. Dunque alla patria riva O converso in dolor gioja Romana! Fatti querele e pianti ! IN MORTE DI ORAZIO ZANCHINI. Benchè di Dirce al fonte Spensi primier la sete, Che già SAVONA mia lunga sostenne, E di Parnaso al monte Sulle piagge segrete Di lei cigno novel sciolsi le penne; Non mai però mi avvenne Si desïata sorte,' Il canto, ond' io potessi Vincer quaggiù l'aspro rigor di morte, Od al suo colpo crudo Ond' io temprassi scudo. Colei d'alti diamanti L'orrido cor si serra, Nè l' altrui merto unqua pietà vi crea; Nè per preghi o per pianti Unqua perdona in terra, Sempre a i mortali inessorabil, rea. Tua legge io non rifiuto, Si ti riprego ardente, Me tua falce possente Nelle piagge del dì mieta canuto, Caderci in sul fiorire. Ma te, del nostro giorno Mattino aureo sereno, Ria morte, ORAZIO, acerbamente ha spento; E benchè al tuo ritorno Nel bel velo terreno Vano sia il lagrimar, vano il lamento; Pur piango a i pianti intento, Onda Fiorenza sona Che del tuo vago Aprile, Già d'ogni fior gentile, Lieta sul biondo crin portò corona: Ora il bel crin si frange, E sul tuo sasso piange. Ma la cetra soave, Che su corde canore Svegliava il suon della dolcezza eterna, Fatta funesta, e grave D'immenso atro dolore, Tace per te nella magion paterna ; E il Dio, che almo governa Casto le stirpi umane Spenta ha la face accesa; Nè col desir contesa Fan più d'amor le vergini Toscane, Che col gel, che ti preme, Vedova è la lor speme. Così di porto uscito Per oceano orrendo Perdi le merci a te dal ciel concesse ; E noi quaggiù sul lito Lasci ad ognor piangendo L'Austro crudel, che 'l tuo bel legno oppresse. Vidi qual' aurea messe Che, ove più ricche usciro, Dentro l'ombre inimiche Perdeo l'amate spiche; O quale agli occhi altrui conca di Tiro Fra l'alghe in sull'arena Senz' ostro ond' ella è piena. PER AGOSTINO BARBARIGO, MORTO NELLA BATTACLIÁ Di cotanti gravosi aspri martiri, Di cotanti dogliosi aspri lamenti, Non sia chi, prego, in ascoltar s'adiri ; Fortuna di dolore; Fatta avversa d'Italia al primo onore, E colà miete ove le dia più pena . Ma tu, che siedi in grembo al gran Tirreno Coronata d'ulivo, alta Reina, Dalla strage barbarica nemica Il BARBARIGO altero Raccogli, e chiudi alla bell' Adria in seno Fia sopra il cener suo tempo, che dica Ecco il flagel dell' Ottomano impero ! Ora lume d'Italia in ciel traslato. Tal bene apparse folgorando in guerra Tesseva al gran valor la patria terra; Ampio sangue infedel, viste beate, Ei gravi in sul morir gli occhi chiudea. Qual dunque dal sonoro almo Ippocrene, Qual dalle selve del gentil Permesso, Altra chiamerò Musa al mio dolore, Salvo quella che spira Dolci modi di lagrime e di pene? Io citarista di tormento e d'ira, Misero cigno alla stagion funesta. CANZONE EROICA PER CARLO DI SAVOJA, DUCA DI NEMOURS, CHE Scende mai su l' April nuovo torrente, Mentre da lunge rimbombando il freme Indi in valle profonda Chiama con ferro eserciti campestri, Contra l'orribil onda, E d'immenso terren compone un morso, Che all' inimico fier travolga il corso ¿ Ma come a sè d'avante Argini sente l'implacabil fiume, Così doppia il furor, doppia le spume Comp. Lir. I 31 |