SONETTO XLIX. Perdette in un punto quella oara pace, che doveva esser frutto de' suoi amori. Tran ranquillo porto avea mostrato Amore Già traluceva a' begli occhi 'l mio core, E l'alta fede non più lor molesta. Pur vivendo veniasi, ove deposto In quelle caste orecchie avrei, parlando, Ed ella avrebbe a me forse risposto Cangiati i volti, e l'una, e l'altra coma. SONETTO L. Ha nel cuore sì viva l'immagin di Laura, che 'nfino ei la chiama quasi gli fosse presente. Al cader d'una pianta, che si svelse, Come quella, che ferro, o vento sterpe, Vidi un' altra, ch'Amor obbietto scelse, Quel vivo Lauro, ove solean far nido Gli alti pensieri, e i miei sospiri ardenti, Al Ciel traslato, in quel suo albergo fido SONETTO LI. Tanto più s'innamora di Laura nel Cielo, quanto meno ei dovea amarla quaggiù. I dì miei più leggier, che nessun cervo, Fuggir com' ombra; e non vider più bene Misero mondo, instabile, e protervo! Ma la forma miglior, che vive ancora, E vivrà sempre su nell'alto Cielo, E vo sol in pensar, cangiando 'l pelo, SONETTO LII. Rivede Valchiusa. Tutto gli parla di lei. Pensa al passato, e se ne rattrista. Sento l'aura mia antica ; e i dolci colli Che tenne gli occhi miei, mentr' al Ciel piacque, O caduche speranze! o pensier folli! E voto e freddo 'l nido, in ch' ella giacque, Sperando al fin dalle soavi piante, E da begli occhi suoi, che 'l cor m' hann' arso, Riposo alcun delle fatiche tante. Ho servito a signor crudele e scarso: Ch' arsi, quanto 'l mio foco ebbi davante; SONETTO LIII. La vista della casa di Laura gli ricorda quant' ei fu felice, e quanto è misero. É questo 'l nido, in che la mia Fenice O del dolce mio mal prima radice, E m' hai lasciato quì misero e solo, Tal che pien di duol sempre al loco torno, Veggendo a' colli oscura notte intorno, |