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spondea loro, che Amore era quegli che cosi m'avea governato: dicea d'Amore, perocchè io portava nel viso tante delle sue insegne, che questo non si potea ricoprire. E quando mi domandavano: per cui t'ha cosi disfatto questo Amore? ed io sorridendo li guardava, e nulla dicea loro.

SV.

Coglie anzi opportunità di far credere, che altra sia la donna dell' amor suo, e non Beatrice. E così gli vien fatto per alquanti anni e mesi.

Un giorno avvenne, che questa gentilissima sedea in parte ove s'udiano parole della Regina della gloria, ed io era in luogo dal quale vedea la mia beatitudine; e nel mezzo di lei e di me per la retta linea sedea una gentile donna di molto piacevole aspetto, la quale mi mirava spesse volte, maravigliandosi del mio riguardare, che parea che sopra lei terminasse; onde molti s'accorsero del suo mirare. Ed in tanto vi fu posto mente, che partendomi di questo luogo, mi sentii dire appresso: "Vedi, come cotale donna distrugge la persona di costui?" e nominandola, intesi che diceano di colei che mezza era stata nella linea retta che movea dalla gentilissima Beatrice, e terminava negli occhi miei. Allora mi confortai molto, assicurandomi che il mio segreto non era comunicato, lo giorno, altrui per mia vista: ed immantinente pensai di fare di questa gentile donna schermo della verità; e tanto ne mostrai in poco di tempo,

che il mio segreto fu creduto sapere dalle più persone che di me ragionavano. Con questa donna mi celai alquanti anni e mesi; e per più fare credente altrui, feci per lei certe cosette per rima, le quali non è mio intendimento di scrivere qui, se non in quanto facesse a trattare di quella gentilissima Beatrice; e però le lascierò tutte, salvo che alcuna cosa ne scriverò, che pare che sia loda di lei.

S VI.

Mette il nome di Beatrice fra quello di sessanta donne le più belle di Firenze, e in una Serventese non gli può dar luogo in altro numero che nel nono.

Dico che in questo tempo che questa donna era schermo di tanto amore, quanto dalla mia parte, mi venne una volontà di voler ricordare il nome di quella gentilissima, ed accompagnarlo di molti nomi di donne, e spezialmente del nome di questa gentildonna; e presi i nomi di sessanta le più belle donne della cittade, ove la mia donna fu posta dall' altissimo Sire, e composi una epistola sotto forma di serventese, la quale io non scriverò; e non n'avrei fatto menzione, se non per dire quello che componendola maravigliosamente addivenne, cioè che in alcuno altro numero non sofferse il nome della mia donna stare, se non in sul nove, tra' nomi di queste donne.

S VII.

Parte colei che faceva difesa al suo amore; e scrive un Sonetto, in cui si duole di questo; e ciò per confermare l'altrui credenza.

La donna, con la quale io avea tanto tempo celata la mia volontà, convenne che si partisse della sopradetta cittade, e andasse in paese lontano: per che io quasi sbigottito della bella difesa che mi era venuta meno, assai me ne disconfortai più che io medesimo non avrei creduto dinanzi. E pensando che, se della sua partita io non parlassi alquanto dolorosamente, le persone sarebbero accorte più tosto del mio nascondere, proposi di farne alcuna lamentanza in un Sonetto, il quale io scriverò, perciocchè la mia donna fu immediata cagione di certe parole, che nel Sonetto sono, siccome appare a chi lo intende: e allora dissi questo Sonetto:

O voi che per la via d' Amor passate,
Attendete, e guardate

S'egli è dolore alcun, quanto il mio, grave:

E priego sol ch'udirmi sofferiate;

E poi immaginate,

S'io son d'ogni tormento ostello e chiave.

Amor non già per mia poca bontate,

Ma per sua nobilitate,

Mi pose in vita sì dolce e soave,

Ch' io mi sentia dir dietro spesse fiate:

Deh! per qual dignitate

Così leggiadro questi lo cor àve?

Ora ho perduta tutta mia baldanza,

Che si movea d'amoroso tesoro;
Ond' io pover dimoro,

In guisa che di dir mi vien dottanza:
Si che, volendo far come coloro

Che per vergogna celan lor mancanza,
Di fuor mostro allegranza,

E dentro dallo cor mi struggo e ploro.

§ VIII.

Muore poco appresso un' amica della sua Beatrice,
e ne piange in due Sonetti la morte.

Appresso il partire di questa gentildonna, fu piacere del Signore degli Angeli di chiamare alla sua gloria una donna giovane e di gentile aspetto molto, la quale fu assai graziosa in questa sopradetta cittade; lo cui corpo io vidi giacere senza l'anima in mezzo di molte donne, le quali piangevano assai pietosamente. Allora ricordandomi che già l' avea veduta fare compagnia a quella gentilissima, non potei sostenere alquante lagrime; anzi piangendo mi proposi di dire alquante parole della sua morte in guidardone di ciò che alcuna fiata l' avea veduta con la mia donna. E di ciò toccai alcuna cosa nell' ultima parte delle parole che io ne dissi, siccome appare manifestamente a chi le intende: e dissi allora questi due Sonetti, dei quali comincia il primo Piangete amanti; il secondo Morte villana.

Piangete, amanti, poichè piange Amore,
Udendo qual cagion lui fa plorare:

Amor sente a pietà donne chiamare,
Mostrando amaro duol per gli occhi fuore;

Perchè villana morte in gentil core
Ha messo il suo crudele adoperare,
Guastando ciò che al mondo è da laudare
In gentil donna, fuora dell' onore.
Udite quant' Amor le fece orranza;

Ch'io 'l vidi lamentare in forma vera
Sovra la morta immagine avvenente:
E riguardava ver lo ciel sovente,
Ove l'alma gentil già locata era;
Che donna fu di sì gaia sembianza.

Morte villana, di pietà nemica,

Di dolor madre antica,
Giudicio incontrastabile gravoso,

Poi ch' hai data materia al cor doglioso,
Ond' io vado pensoso,

Di te biasmar la lingua s'affatica:
É se di grazia ti vuoi far mendica,
Convenesi ch'io dica

Lo tuo fallir d'ogni torto tortoso;
Non però ch'alla gente sia nascoso,
Ma per farne cruccioso

Chi d'amor per innanzi si nutrica.

Dal secolo hai partita cortesia,

E, ciò che in donna è da pregiar, virtute
In gaia gioventute;

Distrutta hai l'amorosa leggiadria.

Più non vo' discovrir qual donna sia,
Che per le proprietà sue conosciute:
Chi non merta salute,

Non speri mai d'aver sua compagnia.

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