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Quelle che van con lei, sono tenute
Di bella grazia a Dio render mercede.
E sua beltate è di tanta virtute

Che nulla invidia all'altre ne procede;
Anzi le face andar seco vestute
Di gentilezza, d'amore e di fede.
La vista sua face ogni cosa umíle,
E non fa sola sè parer piacente,
Ma ciascuna per lei riceve onore.
Ed è negli atti suoi tanto gentile,

Che nessun la si può recare a mente,
Che non sospiri in dolcezza d'amore.

§ XXVIII.

Ma pensando Dante non essere sufficienti le lodi dette di lei nelli due Sonetti ultimi, mette mano ad una Canzone, che meglio dichiari il potere in lui della virtù di Beatrice.

Appresso ciò, cominciai a pensare un giorno sopra quello che detto avea della mia donna, cioè in questi due Sonetti precedenti; e veggendo nel mio pensiero, ch'io non avea detto di quello che al presente tempo adoperava in me, parvemi difettivamente aver parlato; e però proposi di dire parole, nelle quali io dicessi come mi parea esser disposto alla sua operazione, e come operava in me la sua virtude; e non credendo ciò poter narrare in brevità di Sonetto, cominciai allora una Canzone la quale comincia :

Sì lungamente m'ha tenuto Amore,
E costumato alla sua signoria,
Che sì com'egli m'era forte in pria;
Così mi sta soave ora nel core.

Però quando mi toglie sì il valore, Che gli spiriti par che fuggan via, Allor sente la frale anima mia Tanta dolcezza, che 'l viso ne smuore. Poi prende Amore in me tanta virtude, Che fa li miei sospiri gir parlando; Ed escon fuor chiamando

La donna mia per darmi più salute. Questo m' avviene ovunque ella mi vede; E sì è cosa umil, che nol si crede.

PARTE SECONDA.

§ XXIX.

E' n'aveva composta la stanza prima, quando accadde che Beatrice se n'andò al cielo per morte; e mostrato come a lui non convengasi trattare di questa, entra a dire per quali ragioni il numero nove abbia potuto aver luogo più volte nel raccontare di lei.

Quomodo sola sedet civitas plena populo? facta est quasi vidua domina gentium. Io era nel proponimento ancora di questa Canzone, e compiuta n' avea questa soprascritta stanza, quando il Signore della giustizia chiamò questa gentilissima a gloriare sotto la insegna di quella reina benedetta Maria, lo cui nome fu in grandissima reverenza nelle parole di questa Beatrice beata. Ed avvegnachè forse piacerebbe al presente trattare alquanto della sua partita da noi, non è mio intendimento di trattarne qui, per tre ragioni. La prima, che ciò non è del presente proposito, se volemo guardare il proemio che precede questo libello. La seconda si è che, posto che fosse del presente proposito, ancora non sarebbe sufficiente la mia penna a trattare, come si converrebbe, di ciò. La terza si è che, posto che fosse l'uno e l'altro, non è convenevole a me trattare di ciò; per quello che trattando mi converrebbe essere lauda

tore di me medesimo; la qual cosa è al postutto biasimevole a chi 'l fa; e però lascio cotale trattato ad altro chiosatore. Tuttavia, perocchè molte volte il numero del nove ha preso luogo tra le parole dinanzi, onde pare che sia non senza ragione; e nella sua partita cotal numero pare che avesse molto luogo; conviensi qui dire alcuna cosa, acciocchè pare al proposito convenirsi. Onde prima dirò come ebbe luogo nella sua partita, e poi ne segnerò alcuna ragione, perchè questo numero fu a lei cotanto amico.

§ XXX.

Nota che Beatrice morì nella prima ora del giorno nove di giugno (ch'è il nono mese dell' anno Siriaco) dell' anno 1290, cioè nella diecina nona del secolo XIII in cui era nata. E ciò dice avvenuto per questo, che si erano perfettamente accordati nella sua generazione i cieli, che secondo Tolomeo sono nove; e che come il tre è numero fattore del nove, così è da credere che la mirabile Trinità abbia voluto esser radice del nove, cioè del miracolo di bellezza che fu Beatrice.

Io dico che, secondo l' usanza d'Italia, l'anima sua nobilissima si parti nella prima ora del nono giorno del mese; e, secondo l'usanza di Siria, ella si parti nel nono mese dell'anno, perchè il primo mese è ivi Tismin, il quale a noi è ottobre. E, secondo l'usanza nostra, ella si parti in quello anno della nostra indizione, cioè degli anni Domini, in cui il perfetto numero nove volte era compiuto in quel centinaio nel quale in questo mondo ella fu posta; ed ella fu de' Cristiani del

terzo decimo centinaio. Perchè questo numero le fosse tanto amico, questa potrebb' essere una ragione conciossiacosachè, secondo Tolomeo e secondo la cristiana verità, nove siano li cieli che si muovono, e, secondo comune opinione astrologica, li detti cieli adoperino quaggiù, secondo la loro abitudine, insieme; questo numero fu amico di lei, per dare ad intendere che nella sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s'aveano insieme. Questa è una ragione di ciò; ma più sottilmente pensando, e secondo la infallibile verità, questo numero fu ella medesima; per similitudine dico, e ciò intendo cosi: Lo numero del tre è la radice del nove, perchè, senz' altro numero, per sè medesimo moltiplicato fa nove, siccome vedemo manifestamente, che tre via tre fa nove. Dunque se il tre è fattore per se medesimo del nove, e lo Fattore de' miracoli per sè medesimo è Tre, cioè Padre, Figliuolo e Spirito Santo, li quali sono tre ed uno; questa donna fu accompagnata dal numero del nove, a dare ad intendere che ella era un nove, cioè un miracolo, la cui radice è solamente la mirabile Triade. Forse ancora per più sottil persona si vedrebbe in ciò più sottil ragione; ma questa è quella ch'io ne veggio, e che più mi piace.

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