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estendendosi dall' Emo all'Asia Minore, e occupando anche la Sicilia e l'estremità meridionale d'Italia. Il celtico si attendò nell'Europa centrale per le valli del Danubio e del Reno; e, circuite le Alpi, popolò anche la Svizzera, la Francia, l'Italia settentrionale, la Spagna, mentre elevavasi fino all'Anglia e all'Islanda. Il ramo italico forse era durato in maggior comunanza col celtico, se vediamo nel parlar suo l'assenza di aspirate, e di certe modificazioni del verbo, come il futuro e il passivo. Men numeroso del celtico, men del greco dotato del sentimento estetico, si allungò nella penisola nostra, sovrapponendosi ai Casci, agli Aborigeni, alle razze, non dirò indigene, ma preistoriche, e la cui esistenza ci è ora attestata dai ruderi lacustri, e dalle terramare. Queste genie selvatiche non perirono, non cessarono di parlare; e la loro loquela modificò in parte quella dei sopravvenuti, in parte si conservò, e si troverebbe in fondo ai dialetti, chi li cercasse con quell'artifizio di eliminazione, che ora si pratica con tanta e pazienza e sapienza dai glottologi.

Attenendoci alle modeste e storiche proporzioni del nostro tema, diremo come anche il provenzale, da cui altri volle dedurre il nostro idioma, era di fondo latino, ma per le terminazioni teneva del tedesco più che non l'italiano. Pure dee farne gran conto chi voglia tessere la storia della lingua e dei dialetti italici. Nei trobadori, e massime in alcuni canti delle valli alpine, si riscontra un favellare, che con poche mutazioni sir iduce italiano (76); ma,

(76) Tale è la Nobla Leycon de' Valdesi, che vorrebbesi del 1100. Appartiene alle poesie valdesi anche la Barca, da cui leviamo questi versi :

De quatre element ha Dio lo mont forma,
Fuoc, ayre, ayga e terra son nommà;
Stelas e planetas sont fey de fuoc;
L'aura e lo vent han en l'ayre lor luoc;
L'ayga produy li oysel e li peyson,

La terra li jument e li om fellon.

La terra es lo plus vil de li quatro element,
De lacal fo fayt Adam, paire de tota gent.
O fanc! o polver! or te ensuperbis!

O vaysel de miseria, or te enorgolhis!
Horna te bene quer vana beota (beltà),
La fin le mostrare que tu aures obra.

RAYNOUARD, Choix des poésies orig. des Troubadours, tom. II, pag. 103.
Adduciamone alcune poche, classificandole:

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Parentela e affinità. Fui, fia, fiastru, frate, sora, nepotu, genere, nuora, socra, muiiere, vechiu, june, vedura, amicu, vecinu.

Cariche e mestieri. Principu, principesa, duca, duchesa, capitanu, conte, gubernator, ministru, cancellariu, consiliariu, secretariu, assessor, nobilu, residente, jude, procurator, medicu, doctor, ingenieru, majestru, negotiatoriu, pictor, musicu, comediantu, carbonariu, spreziariu, barbieru, macelariu, caldarariu, funariu, olariu, ciabotariu, (ciabattino), fauro, argentariu, ferariu, murariu, pescariu, pastoriu, boariu, vacariu, porcariu, pecurariu.....

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Abitazione e vestito. Casa, castelu, corte, palatu, portioriu, fondamenta, pariete, camera, cucina, stala, grønariu, armariu, arca, scamnu, candelabru, candela, lumina

o fallo, o dovranno tirarsene tutt'altre illazioni che quelle che ne trasse il Perticari negli Scrittori del Trecento.

Svolgimento dell'italiano nell'età barbara. In somma la lingua parlata scostavasi più sempre dalla scritta, fino a riuscirne due diverse. I Barbari inoltre conservavano la favella nazionale, ma per ispiegarsi coi vinti adottavano un gergo fra il tedesco e il latino, bilingui anch'essi. Che se in altri paesi il vinto ingegnavasi di usare la lingua del vincitore come segno di emancipazione, l'Italiano preferiva l'antica come ricordo di gloria; e il vincitore stesso che non aveva letteratura, valeasi di quella del vinto. Nè solo i preti e i notaj erano latini, ma in latino furono scritti e l' Editto di Teodorico, e le sue lettere, e le leggi dei Longobardi, sebbene sia dimostrato che queste non doveano servire se non pei conquistatori. In esse sovente alle parole latine, s'aggiunge il sinonimo vulgare (77): prova evidente dell'esistenza di questo, e che trapela anche dalle poche carte di quell'età. Nel feudalismo, i signori trovandosi diffusi nei castelli, in contatto cogli indigeni anzichè coi loro nazionali, smetteano più sempre il tedesco, e diventava comune anche a loro il vulgar nostro nel parlare, il latino nello scrivere.

Quando gli studj erano così scarsi, difficile dovea riuscire lo scrivere questa lingua, mentre già in un'altra si pensava e parlava; ciascuno vi inseriva gli idiotismi del proprio paese; e, come in idioma non famigliare, vacillavasi per l'ortografia, pei reggimenti, pei costrutti (78). Laonde nei rozzi scrittori di carte e di cronache è a cercare l'origine dell'italiana o

de cera o de seru, focu, fumo, esca, caminu, fumariu, carbone, restamentu, camiscia, calciuni, maneca, colaru, vas, acu, forfeci, scope, fusu, secure, chiae, bastonu, sacu..... Vitto. Prandgiu, cina, colazie, pastetu, merinda, pane, farina, lardu, untu, aceto, rosol, vinu de doi, dei trei qui; albu, rosciu, muscatu, butelia, ola..............

Согро.

Capu, vultu, facie, fronte, temple, nasu, ochiu, orechie, buca, dinte, umero, dosu, braciu, mana, palmo, degetu, unghie, sinu, latu, costa, stomachu, genunchiu, polpa, nerra, vena, carne, sange, pele, os, cornu.....

Azioni. Stà, sede, dormè, saltare, avere, vedere, tacere, cadere, auscultare, sanare, fàcere, stringere, arare, jocare, ducere, ardere, armare, cantare, cercare, dare, frangere, figere, fermare, gustare, implere, rinascere, pascere, perdere, placere, radere, curere, vendere.

(77) Ciò è frequentissimo nel Codice Longobardo; e tacendo quelle che spiegano voci meramente tedesche, vi leggo barbam, quod est patruus (Rot. 164); novercam, idest matriniam (ib. 185); privignum, idest filiastrum (ib.); si quis palum, quod est caratium, de vite tulerit (ib. 298); cerrum, quod est modo laiscum o hiscum (ib. 305). Sulla lingua dei Longobardi e l'influenza di essa sulla latina, vedasi FEDERICO BLUHME, Die Gens Langobardorum, ihre Sprache. Bonn 1874.

(78) Nel 730 due notari di Pisa sottoscrivevano, uno Ego Ansolf notarius rogitum et petetum subscripsit et deplevit: e l'altro Ego Rodual notarius scripsi et explevi; nel 750 Ego Teofrio notario rogito ad Raculo hanc cartula scripsi; nel 757 Ego Alpertus notarius hac cartula scripsi. Ne' Documenti Lucchesi, in uno del 765 è soscritto Ego Rixolfu presbitero, Ego Martinus presbiter; in uno del 713 Ego Fortunato religioso presbiter. In una carta del 722, uno sottoscrive Ego Talesperinus eximius episcopus rogatus ad filio meo Ursone testi subscripsi; e un altro Ego rogatus ad Orsum testi subscripsi.

dirò meglio l'inconscio mutarsi dell'antica nella nostra favella, prima che fosse adottata per libri.

Il Codice Longobardo abbonda di modi traenti agli odierni: Rotari, leg. 218. Vadat sibi ubi voluerit: riempitivo tutt' italiano, se ne vada. 299. Si quis vitem alienam de una fossa scapellaverit. Quest'ultima voce dicesi ancora in Piemonte, come masca per strega: Striga, quod est masca. Ivi, 197.

302. Capistrum de capite caballi.

303. Pistorium per pastoje, come alla 296 sogas per soghe; alla 306 pirum aut melum; alla 345 caballicare per cavalcare; alla 382 cassinam per casa campestre; alla 387 genuculum per ginocchio.

Nelle leggi di Liutprando, alla VI, 68 occorre scemus; alla III, 4. F'aciat scire per judicem; alla IV, 3, In manus de parentibus suis, et in præsentia de parentibus suis; alla V, 3, matrina aut filiastra.

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Il Canciani trasse dall'archivio di Udine una Legge Romana: e sia, come a lui sembra, dei tempi carolingi, o sia piuttosto un'irrazionale selezione, noi, guardandola solo filologicamente, vi troviamo: Con mandatis principum Ipsa uxor da marito suo Prosequat cujus essere debeat Si hoc scusare potest (lombardismo frequentissimo) Ancilla quam in conjugio Ante per suam tema (timore) - De aliorum facultates male favellant Si illa judiciaria per sua cupiditate prendere presumserit Per fortia violaverit De furtivo cavallo - Cujus causa minare voluerit Ad unum de illos judices Per sua culpa Ad unum dare voluerit plusquam ad alium Quod minus precium presisset, quam ipsa res

prese

valebat.

Nelle formole sulle Leggi Longobarde, dal Canciani stesso riportate al vol. v, pag. 85 delle Leges Barbarorum, incontrasi :

Petre, te appellat Martinus, quod tu comprasti decem modios de frumento. Tu tenes sibi unum suum bovem.

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Tu minasti Mariam ad aliam partem.

Volo tollere eam ad uxorem.

Invenisti unum suum caballum, et minasti ad clausuram.

De torto.

Tene tuum bovem, et da michi debitum.

Giovi disporre, secondo la loro età, alcuni testi.

Anno 715. Il prete Aufrit interrogato, risponde: Quando veniebat Angelo de Sancto Vito, faciebat ibidem officio; et quod inveniebat a Christianis, totum sibi tollebat... e termina l'interrogatorio: Sed postea quam ego presbiter factus sum, semper ego ibidem missa faciebam. Nam in isto anno Deodatus episcopus de Sena... presbiterum suum posuit uno infantulo de annos duodecim etc..... (Antiq. ital. vi,

pag. 375). Orso prete disse: Vecinus sum cum istas diocias... Nam episcopus Senenses numquam habuit nulla dominatione... Iste Adeodatus episcopus fecit ibi presbitero uno infantulo, habente annos non plus duodecim, qui nec vespero sapit, nec madodinos facere, nec missa cantare. Nam consobrino ejus coetaneo ecce mecum habeo: videte si possit cognoscere presbiterum esse. Ib., pag. 378.

715. Idio omnipotens. Ib., II. 1007.

Fortia patemus, et non presumemus favellare. Carta senese appresso
BRUNETTI, 1, 439.

720. Medietate de casa mea infra civitatem, cum gronda sua libera. Ant. it., II. 1003.

Garibaldus Tosabarba riceve a fitto un campo di santa Maria di
Cremona, nei documenti del TROYA, n. 441.

723. Post nostrum decessum, quem ivi ipsi monaci de ea consacrationem eligere ipsum aveat ordinatum. BRUNETTI, I. 275.

730. Et Gagiolo illo prope ipsa curte, ora præsepe. Ib., 518.

De uno latere corre via publica. Ant. it., . 1005; bell' idiotismo toscano, ancora vivo; e così al 760, De suptu curre fossatum, et ab alio latere curre vigna. BRUNETTI, 1. 570; e al 746: Cui de uno latum decorre via publica. Doc. lucch., 11. 23.

736. Si eum Taso aut filiis ejus menare volueris, exeas. BRUNETti, 1. 491. 743. In via publica, et per ipsam viam ascendente in suso. E ivi stesso gambero, molino, capanna. Ant. ital., 1. 517.

746. Da capo pedes sexaginta... di una parte terra... di alia parte... da capo vinea et da pede... di presente solutum. Carta di Chiusi ap. BRUNETTI, 1. 552.

754. Mezzolambro chiamasi un diacono cremonese nel codice del Troya, n. 683.

762. Fratellum presbiterum scribere rogavi: e nella soscrizione: Fratellus presbiter. Doc. Lucch., LVI.

763. In una carta pisana: Et si ego non adimpliro ita, in ipsorum sacerdotis sia dominio hæc adimplendo. Ant. ital., II. 1009.

765. In una lucchese: Gustare eorum dava: Sua voluntate dava. Ib., 745. 766. Ita decrevimus ut per ipsum monasterium sancti Bartholomei fiant ordinata et disposita. BRUNETTI, I. 289.

767. Excepto silva qui fue de ipsa corte... Excepto forte Fosculi, qui fue barbano, (barba, zio) ejus. Ant. ital., v. 748.

770. Hoc decerno, et cum ipsis rebus quas vobis concido, vel pos meo decessu reliquero, siatis in monasterio, ut per singulos annos persolvere debeatis pro anima mea in ecclesia Sancti Salvatoris... per quam abueritis, redatis in ipsa ecclesia vel ad ejus rectores in aureo soledo uno, aut pro auro, aut per circa, vel pro oleo, aut per quem volueritis in ipso Dei templo, pro anima mea reddere debeatis. BRUNetti, 1. 287.

3 CANTÙ, Lett. it.

Frasi italiane da un pessimo latino traspajono negli insegnamenti di un chimico dello stesso secolo, ove si legge: Cuse ipsas pelles, laxa dissicare, batte lamina; et post illa battuta, per martellum adequatur, tam de latum quam de longum; scaldato illo in foco, batte, et tene illud cum tanalea ferrea; sed tornatur de intro in foras; dextende eum, ibi scalda, pone ad battere, sufficienter; modicum laxa stare, et lixa illud, ecc. - Imple carbonibus et decoque, ut superius diximus, josu (giuso) ligna et sus carbones. — Et si una longa fuerit vel curta, per martellum adequatur (Ant. italicæ, 11. 380). Chi negherà che costui parlava italiano?

Nel musaico che da papa Leone III ponevasi in Laterano il 798, cioè nella città più culta del mondo e dal ristauratore degli studj, è scritto: Beate Petrus, dona vita Leoni pp. e victoria Carulo regi dona; dove già vedete abbandonate le desinenze, e raccorcia la congiunzione. Allora il popolo alle preci rispondeva Ora pro nos. Tu lo adjuva. Nel testamento di Andrea arcivescovo di Milano nel 903 si legge: Xenodochium istum sit rectum et gubernatum per Warimbertus humilis diaconus, de ordine sancte mediolanensi ecclesie nepote meo et filius b. m. Ariberti de befana, diebus vite sue. E quattro anni più tardi un altro: Pro me, et parentorum meorum, seu domni Landulphi archiepiscopi seniori meo, animas salutem. E altrove: Foris porta qui Ticinensis vocatur — Ego Radaperto presbitero edificatus est hanc civorio sub tempore domno nostro.

Scorrezioni così madornali, e fra persone addottrinate come erano prelati roganti e notaj rogati, convincono che il latino non parlavasi più nemmeno fra la classe elevata; giacchè chi detta in lingua propria accorda nomi e verbi senza dar in fallo, mentre in bizzarre sconcordanze inciampa chi presume adoperarne una differente. Di qui pure la durezza delle costruzioni, l'ineleganza degli idiotismi, la mancanza di spontaneità, la varietà degli stessi solecismi, attesochè non provenivano da un comune modo di favellare, ma dal capriccioso faticarsi di ciascuno per latinizzare il proprio linguaggio.

Ne è novella prova il vedere che spesso il notaro o lo storico credesi obbligato a spiegare in vulgare il nome latino. Così san Gregorio Magno circa il 594: Ferramenta, quæ usitato nomine nos vangas vocamus.

In un sermone del beato Ramperto dell'838 a Brescia, si racconta di una bambina che correva nelle braccia del padre gridando vulgari voce, Atta Atta, che è il tatta di cui già dicemmo.

Nella vita di san Colombano, scritta il decimo secolo (Acta SS. sec. VII, pag. 17): Ferusculam, quam vulgo homines squirium vocant (écureuil, ghiro).

Nel monaco di Bobbio (Ant. ital., 11. 350): Legumen pis, quod rustici herbiliam vocant; e ancora il pisello dal vulgo lombardo chiamasi erbii, erbei, erbion.

Il monaco di Sangallo dice che i levrieri in lingua gallica si chiamano veltri.

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