri Italiani abbiamo fatto) brevissimamente mostreremo. È la sua donna tra le donne un sole, e come questo fa sparir le minori stelle così ella non solamente le donne ma il sole stesso offusca per non essere alcuna di lei più bella: quella età si mirò in lei, le sue lodi non potria chiudere in versi chi più degno la mano a scrivere porse da stancare Omero e Virgilio, l'una e l'altra lira, Demosthene e Tullio. Ma la sua stella quelle ha commesse a ch' il suo nome adora, benchè forse le scema parlando, per essere il suo ingegno in ciò inetto, e offeso da soverchio lume; però dubita non essere ingiurioso e che la sua indignità la offenda: ma perchè non sa altro che lodare, se per tutto il mondo non le potrà far intendere, le udirà almeno il bel paese ch'Appennin parte e 'l mar circonda e l'Alpe. Se da lui escono opere degne d'immortalità e nasce di lui alcun buon frutto, ella ne è causa e da lei viene il seme. Ringrazia la natura che riservato l'hanno a tanto bene, che Laura gli innalza il cuor ad esser tale, quale a l'alta speranza si conface; questa più bella e d'altra più pudica gli insegna la via dritta al Ciel, le trecce bionde, le mani bianche sottili, le braccia gentili, gli atti soavemente alteri, gli sdegni alteramente umili, l' andare che non è cosa mortale ma di angelica forma, le parole che suonano altro più che voce umana, grazia ch' a pochi il Ciel largo destina. Il riso dolce con leggiadria, virtù, onor e bellezze, furono i Magi che lo trasmutarono. Desia aver

chiusi gli occhi, poscia che vide lei, per non veder dappoi minor bellezza, che quanto non è in lei odia e disprezza: placergli essere nato in tal età, che chi non ha vista la sua donna potrà dolendosi dire: Perchè non venne ella più tardi, o io più per tempo? Quando morirà costei, il mondo resterà senza il suo sole, e gli occhi suoi che luce altra non hanno.

PIETRO BEMBO
(1470 - 1547)

Il Bembo è quel sommamente autorevole legislatore letterario a cui con plauso sincero e grande s' inchina il suo secolo, e si può dire che s'inchinarono anche i due secoli seguenti, come al massimo interprete e regolatore dell'ideale estetico del Rinascimento. Noi possiamo discordare profondamente da lui nel gusto e nel pensiero critico, potremmo anche averlo cordialmente in antipatia per il carattere della sua arte e del suo spirito, ma rinunzieremo a conoscere esattamente uno dei momenti di capitale importanza nella storia della nostra letteratura, se non ci faremo ad esaminare l'opera di lui, in sè e nella sua efficacia, serenamente

e attentamente.

Solo con lui la letteratura di lingua volgare esce, nell'opinione del secolo, di minorità, ed è giudicata interamente capace di valori d'arte e di bellezza. Perchè egli porta dalle letterature classiche (studiate e considerate secondo il metodo e la mente degli umanisti) nella lingua e nello stile italiano, quella regolarità di grammatica, quella struttura logica, quella venustà e gentilezza di forme elette, che rispondeva alle aspirazioni, alle esigenze aristocratiche della civiltà e del gusto estetico del Rinascimento. Per lui la letteratura nuova consegue, così, nell'uso artistico, la vittoria definitiva sulla latina e si afferma senza più incertezze nella storia.

Dato il concetto che abbiamo noi della critica d'arte, può non parerci tale quella filologia rettorica di cui egli esclusivamente si occupa, sia in forma di trattazione sistematica, sia giudicando questo o quel componimento letterario. Ma dobbiamo metterci in mente che quella è la vera critica per lui, e per l'età sua, — in quanto essa si occupa della parte che più lo interessa. Gli elementi più profondi e vitali della poesia non sono sfiorati, sia perchè son dati come supposti, sia perchè sono lasciati all'indagine, al gusto, all' intelligenza individuale, sia perchè sono considerati come superiori alla sfera dello studio e della riflessione critica e inattingiAndreoli. 6

bili, sia in verità soprattutto perchè, come ho detto sopra, la passione del tempo è per le belle forme, e scarsa invece è generalmente la sensibilità per le virtù sostanziali e animatrici dell'arte.

Si osservino come specialmente tipiche: la pagina su Dante anzitutto; po e qualità poetiche che sono oggetto d'esame nelle analisi particolari dei versi. Se questi siano pieni o vuoti di conte nuto umano e spirituale, di intima risonanza sentimentale, di visione fantastica, ciò non interessa il Bembo, e non lo muove affatto; nè egli è prepotentemente spinto mai a trarre in luce e ricreare questi elementi essenziali, per sè e pel suo lettore.

GIUDIZIO DEL BEMBO SULLA LETTERATURA ITALIANA DAL DUECENTO AL CINQUECENTO. (1)

E ora, monsignor Giulio, è a questi ultimi secoli successo alla latina lingua la volgare; ed è successa così felicemente, che già in essa non pur molti, ma ancora eccellenti scrittori si leggono e nel verso e nella prosa. Perciocchè da quel secolo, che sopra Dante insino a esso fu, cominciando, molti rimatori incontanente sursero, non solamente della vostra città, e di tutta Toscana, ma eziandio altronde, siccome furono M. Pietro dalle Vigne, Buonagiunta da Lucca, Guitton d'Arezzo, M. Rinaldo d'Aquino, Lapo Gianni, Francesco Ismera, Forese Donati, Gianni Alfani, Ser Brunetto notajo, Jacomo da Lentino, Mazzeo e Guido Giudice messinesi, il re Enzo, l'imperador Federigo, M. Onesto e M. Semprebene da Bologna, M. Guido Guinicelli bolognese .anch'egli, molto da Dante lodato, Lupo degli Uberti, che assai dolce dicitor fu per quella età senza fallo alcuno, Guido Orlandi, Guido Cavalcanti, de' quali tutti si leggono ora componimenti, e Guido Ghisilieri e Fabrizio bolognesi, e Gallo pisano, e Gotto mantovano, ch'ebbe Dante ascoltatore delle sue canzoni, e Nino sanese, e degli altri, de' quali non così ora componimenti, che io sappia, si leggono. Venne appresso a questi, e in parte con questi, Dante, grande e magnifico poeta, il quale di grandissimo spazio tutti addietro gli si fasciò. Vennero appresso a Dante, anzi pure con esso lui, ma a lui sopravvissero M. Cino vago e gentil poeta, e soprat

(1) Le Prose della Volgar Lingua. Dalla medesima opera sono tratti anche i seguenti passi del Bembo.

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