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20

Allor sente la frale anima mia
Tanta dolcezza che 'l viso ne smore,
Poi prende Amore in me tanta vertute
Che fa li miei spiriti gir parlando,
Ed escon for chiamando

La donna mia, per darmi più salute.
Questo m'avvene ovunque ella mi vede,
E sì è cosa umil, che nol si crede.

XXVIII

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Quomodo sedet sola civitas plena populo! facta est quasi vidua domina gentium. Io era nel proponimento ancora di questa canzone, e compiuta n'avea questa soprascritta stanzia, quando lo segnore de la giustizia chiamòe questa 5 gentilissima a gloriare sotto la insegna di quella regina benedetta virgo Maria, lo cui nome fue in grandissima reverenzia ne le parole di questa Beatrice beata. E avvegna che forse piacerebbe a presente trattare alquanto de la sua partita da noi, non è lo mio intendimento di trattarne qui 10 per tre ragioni: la prima è che ciò non è del presente pro

posito, se volemo guardare nel proemio che precede questo libello; la seconda si è che, posto che fosse del presente proposito, ancora non sarebbe sufficiente la mia lingua a trattare come si converrebbe di ciò; la terza si è che, 15 posto che fosse l'uno e l'altro, non è convenevole a me trattare di ciò, per quello che, trattando, converrebbe essere me laudatore di me medesimo, la quale cosa è al postutto biasimevole a chi lo fae; e però lascio cotale trattato ad altro chiosatore. Tuttavia, però che molte volte 20 lo numero del nove ha preso luogo tra le parole dinanzi,

onde pare che sia non sanza ragione, e ne la sua partita

cotale numero pare che avesse molto luogo, convenesi di dire quindi alcuna cosa, acciò che pare al proposito convenirsi. Onde prima dicerò come ebbe luogo ne la sua partita, e poi n'assegnerò alcuna ragione, per che questo 25 numero fue a lei cotanto amico.

XXIX

Io dico che, secondo l'usanza d'Arabia, l'anima sua nobilissima si partìo ne la prima ora del nono giorno del mese; e secondo l'usanza di Siria, ella si partìo nel nono mese de l'anno, però che lo primo mese è ivi Tisirin primo, lo quale a noi è Ottobre; e secondo l'usanza nostra, ella si partìo in 5 quello anno de la nostra indizione, cioè de li anni Domini, in cui lo perfetto numero nove volte era compiuto in quello centinaio nel quale in questo mondo ella fue posta, ed ella fue de li cristiani del terzodecimo centinaio. Perchè questo numero fosse in tanto amico di lei, questa potrebbe essere 10 una ragione: con ciò sia cosa che, secondo Tolomeo e secondo la cristiana veritade, nove siano li cieli che si muovono, e secondo comune oppinione astrologa li detti cieli adoperino qua giuso secondo la loro abitudine insieme, questo numero fue amico di lei per dare ad intendere che 15 ne la sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s'aveano insieme. Questa è una ragione di ciò; ma più sottilmente pensando, e secondo la infallibile veritade, questo numero fue ella medesima; per similitudine dico, e ciò intendo così: Lo numero del tre è la radice del 20 nove, però che sanza numero altro alcuno, per se medesimo fa nove, sì come vedemo manifestamente che tre via tre fa nove. Dunque se lo tre è fattore per se medesimo del nove, e lo fattore per se medesimo de li miracoli è tre, cioè Padre

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25 e Figlio e Spirito Santo, li quali sono tre e uno, questa donna fue accompagnata da questo numero del nove a dare ad intendere ch'ella era uno nove, cioè uno miracolo, la cui radice, cioè del miracolo, è solamente la mirabile Trinitade. Forse ancora per più sottile persona si vederebbe in 30 ciò più sottile ragione; ma questa è quella ch'io ne veggio, e che più mi piace.

XXX

Poi che fue partita da questo secolo, rimase tutta la sopradetta cittade quasi vedova dispogliata da ogni dignitade; onde io, ancora lagrimando in questa desolata cittade, scrissi a li principi de la terra alquanto de la sua 5 condizione, pigliando quello cominciamento di Geremia profeta che dice: Quomodo sedet sola civitas. E questo dico, acciò che altri non si maravigli perchè io l'abbia allegato di sopra, quasi come entrata de la nuova materia che appresso vene. E se alcuno volesse me riprendere di ciò, Io ch'io non scrivo qui le parole che seguitano a quelle allegate, escusomene, però che lo intendimento mio non fue dal principio di scrivere altro che per volgare; onde, con ciò sia cosa che le parole che seguitano a quelle che sono allegate, siano tutte latine, sarebbe fuori del mio intendi15 mento se le scrivessi. E simile intenzione so ch'ebbe questo mio primo amico a cui io ciò scrivo, cioè ch'io li scrivessi solamente volgare.

XXXI

Poi che li miei occhi ebbero per alquanto tempo lagrimato, e tanto affaticati erano che non poteano disfogare la mia tristizia, pensai di volere disfogarla con alquante pa

role dolorose; e però propuosi di fare una canzone, ne la quale piangendo ragionassi di lei per cui tanto dolore era 5 fatto distruggitore de l'anima mia; e cominciai allora una canzone, la qual comincia: Li occhi dolenti per pietà del core. E acciò che questa canzone paia rimanere più vedova dopo lo suo fine, la dividerò prima che io la scriva: e cotale modo terrò da qui innanzi.

ΙΟ

Io dico che questa cattivella canzone ha tre parti: la prima è proemio; ne la seconda ragiono di lei; ne la terza parlo a la canzone pietosamente. La seconda parte comincia quivi: Ita n'è Beatrice; la terza quivi: Pietosa mia canzone. La prima parte si divide in tre: ne la prima dico 15 perchè io mi muovo a dire; ne la seconda dico a cui io voglio dire; ne la terza dico di cui io voglio dire. La seconda comincia quivi: E perchè me ricorda; la terza quivi: E dicerò. Poscia quando dico: Ita n'è Beatrice, ragiono di lei; e intorno a ciò foe due parti: prima dico la cagione per 20 che tolta ne fue; appresso dico come altri si piange de la sua partita, e comincia questa parte quivi: Partissi de la sua. Questa parte si divide in tre: ne la prima dico chi non la piange; ne la seconda dico chi la piange; ne la terza dico de la mia condizione. La seconda comincia quivi: 25 Ma ven tristizia e voglia; la terza quivi: Dannomi angoscia. Poscia quando dico: Pietosa mia canzone, parlo a questa canzone, disignandole a quali donne se ne vada, e steasi con loro.

Li occhi dolenti per pietà del core
Hanno di lagrimar sofferta pena,
Sì che per vinti son remasi omai.
Ora, s'i' voglio sfogar lo dolore

Che a poco a poco a la morte mi mena,

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Convenemi parlar traendo guai.
E perchè me ricorda ch' io parlai
De la mia donna, mentre che vivia,
Donne gentili, volentier con vui,
Non voi' parlare altrui,

Se non a cor gentil che in donna sia;
E dicerò di lei piangendo, pui

Che si n'è gita in ciel subitamente,

E ha lasciato Amor meco dolente.

Ita n'è Beatrice in l'alto cielo,

Nel reame ove li angeli hanno pace,

E sta loro, e voi, donne, ha lassate:
No la ci tolse qualità di gelo

Nè di calore, come l'altre face,
Ma solo fue sua gran benignitate;
Chè luce de la sua umilitate

Passò li cieli con tanta vertute,

Che fe' maravigliar l'etterno sire,
Sì che dolce disire

Lo giunse di chiamar tanta salute;
E fella di qua giù a sè venire,
Perchè vedea ch'esta vita noiosa

Non era degna di sì gentil cosa.
Partissi de la sua bella persona
Piena di grazia l'anima gentile,
Ed èssi gloriosa in loco degno.
Chi no la piange quando ne ragiona,
Core ha di pietra sì malvagio e vile
Ch'entrar no i puote spirito benegno.
Non è di cor villan sì alto ingegno,
Che possa imaginar di lei alquanto,
E però no li ven di pianger doglia:

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