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Forte spingava con ambo le piote.
Io credo ben ch' al mio Duca piacesse,
Con sì contenta labbia sempre attese
Lo suon delle parole vere espresse .
Però con ambo le braccia mi prese;
E, poi che tutto su mi s'ebbe al petto,
Rimontò per la via, onde discese.
Nè si stancò d'avermi a sè ristretto,
Si men portò sovra 'l colmo dell' arco,
Che dal quarto al quinto argine è tragetto.
Quivi soavemente puose il carco,

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120 spingava con ambo le piote, guizzava con ambedue le piante che teneva fuori del buco. BUT, citato nel Vocab. della Crusca alle voci Piota e Spingare. Piote per piante de piedi, adoprò anche Fazio degli Uberti, Dittam. libro 4. cap. 4., ed adoprano tuttavia i Piemontesi.

122 123 labbia per viso, faccia, adoperanlo altri pure. Vedi il Vocab. della Crusca. Così con queta labbia, bella variante del cod. Ang. E. R. espresse per dette.

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127 distretto, l'Ang. E. R. distrecto, il Vat. 3199 128 Sì men portò, la Ñidob.; Sin men portò, l'altre edizioni. Strana per avventura sembrerà ad alcuno questa mutazione; ma deporrà la maraviglia chi vedrà nel Vocab. della Cr. la folla d'esempj del si per sinchè, adoprato dai migliori autori di lingua in verso e in prosa; e molto più se leggerà la nota che fanno sopra della stessa particella i Deputati alla correzione del Boccaccio, 55. G. 2. N. 2.- sì fu partito, leggono con la Nidob., al c. xxix. v. 30. di questa cantica, anche tutte l'altre ediz., in luogo di sinchè fu partito. Sì men adunque leggasi qui pure, e cessi affatto l'aspro sin men. -* Il cod. Cass, legge, Si me portò ec., e così fa cessare anche l'aspro del men. E. R. Biagioli, che legge colla Crusca, spiega: Sin, cioè sino al momento in che; portò, ebbe portato; men, (me ne); ne, dal luogo ove mi prese. Di Firenze usciti, non si ritennero sin furono in Inghilterra. Il Boccaccio.←

129 130 dal quarto al quinto argine ec., attraversa la quarta bolgia. -puose (usato da buoni antichi autori in luogo di

Soave

per lo scoglio sconcio ed erto, Che sarebbe alle capre duro varco; Indi un altro vallon mi fu scoverto.

pose [a]) legge la Nidob., meglio di spose, che leggono l'altre ediz. Così il Lombardi. Ma l'E. R. ha creduto di dovere nella 3. edizione restituire l'antica lazione, e perchè il verbo spose è di ottima lingua e significanza, e perchè il pose della Nidob. pute assai di neologismo, e perchè infine spose leggono le migliori ediz. e i codd. Ang. e Vat. 3199.

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detto

131 Soave, avverbio e ripetizione del soavemente, nel verso innanzi, a fine di render ragione del medesimo, come fa con aggiungervi per lo scoglio sconcio ec.; quasi dica: suavemente mi puose, cioè con leggerezza e cautela, a cagione di essere quello scoglio sconcio, cioè scabroso ed erto. Prendendosi soave per aggettivo, verrebbe Dante a dire che fosse il peso del proprio corpo soave a Virgilio; lo che, sebbene avesse Dante saputo, mal si udirebbe detto da lui medesimo. Diversamente, e per quel che sentiamo, molto a ragione qui la pensa il Biagioli. Soave, secondo lui, val qui lo stesso che caro; a dimostrare l'amore che a Dante portava il dolce suo Maestro. Non sa vedere d'altronde che possa esservi alcun male che Dante qui dica che Virgilio lo portò con amore e caramente, poichè la cosa è di fatto, avendolo preso con volto ridente qui ora ed altrove, come farà al c. xxiv. v. 20. e seg. di questa cantica. A queste ragioni di sentimento altre gramaticali ne aggiunge di tutta evidenza, per cui riteniamo che la sua interpretazione sia propriamente la vera.

132 alle capre duro varco; e perciò, intendi, durissimo varco, difficilissima strada agli uomini, com'era Dante; passeggiando, come ognun sa, la capra per que' scoscesi luoghi, ove non può l'uomo mover passo. Che farebbe, l'Ang. E. R.*

[a] Vedi Mastrofini, Teoria ec., sotto il verbo Ponere e Porre, n. 8.

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Vol. I.

ARGOMENTO

In questo canto tratta il divino Poeta della pena di coloro che presero, vivendo, presunzione di predire le cose avvenire; la qual pena è l'avere il viso e la gola volti al contrario verso le reni; ed in questa guisa, perchè è tolto loro il poter vedere innanzi, camminano all' indietro. Tra questi trova Manto Tebana, da cui narra avere avuto origine la celebre città di Mantova. E son questi così fatti indovini posti nella quarta bolgia.

Di

i nuova pena mi convien far versi, E dar materia al ventesimo canto

Della prima canzon, ch'è de' sommersi .

I

3 Della prima canzon, ch'è de' sommersi. Sommerso per similitudine vale ricoperto da checchessia (Vocab. della Cr.); e bene perciò si appropria a' dannati ricoperti nell'infernale buca dalla terrestre volta.

Qui (critica il Venturi) la chiama canzone, altrove commedia, altrove poema; e che nome non dà aquesta sua opera?

Dante (risponde al Venturi bravamente il sig. Rosa Morando) dividendo l'opera sua in tre parti, e a ciascuna dando il nome di canzone, ossia cantica, non viene per questo a dar più d'un nome alla sua commedia, come non si danno molti nomi a una commedia, chiamandone le parti or prologo, ora atto, ora scena. Quanto poi al nome di poema, questo è un nome generico, per parlare alla maniera de loici; e si posson

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Io era già disposto tutto quanto

A risguardar nello scoverto fondo, Che si bagnava d'angoscioso pianto: E vidi gente per lo vallon tondo

passo

Venir, tacendo e lagrimando, al
Che fanno le letane in questo mondo.
Come 'l viso mi scese in lor più basso,

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chiamare poemi tanto l' Iliade e l' Ulissea d'Omero, quanto le Nubi e il Pluton d'Aristofane; nè perciò queste due commedie avrebbero più d'un nome, come non lo avrebbe, per esempio, Verona (patria del sig. Filippo) se si chiamasse col nome generico di città. Intorno all'aversi chiamate cantiche, ossia canzoni, le tre parti di questa commedia, leggasi il Mazzoni nella sua Difesa (part. 1. lib. 2. cap. 20.), che molto eruditamente ne parla, mostrando come gli antichi dissero cantico il monologio, e come si può compor commedia di soli cantici.

La ragione che qui il Rosa aggiunge, per cui Dante appellasse questa sua opera commedia, vedila da noi riportata nel volume quinto della presente edizione.

45 lo era già disposto tutto quanto – A risguardar, vale come, lo m'era già posto con tutta quanta l'attenzione a risguardare. A riguardar, legge il Vat. 3199. ←◄ scoverto, patente all'occhio mio, in quel colmo dell'arco, dov'era [a], in tutta l'estensione da un lato all'altro [6].

6 si bagnava d'angoscioso pianto, che l'angoscia spremeva e faceva cadere dagli occhi di que'dannati.

7 tondo, circolare.

89 al passo -Che fanno le letane ec. A quel passo lento e posato che fanno le nostre processioni, appellate litanie, dice il Magri [c], dalla voce greca Tavez, che significa supplicazione, per le preghiere che nelle processioni si fauno. letane, invece di litanie, adopera anche Gio. Villani [d]. Il cod. Caet. legge assolutamente letanie; e Co per come l'Ang., invece di Che. E. R. ◄◄

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10 viso, alla latina, in significazione di vista e di occhi. VENTURI.

[a] Canto preced. v. 128. [b] Inf. xv. v. 109. e segg. [c] Notizia de'vocaboli eccles. [d] Gron. lib. 2. cap. 3.

Mirabilmente apparve esser travolto Ciascun dal mento al principio del casso: Chè dalle reni era tornato il volto,

Ed indietro venir li convenia, Perchè 'l veder dinanzi era lor tolto. Forse per forza già di parlasìa

Si travolse così alcun del tutto;

Ma io nol vidi, nè credo che sia.

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11 12 casso, sustantivo, la parte concava del corpo circondata dalle costole (Vocab. della Cr.), altrimenti appellato busto, torace. Dicendo adunque esser travolto - Ciascun dal mento al principio del casso, vuol dire che al torcitura si faceva tutta nel collo. -*Il Caet. legge, tra il mento ec., e così il Vat, 3199; e ciò indica forse meglio la parte, cioè il collo, in cui si scorgeva la controversione della faccia verso le spalle. E. R. La ragione di fingere tale punizione in costoro, che sono gl'indovini, vedila nel v. 38. e nella nota sotto al v. 14. 13 chè vale perocchè. reni, una delle parti deretane del corpo nostro, per tutto il di dietro di esso. tornato per ritorto, voltato.

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14 Ed indietro venir li (per loro [a]) convenia. Avendo essi il viso dalla parte della schiena, per vedere ove si andassero conveniva loro andare indietro, cioè al contrario dello andar nostro. E dirietro venir, legge il Vat. 3199. —Osservi l'accorto lettore quanto giudiziosamente il Pocta finge costoro col viso sì rivolto. Essi furono indovini; vollero col corto veder nostro penetrar nell'avvenire; ora conviene che guardino indietro: il che, col rammentarne loro la cagione, raddoppia il tormento presente. BIAGIOLI. ←

16 parlasia e paralisia, come parletico cparalitico, scrissero gli antichi ugualmente (vedi il Vocab. della Cr.); ed è, dice il Volpi, risoluzione de'nervi, che cagiona storcimento di alcuna parte del corpo.

18 nè credo che sia, che trovisi al mondo.

[a] Allo stesso significato adoprò il Boccaccio il prouome gli. Vedi Cinon. Partic. 118. 1.

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