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Qual ingegno a parole

Poria agguagliar il mio doglioso stato?

Ahi orbo mondo ingrato!

Gran cagion hai di dever pianger meco;

Che quel ben, ch' era in te, perdut' hai seco.
Caduta è la tua gloria; e tu nol vedi :
Nè degno eri, mentr' ella

Visse quaggiù, d'aver sua conoscenza,
Nè d'esser tocco da' suoi santi piedi ;
Perchè cosa sì bella

Devea 'l Ciel adornar di sua presenza.
Ma io, lasso, che senza

Lei, nè vita mortal, nè me stess' amo.
Piangendo la richiamo:

Questo m' avanza di cotanta spene;
E questo solo ancor qui mi mantene.
Oimè, terra è fatto il suo bel viso,
Che solea far del Cielo,

E del ben di lassù fede fra noi.

L'invisibil sua forma è in Paradiso
Disciolta di quel velo,

Che qui fece ombra al fior degli anni suoi,

Per rivestirsen poi

Un'altra volta, e mai più non spogliarsi;

Quand' alma e bella farsi

Tanto più la vedrem, quanto più vale

Sempiterna bellezza, che mortale.

Più che mai bella, e più leggiadra donna
Tornami innanzi, come

Là, dove più gradir sua vista sente.
Quest' è del viver, mio l' una colonna:
L'altra è 'l suo chiaro nome,

Che sona nel mio cor si dolcemente

Ma tornandomi a mente,

Che pur morta è la mia speranza viva
Allor ch' ella fioriva;

Sa ben Amor, qual io divento; e ( spero)
Vedel colei, ch'è or sì presso al vero.
Donne; voi che miraste sua beltate,
E l'angelica vita,

Con quel celeste portamento in terra;
Di me vi doglia, e vincavi pietate,
Non di lei, ch'è salita

A tanta pace, e m'ha lasciato in guerra;
Tal che s'altri mi serra

Lungo tempo il cammin da seguitarla ;
Quel, ch' Amor meco parla,

Sol mi riten, ch'io non recida il nodo :
Ma e' ragiona dentro in cotal modo:
Pon freno al gran dolor, che ti trasporta:
Che per soverchie voglie

Si perde 'l Cielo, ove 'l tuo core aspira;
Dov'è viva colei, che altrui par morta;
E di sue belle spoglie

Seco sorride, e sol di te sospira;

E sua fama, che spira

In molte parti ancor per la tua lingua, Prega, che non estingua;

Anzi la voce al suo nome rischiari;

Se gli occhi suoi ti fur dolci, nè cari. Fuggi'l sereno e 'l verde ;

Non t'appressar, ove sia riso, o canto, Canzon mia, no, ma pianto :

Non fa per te di star fra gente allegra, Vedova sconsolata in vesta negra.

SONETTO II.

Compiange se stesso per la doppia perdita
• del suo Colonna, e della sua Laura.

Rotta è l'alta Colonna, e'l verde Lauro,

Che facean ombra al mio stanco pensero :
Perdut' ho quel, che ritrovar non spero

Dal Borea all' Austro, o dal mar Indo al Mauro.

Tolto m' hai, Morte, il mio doppio tesauro

Che mi fea viver lieto, e gire altero;
E ristorar nol può terra, nè impero,
Nè gemma oriental, nè forza d'auro.

Ma se consentimento è di destino;

Che poss' io più, se no aver l'alma trista,
Umidi gli occhi sempre, e 'l viso chiuso?

O nostra vita, ch'è sì bella in vista,
Com' perde agevolmente in un mattino

Quel, che 'n molt' anni a gran pena s' acquista !

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CANZONE II.

Se Amore non sa nè può ridonarle la vita, ei non teme più di cader ne' lacci di lui.

Amor,

-mor, se vuo' ch'i' torni al giogo antico,

Come par,

che tu mostri; un'altra prova

Maravigliosa e nova,

Per domar me, convienti vincer pria:

Il mio amato tesoro in terra trova,

Che m'è nascosto, ond' io son sì mendico; E'l cor saggio pudico

Ove suol albergar la vita mia:

E s'egli è ver, che tua potenza sia
Nel ciel sì grande, come si ragiona,
E nell'abisso; (perchè qui fra noi
Quel, che tu vali e puoi,

Credo, che 'l senta ogni gentil persona) Ritogli a Morte quel, ch'ella n' ha tolto; E ripon le tue insegne nel bel volto. Riponi entro 'l bel viso il vivo lume, Ch'era mia scorta; e la soave fiamma,

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