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role della diceria si possano ornare in molti modi. Ciascuno ornamento ha il suo modo, e, per meglio tenerlo a memoria, di ciascuno darò esempio acciò che si conosca meglio come si fanno.

DELL'ORNAMENTO CHE SI APPELLA RIDICIMENTO.

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È un ornamento di parole, che si appella Ridicimento, il quale si fa quando una medesima parola molte volte si ridice; e puossi fare in tre modi. Il primo modo, ponendo la parola, che si ridice, dinanzi; il secondo, ponendola di dietro; il terzo, ponendola dinanzi e di dietro. Ponendo la parola, che si ridice, dinanzi, si fa in questo modo: «Vor siete quegli, a cui è da rendere onore; voi siete quegli, a cui conviene questa cosa; voi siete quegli, a cui è da fare questa grazia ». Item: « Scipione Numanzia tolse via; Scipione Cartagine disfece; Scipione difese i Romani, che non furono disfatti: Scipione rendette pace ai Romani ». Item: « Tu se' quegli che di favellare hai ardimento? Tu se' quegli che addimandare puoi sicuramente? Tu se' quegli che puoi dire che ne sia fatta vendetta?». Ponendo la parola, che si ridice, di dietro, si fa in questo modo: «Posciachè tra i cittadini vostri s'incominciò la discordia, la ragione ne fu tolta, la libertà ne fu tolta, la città ne fu tolta ». Item: « Cornelio, uomo nuovo, era ingegnoso e gentile e buon uomo, e però nella città nostra il migliore era». Ora ponendo le parole, che si dicono, di dietro e dinanzi, si fa in questo modo: «Chi sono quelli che i patti spesse volte hanno rotti? i Cartaginesi. Chi sono quelli che crudeli battaglie hanno fatto co Romani? i Cartaginesi. Chi sono quelli che tutta Italia hanno trasformata? i Cartaginesi. Chi sono quelli che dimandano che sia loro perdonato? i Cartaginesi. Vedete com'è convenevole che sia loro conceduto?». Item: « Cui la potestade ha dannato, cui il capitano ha dannato, cui li rettori delle arti hanno dannato, assolveremo noi per nostra sentenzia? ».

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DANTE ALIGHIERI

(1265 - 1321)

...Io mi son un, che quando
Amor mi spira, noto, ed a quel modo
Ch'e' ditta dentro, vo significando.

(Purgatorio XXIV, 52-54)

Chi così si esprime, è davvero il Dante che ne la Vita Nova con ingenuo candore dice ciò che Amore in persona della gentilissima Beatrice spira ed opera in lui; ed è il Dante di quell' intellettuale e reale Amore ch'è Dio stesso, che gli detta la Commedia : cioè il Dante poeta non il Dante critico a cui balena sfol

gorante in piena coscienza il principio primo da cui nasce l'arte, rompendo tutte le nubi delle dottrine rettoriche e scolastiche e l'aria greve del gusto dell'artificioso, dell'ornato e del lambiccato che aduggiano il pensiero critico: il principio cioè dell'intima passione dettatrice.

Ma quando il critico prevale sul poeta e Dante tratta di proposito il problema teorico dell'arte, allora egli non esce dagli schemi e dal gusto del suo tempo, e scrive, che poesia niente altro è se non una finzione rettorica (1) posta in musica » (De Vulg. El. II, 4) e afferma che «la rettorica è soavissima di tutte le altre scienze» spiegando come e perchè (Convivio, II, 14). Allora si ferma alla teoria e al compiacimento dell'« ornato » (De Vulg. El. II, 6, e anche Vita Nova XXV) e alla dottrina dell'allegoria (Conv., HI, 1), per cui la esposizione vera delle scritture poetiche

(1) Questa definizione però forse non dovrebbe far inorridire tanto i moderni: le parole finzione rettoricas, secondo quello che il pensiero di Dante probabilmente intravvedeva in tal termini, non dovremmo noi tradurle con le parole dell'uso nostro e intendere che «finzione» equivale in fondo a «creazione» e «rettoricas significava per Dante, e per qualsiasi poeta vero, fantastica», «favolosa», «d'immagini » ? Ma siamo sempre al medesimo punto: come artista, Dante intendeva certamente questa sua definizione nel senso profondo e più vero; come critico, non la usava evidentemente che nel suo significato letterale e storico.

è quella allegorica (Conv., II, 13), sicchè il bel velo della forma cade come elemento sovrapposto e secondario.

Con tutto ciò, nella Vita Nova, accanto alle più pure espressioni liriche del poeta, vigila una coscienza critica delicatissima e acutissima, collaboratrice e non disturbatrice del genio creatore, ma pure autonoma nell'osservare l'operare di quello. E a proposito dell'argomento estetico che è più suo e più l'appassiona, quello della lingua, Dante cammina arditamente per la regione inesplorata e getta non di rado gli occhi al fondo di ardue verità con la sicurezza che gli viene dal sentirsi lui stesso partecipe dell'artistica creazione della lingua nuova.

Quanto alla dottrina dell'allegoria come teorica estetica fondamentale di Dante, è appena necessario avvertire che anche in questo, come generalmente in tutta la sua concezione filosofica, egli è l'interprete ortodosso del pensiero medievale, cattolico e, più precisamente, tomistico.

COME DA VERITÀ DI VITA NASCE, COME NELL' ANIMA FANTASTICAMENTE SI CREA, COME INTELLETTUALMENTE PRENDE ORDINE UNA CREAZIONE POETICA. (1)

Avvenne uno die che, sedendo io pensoso in alcuna parte, ed io mi sentio cominciare un tremuoto nel cuore, così come che se io fosse stato presente a questa donna. Allora dico che mi giunse una imaginazione d'Amore; che mi parve vederlo venire da quella parte ove la mia donna stava, e pareami che lietamente mi dicesse nel cor mio: «Pensa di benedicere lo dì che io ti presi, però che tu lo dèi fare ». E certo me parea avere lo cuore si lieto, che me non parea che fosse lo mio cuore, per la sua nuova condizione. E poco dopo queste parole, che lo cuore mi disse con la lingua d'Amore, io vidi venire verso me una gentile donna, la quale era di famosa bieltade, e fue già molto donna di questo primo mio amico (2). E lo nome di questa donna era Giovanna, salvo che per la sua bieltade, secondo che altri crede, imposto l'era nome Primavera; e così era chiamata. E appresso lei, guardando, vidi venire la mirabile Beatrice. Queste donne andaro presso di me così l'una appresso l'altra, e parve che Amore

(1) Dalla Vita Nova. 2) Guido Cavalcanti

mi parlasse nel cuore, e dicesse: « Quella prima è nominata Primavera solo per questa venuta d'oggi; chè io mossi lo imponitore del nome a chiamarla così Primavera, cioè « prima verrà » lo die che Beatrice si mosterrà dopo la imaginazione del suo fedele ('). E se anche vòli considerare lo primo nome suo, tanto è quanto dire « prima verrà », però che lo suo nome Giovanna è da quello Giovanni lo quale precedette la verace luce, dicendo: Ego vox clamantis in deserto: parate viam Domini ». Ed anche mi parve che mi dicesse, dopo, queste parole: « E chi volesse sottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbe Amore, per molta simiglianza che ha meco ». Onde io poi ripensando, propuosi di scrivere per rima a lo mio primo amico, tacendomi certe parole le quali pareano da tacere, credendo io che ancora lo suo cuore mirasse la bieltade di questa Primavera gentile; e dissi questo sonetto, lo quale comincia: Io mi sentii svegliar.

Io mi sentii svegliar dentro a lo core
un spirito amoroso che dormia;
e poi vidi venir da lungi Amore
allegro sì, che appena il conoscia,
dicendo: Or pensa pur di farmi onore
e ciascuna parola sua ridia.

E poco stando meco il mio segnore,
guardando in quella parte onde venia,
io vidi monna Vanna e monna Bice

venire in ver lo loco là ov'io era,
l'una appresso de l'altra maraviglia;
e sì come la mente mi ridice,
Amor mi disse: Quell'è Primavera,
e quell'ha nome Amor, sì mi somiglia

Questo sonetto ha molte parti: la prima de le quali dice come io mi sentii svegliare lo tremore usato nel cuore, e come parve che Amore m'apparisse allegro nel mio cuore da lunga parte; la seconda dice come me parea che Amore mi dicesse nel mio cuore, e quale mi parea; la terza dice come, poi che questi fue alquanto stato

(1) Dopo che il suo fedele, cioè Dante stesso, ha immaginato, quasi vaneggiando durante una infermità, la morte di lei.

meco cotale, io vidi ed udio certe cose. La seconda parte comincia quivi: dicendo: Or pensa; la terza quivi: E poco stando. La terza parte si divide in due: ne la prima dico quello che io vidi; ne la seconda dico quello che io udio. La seconda comincia quivi: Amor mi disse.

Potrebbe qui dubitare persona degna da dichiararle onne dubitazione, e dubitare potrebbe di ciò, che io dico d'Amore come se fosse una cosa per sè, e non solamente sustanzia intelligente ma si come fosse sustanzia corporale la quale cosa, secondo la veritade, è falsa; che Amore non è per sè sì come sustanzia, ma è uno accidente in sustanzia. E che io dica di lui come se fosse corpo, ancora si come se fosse uomo, appare per tre cose che dico di lui. Dico che lo vidi venire; onde, con ciò sia cosa che venire dica moto locale, e localmente mobile per sè, secondo lo Filosofo, sia solamente corpo, appare che io ponga Amore essere corpo. Dico anche di lu che ridea, e anche che parlava; le quali cose paiono essere proprie de l'uomo, e spezialmente essere risibile; e però appare ch'io ponga lui essere uomo. A cotale cosa dichiarare, secondo che è buono a presente, prima è da intendere che anticamente non erano dicitori d'amore in lingua volgare, anzi erano dicitori d'amore certi poete in lingua latina; tra noi, dico (avegna forse che tra altra gente adivenisse e adivegna ancora, si come in Grecia), non volgari ma litterati poete queste cose trattavano. E non è molto numero d'anni passati, che appariro prima questi poete volgari; chè dire per rima in volgare tanto è quanto dire per versi in latino, secondo alcuna proporzione. E segno che sia picciolo tempo è, che, se lemo cercare in lingua d'oco e in quella di sì, noi non troviamo cose dette anzi lo presente tempo per cento e cinquanta anni. E la cagione per che alquanti grossi ebbero fama di sapere dire, è che quasi fuoro li primi che dissero in lingua di sì. E lo primo che cominciò a dire si come poeta volgare, si mosse però che volle fare intendere le sue parole a donna, a la quale era malagevole d'intendere li versi latini. E questo è contra coloro che rimano sopra altra matera che amorosa, con ciò sia cosa che cotale modo di parlare fosse dal principio trovato per dire d'amore. Onde, con ciò sia cosa che a li poete sia conceduta maggiore licenza di parlare che a li prosaici dittatori, e questi dicitori per rima non siano altro che

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