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il qual mi disse: « Se il cardinale di Carpi avesse scritto «< alla santità del pontefice la verità, e significatole per << nome mio, che io non ero per consentire alla pace se « non aveva lo stato di Milano, sua santità, tentato l'imperatore di questo, e trovatolo alieno, non s'ave<< ria mosso così leggermente da Roma per fare tanta << fatica indarno ». In tal suo desiderio gli sono incontrate poi due cose, che gli hanno posto grandissimo impedimento a venire e condurre questi due principi a tal convento, e a negoziare in esso quanto era bisogno. L'una è stata la durezza del duca di Savoja a non gli consentire il castello di Nizza, del quale aveva fatto più volte ferma promessa a sua santità di darglielo, e poi toltolene la speranza, e in fine mancatole del tutto: talmente che questa difficoltà la fece fermare in Piacenza, con opinione, come si diceva, di ritornare auche addietro se esso duca non le avesse mandato a dire che glielo concederia. E poi essendo quasi giunta a Nizza, e avendo inteso per un brigantino spedito dal signor Pier Luigi (mandato da lei per ricevere il castello in nome suo), che il duca non glielo aveva voluto consegnare, se ne ritornò indietro a Monaco: e di poi in fine, con la nuova conclusione e promessione avuta dal duca (che venne a ritrovarla fino a Monaco), della quale poi anco rimase delusa, pur si condusse a Nizza, e s'alloggiò in quel monasterio, come di sopra ho detto, più particolari ne av visammo vostra serenità. La cagione veramente di tanta durezza è stata una suspizione che aveva avuto il duca, che non si insignorissero forse con questo mezzo gli Spagnuoli della fortezza e della terra di Nizza, la qual sola gli è restata di tutto il suo stato. E questa suspizione era medesimamente nel po

Vol. IV.

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polo suo, il quale benchè anche avesse sospetto de'Francesi, il nome de'Spagnoli aveva tanto odioso che non lo poteva sentire. Però, mentre che è durato questo convento, il popolo è stato sempre in arme, e ha tenuto in man sua il castello con il figliuolo di esso duca, e custodite con grandissima diligenza le porte, la piazza, e tutta la terra. Nè era senza tal suspizione anche il re cristianissimo, il quale per questo scrisse al pontefice di venirvi pur sempre a negoziare, ancorchè non avessero il castello in mano. Nondimeno nè l' imperatore nè il re vi vennero mai liberamente, ma l'imperatore una volta sola: e con le sue armi si coperse per suspizione della terra e del castello, onde poi fu biasimato dai suoi. E tutte le altre fiate (che furono tre almeno) convenne al pontefice muoversi ed andare a trovarlo a un luogo a mezza via tra Villafranca e Nizza. E il re non vi venne mai, ma convenne al pontefice andare a trovarsi con lui, la prima volta in un luogo preparato tre miglia lontano da Nizza, e l'altra ad un luogo appresso Santo Lorenzo, poco di qua dal Varo, lontano da Nizza miglia quattro, dove venuto il re con tutta la cavalleria sua armata e più di duemila lanzichenecchi, gli baciò il piede con i figliuoli, e gli prestò l'obbedienza solenne. La seconda cosa in che parve che intervenisse qualche difficoltà e impedimento, fu una diffidenza che fu posta in animo al re della persona del pontefice dal vescovo di Lavaur suo ambasciatore', dal cardinale di Tornone, e dal cardinale Trivulzio, per lettere scritte da loro contra il pontefice e contra il cardinale di Carpi in Piacenza, onde fu ritenuto m. Evangelista Cittadino, segretario del detto car

Giorgio di Selve, vescovo di Lavaur, qui Francisci nomine apud Cæsarem oratorem agebat (De Thou. L. 1, n. 14.)

il

dinale Trivulzio, ben noto alla serenità vostra ; e il Trivulzio molto ripreso da sua santità. La quale diffidenza fu una delle cagioni, e forse la maggiore, del tanto tardare re, che non venne a Villanova al convento se non ventidue di dopo la venuta di Cesare a Villafranca, e quattordici dopo la giunta del papa a Nizza. E per levargli tanta diffidenza dalla mente, convenne al papa mandare m. Latino Giuvenale in posta da Piacenza al re, e poi il vescovo d'Ivrea suo nunzio in Francia, e monsignore di Lavaur istesso a espurgarla della falsa calunnia, se alcuna per sorte gliene fosse stata data, e a persuadere il re a venire.

Giunti noi a Nizza andammo prima a ritrovare l'imperatore a Villafranca, e poi il re cristianissimo a Villanova, dove fu fatto e all'uno e all'altro per il clarissimo m. Marcantonio Cornaro l'esposizione commessane dal senato, esprimendo in che stato si ritrovava non solamente la republica nostra, ma la cristianità tutta, se dalle loro maestà non vi si provvedeva, e presto, con una opportuna pace, come unico rimedio alli urgentissimi bisogni suoi, con tanta eloquenza e di tal forma, che certo si vedde l'uno e l'altro commoversi tutto. E ancorchè ambe quelle maestà parlino italiano molto bene e accomodatamente, nondimeno l'imperatore rispondendo fece prima una escusazione se parlando italiano non soddisfacesse a così bella esposizione; ma il re non volle mai, per istanza che gli fosse fatta da noi, rispondere in lingua italiana, parendogli (come disse) non poter ben rispondere nella lingua non propria sua a tanta orazione. E nelle risposte loro l'uno e l'altro dimostrò d'esser animatissimo a questa pace e desiderosissimo di essa, non discendendo però a particolare alcuno, se non

che il re disse di volere in ogni modo lo stato di Milano, il quale a tutti era notissimo esser suo, che più dire o desiderare non si poteva '.

Cominciò adunque il pontefice a negoziare quest'impresa, parlando egli stesso più volte con ambidue questi principi, e facendo che gli agenti in presenza sua ne li ragguagliassero, stringendosi a tutti gli articoli di essa pace; molte volte inducendo uno degli agenti suoi a visitar l'altro, e che la regina anco andasse due volte a visitare l'imperatore suo fratello; e in somma facendo tutti quelli uffizj più caldi e più espedienti che potesse immaginare per disponerli alla pace. Ed è proceduto in tutto questo negozio, parlando liberamente di tutto quel che sentiva, con tanta carità e sincerità che ha soddisfatto all'uno e all'altro. E se alcuna diffidenza era uata nelle menti d'alcuno di loro, questa s'è levata; sì che ad ambidue s'è fatta confidentissima. E non ha mai voluto parlare di tregua con loro, fin che non s'è veduta disperata la conclusione della pace. Nella quale negoziazion sua (siccome anco deliberò il partir di Roma senza il consiglio e parere dei cardinali o di niun altro), così ancora è proceduta con il suo consiglio solo, nè ha mai comunicato cosa alcuna al collegio, se non quando Cesare propose il partito della cessione dello stato di Milano con le condizioni di essa; e questa communicò solo

I

Quest' ultimo inciso può aver due sensi; o s' applica al discorso dei due principi, che nulla lasciava desiderare: o ai diritti del re su Milano, che non lasciavano luogo a dubbio. (Tommaseo.)

Noi crediamo però che si riferisca al primo di questi sensi, ove si consideri quanto dai negoziatori veneti fosse sempre serbata la più stretta circospezione diplomatica.

Pare che voglia dire: insistendo su ciascuno articolo, acciocchè fosse accettato.

quando il re la ricusò, per avere in ciò l'opinione e parere di essi cardinali. Il che ha fatto o per avere essa sola la laude e la gloria di tanto buono ufficio che sperava di condurre a fine, o perchè ritrovandosi tutto il collegio (paucis exceptis) diviso in due parti, l'una aderente al volere del re, e l'altra dell'imperatore, non gli pareva forse di potersi confidare d'essere da tutto il collegio bene e sinceramente consigliato, e che si tenesse secreto, come si doveva, il modo, l'intenzione e le azioni del negoziare. E se avesse eletto appresso di sè quei pochi che gli potevano parere sinceri e buoni senza passione d'alcuna delle parti, dubitava di non poter far questo senza carico del collegio; dico di tutti gli altri.

Ritrovò in questa negoziazione queste difficoltà, che, oltre di dare lo stato di Milano, di presente o in altro tempo, in mano del re, o del duca d'Orleans suo secondo genito, con ragione della nuova investitura, e il restituire le terre e fortezze dello stato di Savoja, tenute ora dal re, ad esso duca; vi erano ancor quelle che nascono dalle capitolazioni di Madrid e di Cambrai; cioè della superiorità della Fiandra, la quale conquistò e possiede ora l'imperatore. E domandava il re che anche gli fosse restituita la duchea di Borgogna, per le ragioni sue antiche e per vigore delle capitolazioni. Domandava l'imperatore al re il ducato di Borbone; gli domandava anche, che fossero restituiti agli eredi del duca morto Hesdin e la Picardia; questo volendo l'imperatore che, dandogli esso lo stato di Milano, gli sia restituito. E appresso, vuole che in tal caso il re entri in lega contro il Turco con quella porzione che gli sarà data di carico e di spesa; che assenta al concilio, lasciando l'amicizia dei luterani e del re d'Inghilterra; siccome sempre di que

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