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dere o trattare di quella opinione nel caso poi che egli non si sottometta (acquieverit), debba essere carcerato. In questo documento adunque si può notare una triplice gradazione in primo luogo deve seguire l'ammonizione del Cardinale: nel caso che il Galilei rifiuti l' obbedienza, deve il Padre Commissario partecipargli con tutte le formalità volute il divieto: nel caso finalmente che il Galilei faccia ancora opposizione, deve essere carcerato. La relazione però del 26 febbraio contiene una specie di procedura contro il Galilei, la quale, se veramente avesse avuto luogo (del che appunto dubitiamo), si sarebbe essenzialmente discostata dal surriferito ordine del Pontefice. Infatti secondo quella relazione al monito del Cardinale avrebbe seguito subito dopo e senza interruzione (successive et incontinenter) la proibizione categorica del Padre Commissario, e si noti bene colla. arbitraria modificazione, che egli non debba in nessun modo ritenere. quella opinione (nec eam de caetero quovis modo teneat), nè insegnarla o difenderla a voce o in scritto, altrimenti si procederà contro di lui nel Santo Officio. Già per il senso letterale di questo sospetto protocollo (che non portando sottoscrizione di sorta non può mai valere in un processo come valido documento) il Galilei non potè in alcun modo contradire l'ammonizione del Cardinale, poichè essa sarebbe stata seguita immediatamente dal più rigoroso divieto del Commissario dell'Inquisizione: la qual cosa già abbastanza inconcepibile per se stessa non avrebbe inoltre concordato coll' ordine papale, chè anzi sarebbe stata un' arbitraria trasgressione del medesimo.

» Noi possediamo però un terzo documento, il quale a dir vero sta, secondo il parere di Vostra Signoria, in pieno accordo con gli altri due, ma a mio credere concorda si con l'atto del 25 febbraio, si trova però in apertissima contraddizione con quello del 26. È questo un estratto del protocollo della seduta del 3 marzo 1616 della Congregazione del Santo Ufizio, e suona, in quanto si riferisce alla nostra questione, nel modo seguente: Feria V die III Martii 1616. >> Facta relatione per Illustrissimum D. Cardinalem Bellarminum quod » Galilaeus Galilei mathematicus monitus de ordine Sacrae Congregationis ad deserendam opinionem, quam hactenus tenuit quod Sol » sit centrum spherarum, et immobilis, terra autem mobilis, ACQUIEVIT. »

» Il Cardinale Bellarmino riferisce dunque alla Congregazione di avere ammonito Galileo di abbandonare la dottrina Copernicana, e che questi si è sottomesso. E con ciò la relazione del Principe della Chiesa intorno a questo soggetto era finita, il che ci sembra ben facile a intendere, avendo egli appunto annunziato tutto quello che era avvenuto. Per coloro però, che ritengono per autentico l'atto del

26 febbraio, dovrebbe esistere nella relazione del Cardinale una strana lacuna. Egli non fa difatti parola alcuna della pretesa intromissione del Padre Commissario, che pure avrebbe avuto una ben maggiore importanza della sua ammonizione al Galilei. Questa evidentemente avrebbe perduta ogni importanza dopo il rigoroso atto officiale, che immediatamente le avrebbe tenuto dietro. Quale scopo avrebbe dunque avuto l'ammonizione del Cardinale, se fosse stata seguìta subito dopo dall' assoluto divieto del Padre Commissario?

> Vostra Signoria vede adunque che quei tre documenti non sono niente affatto concordi fra di loro; ma che piuttosto il primo ed il terzo non possono mettersi così facilmente d'accordo col secondo, vale a dire con quello che io ritengo per falsificato..

» Continuando Ella cita un altro documento, che a di Lei credere riassume i tre documenti accennati. » Si tratta dell' attestato che appunto il Cardinale Bellarmino nell'istesso anno 1616 rilasciò al Galilei nella sua partenza da Roma. Vostra Signoria ne riprodusse nella sua pregiatissima lettera un solo passo e con ciò mancano le parole, che sono appunto per la nostra questione di maggior momento. lo debbo quindi riportare per intiero quel documento sottosegnando le parole più significanti. L'attestato scritto di propria mano dal Cardinale è il seguente:

Noi Roberto Cardinale Bellarmino avendo inteso che il signor › Galileo Galilei sia calunniato o imputato di avere abiurato in mano nostra, ed anco d'essere stato perciò penitenziato di penitenzie sa› lutari; et essendo ricercati della verità, diciamo che il sudetto si› gnor Galileo non ha abiurato in mano nostra, nè di altri qui in › Roma, nè meno in altro luogo, che noi sappiamo, alcuna sua opi>nione o dottrina, nè manco ha ricevuto penitenzie salutari, nè di › altra sorte: MA SOLO gli è stata denunziata la dichiarazione fatta da » Nostro Signore, et pubblicata dalla Sacra Congregazione dell' Indice, › nella quale si ritiene che la dottrina attribuita al Copernico, che » la terra si muove intorno al Sole et che il Sole stia nel centro del › mondo senza muoversi da oriente ad occidente, sia contraria alle > Sacre Scritture et però non si possa difendere nè tenere. Ed in fede › di ciò abbiamo scritta e sottoscritta la presente di nostra propria ▸ mano: questo di 26 maggio 1616.

> Il medesimo di sopra, ROBERTO CARDINALE BELLARMINO. » » Il Cardinale attesta adunque espressamente che al Galilei è stato denunciato soltanto il decreto della Congregazione dell' Indice pubblicato il 5 marzo 1616. Il Galilei non ha in conseguenza ricevuto alcuno

speciale divieto, ma anche a lui furono solamente prescritti quei limiti, che la suddetta ordinanza ecclesiastica aveva posti a tutti gli scienziati cattolici riguardo alla dottrina Copernicana e in ciò consistenti, che essa potesse esser trattata ex suppositione, non però ex professo. Ella crede di poter dedurre l'autenticità del documento del 26 febbraio dalle parole finali del suddetto attestato, « però non si possa difendere nè tenere. » Ella dice in proposito: «Se non fosse » vero ed autentico il documento del 26 febbraio, col quale il Padre › Commissario compie l'esortazione del Bellarmino, come mai avrebbe

potuto questi nel rilasciare a Galileo la mentovata polizza com› prendervi le ultime parole, che non profferì, e nelle quali è ap>> punto comminata la sanzione?» Io Le farei però osservare che appunto nel Decreto del 5 marzo 1616 l'opinione del doppio movimento della terra era stata dichiarata contraria alle Sacre Scritture, » e che quindi era naturalmente proibito a tutto il mondo cristiano di difendere o tenere questa quasi eretica dottrina. Il Bellarmino poteva per ciò aver benissimo adoprate quelle espressioni nella sua ammonizione al Galilei. Si aggiunga che la frase: non si possa difendere nè tenere, ha un significato affatto generale, nè si riferisce specialmente alla persona del Galilei. Nell' attestato non si trova traccia alcuna di uno speciale divieto, quale si legge nel documento del 26 feb. braio 1616. Una tale proibizione avrebbe posto certamente il Galilei in una situazione eccezionale, ed in questo caso l'attestato del Bellarmino dovrebbe considerarsi come una grave alterazione della verità. Mi duole quindi di non potere in alcun modo accogliere l'opinione di Vostra Signoria, che cioè « il documento del 26 maggio rende ragione di quello del 26 febbraio. » Il professor Pietro Riccardi scrive egregiamente nel suo pregiato lavoro, Di alcune recenti Memorie sul processo e sulla condanna del Galilei: Avrebb' egli mai il Cardinale » Bellarmnino rilasciato al Galilei un così ampio ed esplicito attesta» to, se fosse esistito l'atto del 26 febbraio, che equivale quasi ad un' abiura, ed è certo tutt'altro che una semplice partecipazione » della dichiarazione fatta dal Santo Padre? »><

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» Vengo ora alla seconda parte della sua pregiatissima lettera. » L'origine dell' errore, » Ella scrive (« l'errore consisterebbe nell' ammettere la falsificazione dell'atto), a mio avviso consiste nel » dare soverchia importanza al documento del 26 febbraio, e quindi » nel credere, che senza le parole in quello contenuto, Galileo » non avrebbe potuto essere condannato. » Ella conchiude più innanzi, che Galileo sarebbe stato condannato, sia che il precetto

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personale fosse stato espresso con le parole, che si trovano nel do> cumento del 26 febbraio, sia che fosse stato espresso con quelle, > che si leggono nella polizza o dichiarazione, che gli rilasciò il Bellarmino. A me pare che vi sia in questo un equivoco. Neppure io dubito, che se il precetto personale invece delle espressioni contenute nel documento del 26 febbraio avesse contenute le parole riportate nell'attestato del Cardinale difendere nè tenere, il Galilei avrebbe potuto in base alle medesime venir condannato nello stesso modo per violazione di uno speciale divieto. Ma un precetto personale non è stato allora intimato al Galilei, come spero di aver dimostrato sopra. L'ammonizione del Cardinale ha un carattere affatto generico, e ciò non fu fino ad ora messo in dubbio da alcuno e neppure dalla Signoria Vostra Chiarissima.

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› Da quello che Ella continua a scrivere nella pregiatissima sua, parrebbe quasi che Ella stessa non creda alla possibilità di salvare completamente il documento sospetto, poichè Ella si sforza ad un tratto di provare che il precetto personale non ha poi tutta quella importanza, che comunemente gli si attribuisce, e che il Galilei « sa› rebbe stato condannato per il libro del Dialogo dei due massimi si› stemi indipendentemente dal precetto personale che era stato > fatto. A questa affermazione io non posso assolutamente acquietarmi, imperocchè quello speciale divieto formava l'unica base giuridica della condanna di Galileo. L'autore del Dialogo era garantito dal duplice imprimatur della Censura ecclesiastica di Roma e di Firenze, la quale aveva maturamente esaminato e in più parti corretto il manoscritto prima di accordare l'autorizzazione per la stampa. Certamente se si fosse potuto provare che essa era stata ottenuta in modo illegittimo, non solo non valeva a difendere il Galilei, ma gli si rivolgeva contro, come un'arme pericolosa. Ora in quell'epoca, in cui si aveva gran bisogno di un mezzo per attaccare l'autore del libro pubblicato con l'autorizzazione ecclesiastica, si trova ad un tratto nell' Archivio del Santo Ufizio un documento, il quale come il Padre Riccardi maestro del Sacro Palazzo comunicava con solita confidenza e segretezza » all' Ambasciatore Toscano in Roma Niccolini, solo è bastante per rovinarlo affatto. Era il celebre « protocollo del 26 febbraio 1616. Ora aveva il Galilei fraudolentemente taciuto» alla Censura lo speciale divieto; ora il permesso per la stampa era stato estorto con inganno; poteva dunque aprirsi contro di lui la procedura colla certezza della riuscita.

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› Vediamo infatti che nel corso del processo quel precetto personale costituisce il centro del medesimo. Già la Congregazione par

ticolare nominata da Urbano VIII per la istruzione preliminare in due diversi passi della sua Memoria insiste sul fatto che il Galilei abbia fraudolentemente taciuto il precetto del Santo Ufizio. » Il Campanella scrive al Galilei il 22 ottobre 1632, che si fa tutto il possibile in Roma per provare che egli ha violato il divieto impartitogli. Tutto il primo interrogatorio, che ebbe a sostenere, si aggira quasi esclusivamente intorno a quel preteso speciale divieto. L'accusato ripete per ben cinque volte di non saper nulla se non del precetto intimatogli dal solo Cardinale Bellarmino in base al decreto della Congregazione dell' Indice; egli depone decisamente avergli il Cardinale detto che

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per esser l'opinione del Copernico, assolutamente presa, contra> riante alle Scritture Sacre, non si poteva nè tenere nè difendere, ma » che ex suppositione si poteva pigliare e servirsene: » egli assicura sempre di non potersi ricordare se non delle espressioni« nè tenere nè difendere, e che le altre « nè insegnare e quovis modo gli riescono invece affatto nuove e sconosciute. Ciò nonostante l'inquirente tralascia nel corso del processo ogni ricerca sopra la strana circostanza, che l'accusato ignora il preteso divieto del 1616, e considera il medesimo come un fatto incontrastabile.

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» Lo stesso Galilei contradice all' opinione di Vostra Signoria, riconoscendo benissimo l'alta importanza che quel preteso precetto personale possedeva per il suo processo. Ed infatti tutta la difesa dell' infelice Vecchio è diretta a persuadere il Santo Tribunale che a lui non era stato partecipato altro precetto se non quello, che contenevasi nel decreto della Congregazione dell' Indice e che aveva eguale valore per tutti. E poichè anche egli trova, che l'attestato rilasciatogli 16 anni fa dal Cardinale Bellarmino sta in aperta contradizione col preteso precetto speciale, che gli avrebbe imposto un assoluto silenzio sulla dottrina Copernicana, si serve di quel documento come di arme principale della sua difesa. Riferendosi ad esso egli scrive egregiamente:

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Dove chiaramente si vede essermi solo stato denunciato >> non si poter tenere nè difendere la dottrina attribuita al Copernico » della instabilità della terra e stabilità del sole, etc. Ma oltre a questo » pronunziato generale concernente a tutti a me fusse comandato cosa » altra nissuna in particolare, non ci se ne vede vestigio alcuno. Io poi » havendo per mio ricordo questa autentica attestazione manu» scritta dal medesimo intimatore (questo era dunque il Cardinal » Bellarmino!), non feci dopo più altra applicazion di mente nè di » memoria sopra le parole usatemi nel pronunziarmi in voce il detto > precetto del non si potere difendere nè tenere, talchè le due parti

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