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E così di questo tuono. Anche Bernardo Accolti si piace di sif fatte lambiccature: anch' egli improvvisatore famoso, benchè si levasse in maggior fama ai be' tempi di Leone. Fu accettissimo alla Corte di Urbino, ove faceva lo spasimante della Duchessa, protestando che il suo ardore era antico di tre lustri e mezzo; e invitato a dire all'improvviso, fidavasi, come dice il Bembo, di venire a pro dei suoi desii, movendo il cuore della Duchessa in modo da farla piangere almeno. Quand' egli diceva estemporaneo in Roma, si chiudevano le botteghe; si ponevan guardie di onore alle porte, dov' egli recitava; dotti, prelati e popolo in folla accorrevano ad udirlo e ad applaudirlo senza fine. Pareva un prodigio d'ingegno, e fu detto, ed ei si gridò Unico, e l' Ariosto lo chiamò gran lume aretino. Se non è esatto che Leone gli désse il Ducato di Nepi, è ben certo ch' ei lo aveva comprato coi denari ch' erasi saputo guadagnare: più felice in ciò di Serafino, morto quando ancora non era incominciata la gran baldoria dei poeti e letterati, il gran carnevale del Pontificato mediceo. Allora l'Accolti empiè di sè Roma: quella Roma su cui Dio teneva per poco sospese le minacciose profezie di Girolamo Savonarola, le fulminee invettive di Martino Lutero e le armi sterminatrici del Borbone, e che intanto impazziva per gl' improvvisatori.

Anche l' Accolti nelle sue Rime si volge a marchesane, a duchesse, a principesse, dicendosi vinto dagli occhi di questa o di quell' altra, e morto o morente per crudeltà d'amore: ma probabilmente erano fiamme, che non davano pensiero ai marchesi, duchi e principi, respettivi mariti di quelle. Tra le altre sue Rime di mal gusto ricorderò un Sonetto sur un carciofo: pare impossibile, ma è cosi; sur un carciofo, e per giunta, mandatogli dalla sua donna. In esso ei va almanaccando sul significato che possa avere tal dono, e nelle punte trova simboleggiate le asprezze di amore, e nel verde le speranze, e nel sapore misto di amaro e di dolce le alternative di buono e di reo; ma ci perde il capo, e conclude dicendo: dammi un presente più chiaro; e si potrebbe dire: un presente più degno di un poeta e di un sonetto.

Ma il vero discepolo e continuatore di Serafino è Pamfilo Sasso, nato in Modena probabilmente verso il 1447, e preclaGiovan Bruno Ariminese, Venezia, 4509; di Diomede Guidalotti, Bologna, 1504; 4538, di Benedetto da Cingoli detto il Piceno, Venezia, 1517; di Marcello Filosseno, Venezia, 1507; di Timoteo Bendedei, del Britonio, del Verino, di Olimpo da Sassoferrato, ec. Vedi il Quadrio, vol. II, pag. 213 e seg.

1 Nelle Collettanee si trovano parecchi Sonetti del Sasso in morte di Serafino: nel Canzoniere del Sasso parecchi Sonetti in lode: Son. 339, 342, 343.

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rissimo poeta, come almeno è detto sul frontespizio delle sue Rime. Se al maestro si ragguaglia nell' essere stato anch'esso improvvisatore, e non solo in volgare ma anche in latino, come si ricava da una lettera di Matteo Bosso, che nel 94 ebbe a sentirlo e ne rimase meravigliato, dicendolo dottissimo in ogni scienza divina ed umana, da Serafino e dagli altri si discosta nel non essere stato cortigiano, anzi nell' aver avuto a schifo il soggiorno delle Corti, e perfino quello della città, co' suoi incomodi e la sua servitù. Il che non toglie però che anch' egli non lodasse. Principi e Principesse; sebbene facesse segno ai suoi detti la virtuosa Isabella, cui dedicò anche il Canzoniere, e il prode Francesco da Gonzaga. Nel piacevole ritiro della solitaria villa di Erbeto, aggiunge il Bosso, dato tutto allo studio, aveva rifiutato senza rammarico gl' inviti e le offerte di parecchi Principi. Ma poi ridottosi dalla villa in città, soggiorno alquanto in Brescia e in Verona; tornò indi a Modena, e vi tenne scuola, interpretando, come narra il Castelvetro, che ne fa grandi elogj, ogni di continuamente in casa o il Petrarca o il Dante. Par che avesse che fare colla Inquisizione ed usci di patria, andando, col favore dei Rangoni, governatore della terra di Longiano, in Romagna, dove mori quasi ottuagenario nel 1527. Cinque edizioni delle sue Rime annovera il Tiraboschi, donde abbiam tratte queste notizie, dal 1500 al 1519.

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Molte forme di dialetto e molta incuria di stile ha anche questo poeta. I versi scorrono giù, ma come a bocca di barile; nè alla volgarità loro è rimedio un far sentenzioso, che stanca. Nel suo Canzoniere si trovano immagini e versi come questi: Tu come il gal fai, Lasci la gemma per beccare il grano. Quando il villan si ritrova sul fico Ei non conosce parente nè amico.· Godi Narciso, che se' fatto un stecco. Se tu percuoti con la testa il muro Da lui ti partirai con quella rotta, e cosi via: che pajono versi di poemi burleschi. Colla niuna arte che possiede, rende volgare

'Epistol. famil., n. 78-79.

1 Vedi il Capitolo XXXIII, ove dice tra le altre, parlando della città: Ecco i patrizj, principi e baroni: Largo, largo, che fai? se non ti muove Ti fan targa di pugni e di bastoni. Discesi son, benchè son gente nove Da Priamo, da Pirro e d'Alessandro.... Sopraggiunge un staffiero, un cortigiano; Se non ti poni mano alla berretta Egli pel capo ti dà del villano. Che polverio è quello? una carretta Di donne. E conchiude: Vivevan già con un modo civile I cittadini, or la cittade è d' ira Di tradimenti e fallacie un cubile.... D'inganni una spelonca è la cittade. E il Capitolo XXXVII è tutto in lode della villa.

3 Biblioteca Modenese, vol. V, pag. 22.

ogni più poetico pensiero: come, ad esempio, laddove dice parlando dell' ambrosio afflato di bella donna:

Se di moscato il dolce odore o 'l fiato

Mi viene al naso per sorte o per vento,

Mi viene il fiato tuo, non vien moscato.

Si piace nei gruppetti di concettini, come quando parlando di sè e di Madonna, in cui vive, così dice:

Ma come vive l'uom, che non ha cuore?

S'io vivo, quella sei che viva sei

Per me, che in te mi ha trasformato Amore.

Delle bellezze della sua donna cosi parla:

Quando Amor si ritrova a mal partito

E vede l'arco rotto e 'l fuoco spento....
Corre in bocca a Madonna ov'è fiorito

Di rose un prato, e suona un dolce accento

E dentro al petto, ove si batte argento,

E li si fa com'era prima, ardito.

Ecco, dunque, una donna che diventa un prato e una zecca. Ma v'è di peggio: si noti questo ritratto dell' amata:

In bocca porta perle, in seno argento,

Nelle chiome oro, nella fronte il cielo,
In un occhio la Luna, in l'altro il Sole:
Balsamo suda....

E peggio ancora:

Chi vuol conoscer veramente quella,
La qual devotamente in terra adoro,
Immagini più fila d' un fin oro:

Quest' è la chioma sua candida e bella.
L'un occhio e l'altro son la prima stella

E la quarta, che adorna il sommo coro,
La mano e 'l petto un bel pezzo d'avoro,
L'aspetto, di colomba e tortorella.

Le labbra rose, e le dolci parole

Un canto ben soave e misurato,
Il riso, un prato adorno di viole.

Il resto tutto insieme avrai formato

Immaginando in mezzo al cielo il Sole

La notte, quando è più chiaro e stellato.

Immagini pure con queste indicazioni il lettore discreto la donna del Sasso, e vedrà che bella figura gliene uscirà fuori!

IX.

Abbiamo detto tanto poco bene di questi poeti della fine del Quattrocento, tanto abbondantemente abbiam provato di qual pessimo gusto diedero esempio, e come avevano infelicemente avviato per falsissima strada la poesia volgare, che non dispiacerà se qui apriremo una parentesi per lodarli almeno in qualche particolare. Il vero è che questi rimatori, e se non tutti, per la massima parte, non stettero inerti e muti a contemplare le misere fortune della loro patria in quell' età infelice, che vide la ruina dell' indipendenza italiana. Delle Poesie civili del Cariteo, italiano sol d'elezione, abbiam recato esempj. Fra le Rime di Serafino, non però nella edizione di Monsignor Colocci, un solo Sonetto abbiamo di soggetto politico: non ben chiaro in ogni sua parte. Ben sembra che volgendo il discorso all' Italia mia gentil, le faccia notare come la nave che corse già col vento in poppa il mar di Tiberia, ora è diventata una galera catalana: alludendo certo al papato vergognoso di Alessandro.

Ma nei Canzonieri del Tebaldeo e del Sasso trovasi ben più da spigolare, chi voglia dai versi dei contemporanei conoscere il pensiero e il sentimento comune circa i casi di quell'età memoranda. Trattandosi di Canzonieri che ormai quasi nessuno più legge o consulta, non sarà forse discaro se largheggiamo alquanto nelle citazioni e negli estratti.

Quando già si accoglieva quel nembo, che più tardi doveva scatenarsi sopra la Penisola, cosi il Sasso con tuono profetico gridava agl' Italiani avvolti nei vizj :

Plorate super vos, Italïani,

Chè giunto è il di della vostra rovina:
Cerchian la terra d'arme e la marina
Sassoni, Inglesi, Piccardi, Allemani,

Galli, Brettoni, Giudei e Marrani

Disposti a fuoco, a sangue ed a rapina,
Che pajon fuor dell' infernal fucina
Usciti, tanto sono orrendi e strani.
Per darvi morte e cacciarvi di regno
Assirj, Parti e tutto l' Oriente
Han fatto sopra voi crudel disegno.
Al vostro mal non ponete la mente?

Avarizia, superbia, invidia e sdegno

D'un stato vi trarran tanto eccellente.

Non era ben chiaro donde sarebbe venuto l'oltraggio, ma si sentivan nell'aria i segni precursori della tempesta; e al Tebaldeo sembrava che il maggior male avesse a venire dall' Oriente, e che la Curia Romana, purgandosi dalla mala lebbra, che in lei regnava, di cupidigia e di scostumatezza, dovesse porsi a capo della Cristianità:

Che fai, Curia Romana in vizj morta,
Albergo e nido d'ogni mal costume
Ch'essere agli altri doveresti scorta?
Posti hai i tuoi pensieri in calde piume,
In soperchi apparati ed in vivande,
Ne in te scintilla è dell'antico lume.
La tua superbia ognor si fa più grande :

Più non si onora Dio, ma Bacco e Venere:
Forza è che in precipizio il ciel ti mande....

O tu, Santo Pastor, questo a te tocca:

Raduna insieme i tuoi greggi dispersi :
Non vedi il lupo con l' aperta bocca?.....
Apri l'orecchie, e udirai le strida

Di Negroponte, che fa gran lamento,
E di Costantinopol, ch' ancor grida....
Spiega le insegne vittoriose e sante

Contro di questo can crudo e infedele,

Che in Italia fermar cerca sue piante.

Minacciata gravemente l'Italia dalla scimitarra turca colla presa e il sacco d'Otranto, era salva da quel timore per la valorosa spada di Alfonso di Napoli nel 1481; finchè dopo poco più di due lustri il nemico non dalle marine, ma dalle Alpi scendeva sulle nostre terre, invitato da Lodovico il Moro e da Giuliano

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