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E tanto buono ardire al cor mi corse, Ch'io cominciai, come persona franca : O pietosa colei, che mi soccorse,

E tu cortese, ch'ubbidisti tosto

Alle vere parole, che ti porse!

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Tu m'hai con desiderio il cor disposto
Sì al venir, con le parole tue,
Ch'io son tornato nel primo proposto.
Or va,
ch'un sol volere è d'amendue:
Tu Duca, tu Signore, e tu Maestro.
Così gli dissi; e poichè mosso fue,

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132 franca, libera da ogni impedimento. BIAGIOLI.-Sembra però che la franchezza di Dante sia l'opposto della virtute stanca, cioè dell'abbattimento d'animo, di cui si parla nella terzina. Quindi non libera d' impedimento, ma coraggiosa, intrepida, così il rom. Edit., che dichiara di dover questa nota al sig. Salvatore Betti.

135 vere parole, consistenti massime in quella terzina: L'amicomio, e non dellaventura, -Nella diserta piaggiaec.[a]. 138 proposto, sustantivo: col secondo o stretto, proposito, deliberazione. Vocab. della Crusca.

139 Or movi, che un volere è d'amendue: ha il cod. Ang. E. R. d'amendue noi (spiega il Magalotti); il tuo d'andare, il mio di venire.

140 Nota qui lo Scolari questa giusta qualificazione di Virgilio in Duca, Signore e Maestro, con cui Dante significa la sua ferma volontà di seguirlo, ubbidirlo ed ascoltarlo.

141 fue. Sia detto ora per sempre (nota alla voce fue l'antico Prospetto de'verbi toscani), che il genio, e, dirò così, la natura della nostra lingua è di non terminare le voci in accento; e perciò i nostri più antichi non terminavano quasi mai le voci così [b].* II Riproduttore però sig. Marco Mastrofini, nelle sue Teoretiche dimostrazioni sulle coniugazioni ed inflessioni de' verbi, dimostra di più che fue era la ge

[a] Verso 61 e segg. del presente canto. [b] Sotto il verbo Essere, u. 9.

Entrai per lo cammino alto e silvestro.

nuina e regolare inflessione della terza persona sing, del pret. ind., che poi restò monca ed irregolare come tante altre. Vedi Form. de Perf. de'Verb. Aus. fac. 19. E. R.

142 alto. Prende qui questo aggettivo al senso medesimo che nell'ottavo della presente cantica, ove dice alto periglio [a], e nel ventesimosesto, dove alto passo [b], al senso cioè di difficile e pericoloso [c]. - silvestro, salvatico, impraticato. Qui Magalotti intende alto nel suo proprio significato, cioè di elevato e sublime, come spiegò il Manetti nella sua ingegnosa operetta circa il sito, forma e misura dell'Inferno di Dante, di cui ne daremo un estratto nel 5.o volume di questa nostra edizione, e qual leggesi precisamente nell'E. F. Biagioli per alto intende invece profondo.

[a] Verso 99. [b]Verso 132. [c]Vedi il Vocab. della Cr. alla voce Alto.§.v.

ARGOMENTO

Dante, seguendo Virgilio, perviene alla porta dell' Inferno: dove, dopo aver lette le parole spaventose che v'erano scritte, entrano ambedue dentro. Quivi intende da Virgilio, che erano puniti i poltroni: e, se guitando il loro cammino, arrivano al fiume detto Acheronte, nel quale trovano Caronte, che tragetta le anime all'altra riva. Ma come Dante vi fu giunto, su la sponda del detto fiume si addormentò .

Per me si va nella città dolente:

Per me si va nell'eterno dolore: Per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse 'l mio alto Fattore:

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Da questo canto ha principio la narrazione del Poema. Nel 1.0 sono toccate le circostanze che l'hanno occasionato, il tempo in cui fu scritto, ed il fine proposto; nel 2.° è compresa soltanto l'antiscena, ossia la narrazione di quello che ha preceduto la proposizione dell'opera. Sgombrasi così qualunque dubbio occasionato dall'opinione del Gelli, come osserva il Magalotti, che affermò cominciarsi il poema dal primo verso del il che non può intendersi in senso alcuno. SCOLARI. ←☛ 1 Per me ec. Sono questi primi nove versi, come dal decimo ed undecimo apparirà, un' iscrizione sopra la infernale porta, nella quale iscrizione inducesi per prosopopeia a parlare la porta di sè medesima e dell' Inferno.

canto v;

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nella perduta gente legge il cod. Caet. E. R. ←

Fecemi la divina Potestate,

La somma Sapienza, e 'l primo Amore. Dinanzi a me non fur cose create,

Se non eterne, ed io eterno duro:

Lasciate ogni speranza, voi, che 'ntrate.

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56 Fecemi la divina ec. Accenna la teologica massima, che opera ab extra sunt totius Trinitatis: e per la divina Potestate intende l'eterno Padre; per la somma Sapienza il divin Verbo; per il primo Amore lo Spirito santo. Patri (dice san Tommaso [a]) attribuitur et appropriatur potentia.... Filio autem appropriatur sapientia....Spiritui autem sancto appropriatur bonitas. Vedi anche, se vuoi, Dante medesimo nel Convito [b]. Dice più brevemente e più chiaro il Torelli, accennando che Dante con ragione teologica circoscrive la Trinità, perocchè le operazioni, che dai teologi si dicono ab extra, sono comuni a tutte tre le divine persone. - Nota il Biagioli che questa terzina fu troppo inconsideratamente biasimata dal sig. Ginguenè, che non ne penetrò il sentimento.

༡ 8 Dinanzi a me ec. Indica creato da Dio l'Inferno a punizione degli Angeli ribelli, come abbiamo nel santo Vangelo [c], e perciò non essere stata prima dell'Inferno altra creatura che gli Angeli stessi, cose eterne, cioè eternamente durevoli. Le cose dall'elemento del fuoco in su, che, secondo i Peripatetici, furono ab-eterno per sè stesse. BIAGIOLI. La materia prima, i cieli, gli Angeli (Landino Vellutello e il Venturi).-Gli Angeli, dopo la cui ribellione si deve credere fabbricato l'Inferno; così Magalotti, che afferma poter dirsi gli Angeli eterni, perchè immortali, benchè creati da Dio. -Lo Scolari opinando che la promessa d'un premio e la minaccia d'un castigo debba essere stata contemporanea alla creazione degli Angeli, ritiene che l'Inferno, se non fu creato prima, nol fosse neppur dopo degli Angeli stessi. Quindi per quelle cose eterne vuole che s'intenda, o Dio uno e trino, o null'altro di più preciso. Il cod. Vat. 3199 legge, invece di eterno, eterna, e così l'Angelico, riferendo quest' addiettivo alla porta. Noi leggiamo eterno, come pur vogliono gli Editori della Minerva. (Gli Editori fiorentini.)

=

[a] P. 1. q. 55. art. 6. [b] Tratt. 2. cap. 6. [c] Matt. 25. v. 41,

Queste parole di colore oscuro

Vid'io scritte al sommo d'una porta;
Perch'io: Maestro, il senso lor m'è duro.
Ed egli a me, come persona accorta:
Qui si convien lasciare ogni sospetto:
Ogni viltà convien che qui sia morta.
Noi sem venuti al luogo, ov'io t'ho detto
Che vederai le genti dolorose,
Ch'hanno perduto 'l ben dello'ntelletto.

10 di colore oscuro, di color negro.

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12 duro per ispiacevole. Vedine altri esempi nel Vocab. della Crusca, e dee intendersi cotale spiacere massimamente riguardo all'ultimo verso Lasciate ec. duro, penoso. BIAGIOLI; - aspro, spaventoso, e non, come altri vogliono, oscuro. MAGALOTTI. - Il senno lor m'è duro legge l'Ang. E. R. - Ma questo senno leggesi forse per errore del copista.

13elli in luogo di egli qui ed altrove legge il Vat. 3 199. 14 15 morta, spenta, annichilata. Così nel 6. dell'Eneide : Nunc animis opus, Aenea, nunc pectore firmo. MAGALOTTI.← 16 sem per siamo qui ed altrove [a] adopera Dante, ed anche il Petrarca [b].

17 Che vederai, legge la Nidobeatina con tutte le antiche edizioni, ed anche colla maggior parte de'mss. veduti dagli Accad. della Cr. I medesimi Accademici però hanno voluto piuttosto seguire il numero assai minore di quelli che leggono Che tu vedrai, non avvertendo che questo tu, dopo appena il t'ho detto, riesce stucchevole, e che il vederai, oltre di trovarsi adoperato da molti altri in verso e in prosa [c], viene poi da loro medesimi accordato al Poeta nostro, se non altrove, nel xiv. certamente di questa stessa cantica, v. 120., e Par. v. v. 112. Tu 'l vederai: però qui non si conta. E per te vederai, come da questi.

18 'l ben dello 'ntelletto; cioè Dio, nel conoscere il quale svelatamente la beatitudine consiste. VENTURI. Così anche

[a] Inf. x. 37., Parad. x. 13. ec. [b] Son. 8. [c] Vedi Teoria e Prospetto de' verbi ital. sotto il verbo Vedere, n. 12.

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