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L'EUROPA E LE NAZIONI ORIENTALI.

I.

In un mio libro già vecchio di undici anni parvemi di poter pronunziare con sicurezza che la civiltà Europea pervenuta a dar forma assai convenevole a' suoi elementi costitutivi, come la libertà, lo Stato, la moralità, la scienza, l'arte e la economia, era in procinto di cominciare una terza epoca del suo progresso, e questa dover riuscire principalmente di virtù diffusiva. Il che poi sarebbe seguito in due modi: internamente ed esternamente. Il primo con le democrazie, accomunando diritti, doveri e poter sociale ad ogni ordine di cittadini. Il secondo con frequentare e moltiplicare gl' ingerimenti nelle nazioni scadute ed imbarbarite, e di cui per altro coinpongonsi anche oggi tre quarti del genere umano. Di più aggiungevo che farebbe error grave colui, il qual reputasse che può la trasmutazione del mondo antico orientale avvenire senza recare altresi principii d'innovazione al mondo europeo.

Questo punto di scienza sociale veggo trascurato dagli scrittori, ed io v'ho fatto sopra di molte considerazioni massime in faccia della questione Levantina tuttora agitata e la qual segna patentemente uno dei casi d'ingerimento de' più implicati e de' più travagliosi.

A nessuno può rimanere occulto che il progresso civile è stato di mano in mano l'opera pertinace e difficile delle naturali aristocrazie; e chi le paragona con tutti i viventi di nostra specie quasi se ne spaventa, pensando che un pugno di gente sia pervenuta a svolgere ed armonizzare quella eccellenza intellettiva VOL. III, Serie II. Novembre 1876.

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e morale, di cui meniamo tanto rumore e che è debito nostro di dilatare per ogni luogo, dove sono creature a noi simiglianti. Sebbene anche su questo le opinioni si disformano. E per fermo, io leggo in qualche libro di viaggiatori, i quali ebbero a visitare molte e diverse tribù selvaggie e ne studiarono le tradizioni e i costumi, che l' attribuir che facciamo al genere umano la perfettibilità è una sorta di vanteria, dovendosi al contrario accettare per massima che la barbarie permanente e invincibile è condizione generale; e la civiltà costituire una eccezione rarissima; la progressiva poi e sicura dalle cadute essere tanto nuova che si può negarla o dubitarne almeno assai ragionevolmente. Ciò non entrando nel téma che io discorro, lascerò per al presente in disparte e restringomi solo a due corte considerazioni. L'una è che quel pugno di gente e quelle naturali aristocrazie testé nominate rispondono puntualmente all' ordine universale e alle più costanti leggi del Cosmo. Perocchè tutte le forze, di qual tempra e natura si vogliano, per diventare efficaci ed assai produttive abbiso. gnano di accumularsi e addensarsi in un punto solo. E per simile non badano i turisti pur dianzi accennati, che mentre negano la perfettibilità ingenita all' uomo, non osano asserire che nei germi e nelle semenze non istia riposta una virtù evolutiva, rimossa la quale, essi perdono senza meno l'essere e il nome. E tuttavolta il numero dei germi e delle semenze in effetto perdute trascende ogni calcolo; e ciò che giunge a svolgimento e maturità è del sicuro la minima parte di quelli.

II.

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Ma tornando al subbietto, avverto anzitutto che il crescere ogni giorno gl' ingerimenti del mondo civile nel mondo selvaggio o barbarico è troppo visibile, nè occorre di darne prova. Oltrechè non potrebbe la cosa andare altramente con l'allargarsi ogni giorno i commerci, moltiplicare sui continenti le strade ferrate, sui mari le navi a vela a vapore, e col bisogno cotidiano di cercare terre lontane semprechè in patria manchi il sostentamento e il lavoro. Ma guardando il negozio ancor più dall'alto e non meramente nelle cagioni materiali degli accostamenti e contatti, scorgeremo qui pure la economia generale e perpetua della natura: perchè ogni forza in principio si fa intensiva e ordinata poi si espande ed opera molto discosto da sè. Non diversamente la ci

viltà si compone prima e si ordina concentrata e ristretta, poi sente necessità di uscir di se stessa e diffondersi senza mai termine.

Ma qual modo. tiene e a quali principii intende obbedire in tal sua crescente dilatazione? e che uso fa delle ingerenze efficaci e continue? Ciò mi sembra meno assai conosciuto e degno tuttavolta di studio e meditazione.

Rispetto alle tribù inculte od affatto selvaggie, di cui, oltre alle regioni polari, sono tuttavia popolate gran parte dell'Affrica, le terre Australi, la Patagonia, il Sud-Ovest degli Stati Uniti, e molte isole sparse per la vastità dell'Oceano, sembrami dover confessare che nel più generale l'Europa ha seguito ed ancora non ismette la massima che i Francesi domandano l'exploitation de l'homme par l'homme. Ciò non ostante, per onore della civiltà, l'abbominevole tratta dei negri sta per cessare; e se le schiatte latine rappresentate dalla cattolica Spagna, e le anglo-sassoni protestanti, peccarono in questo nella stessa misura, giustizia vuole che si noti come più presto e più profondo si risvegliò il rimorso negli Anglo-Sassoni, che nei discendenti di Guzmano e di Torquemada.

In quel mio libro citato in principio, venuto io a discorrere di parecchie razze di uomini visibilmente inferiori d'intelligenza e di attitudini alle europee, nè parendomi accettabile l'opinione ch'elle dovessero disugguagliarsi in perpetuo dal rimanente del genere umano, tanto da dar ragione ad Aristotele quando scriveva che tal gente nasce per comandare e tale altra per servire, io m'ero condotto alla fine in questa supposizione: che le stirpi inferiori incrocicchiandosi a mano a mano con le superiori o con le mezzane, non pure parteciperebbero ai privilegi di quelle, ma principierebbero sul mondo una schiatta singolarmente dotata. Conciossiachè egli erasi veduto per esperienza che in alcune generazioni di meticci, conforme li chiamano, appariva un' indole intellettuale e morale delle meglio sortite, mantenendo da un lato la fantasia ardente e la veemenza degli affetti propria delle popolazioni negre e di parecchie tribù selvaggie, e acquistando dall' altro maggior vigorezza di raziocinio e maggior padronanza sugl' istinti e sulle passioni.

In luogo di tutto ciò la realità mi si è mostrata troppo diversa; ed è tristo a dire che la soluzione del problema voluta dalla natura, o da lei tollerata, è invece la estinzione e disparizione di quelle razze. Nel vero, ei vedesi per fatto costante ch'esse nelle

native loro terre venute in contatto assiduo coi bianchi scemano rapidamente di numero; e dove già sono scomparse, dove accennano di scomparire. Abbiamo un esempio di ciò recente e notabile assai nelle due isole Tasmanier poco minori ciascuna della Sicilia e innanzi all'arrivo degli Europei popolate da alquante centinaia di migliaia d'indigeni. Ora, nel corso di meno d'un secolo i bianchi lavorarono si bene e con tale efficacia, ed infine fecero tale uso dell'armi e tal profitto della guerra, che il sole oggi non illumina più che le fosse e i tumuli dei miseri Tasmaniani; e l'ultimo del sangue loro moriva in Inghilterra, or fa pochi anni, maledicendo agli stranieri sterminatori della sua gente.

Qual'è pertanto la cagione vera generale e pertinace d'un cosi deplorevole effetto? La sola cupidità e ferocia dei coloni, no del sicuro; forse i vizii nostri e la crapula più facile ad esser gu stata e imitata dai selvaggi? Forse quel rompere a un tratto ogni loro abitudine, quel perturbare e sconvolgere ogni loro idea e credenza o quello sgomento che esercita in essi ogni nostra superiorità, ed in fine quel perdere in massima parte il solo bene ad essi prezioso, il vivere spensierato e sciolto d'ogni soggezione sociale? O dee tenersi per più probabile che tutto ciò insieme li disordina, li allibisce e li accascia e poco si curano della vita, poco o nulla di maritaggi e di figliuolanze? Il certo si è che i selvaggi schivano a lor potere di mescolarsi coi bianchi, e si ritirano avanti di loro quanto più possono, cercando luoghi disabitati, come fanno a questi giorni le Pelli rosse d' America.

Comunque ciò sia, dubito molto che di tale annichilamento di razze possano i coloni europei scolparsi per ogni rispetto e lavarsene con netta coscienza le mani. Una commedia famosa ha per titolo: Demonio in famiglia, angelo fuori di casa. Pronunziando le parole all'inverso, noi troveremo il titolo della sconcia commedia che recitano civilissimi popoli, i quali varcato l'Oceano diventano diavoli per voglia di dominare e arricchire. Nè torna agevole a credere con quanta facilità uomini culti, educati e sperimentati indurano l'animo ai patimenti de'loro simili, solo perchè tinti d'altro colore e perchè tengono gli ultimi gradi della umana gerarchia; e mentre vi vogliono secoli di socialità e di scienza per trar fuori dall'anima nostra quel che vi si occulta di giusto, di amorevole e di fraterno, bastano pochissimi anni a far germogliare gli elementi feroci e brutali. So che ai positivisti moderni tutto ciò riesce piana e semplice cosa, perchè vi applicano trionfalmente la legge Malthusiana dello Struggle for life.

Che sia legge della natura può stare. Ma la coscienza mi grida che solo l'umanità imbestiata la riconosce per sua e cessa di riprovarla e combatterla.

III.

Ma trapassiamo oggimai a considerare quegl'ingerimenti più ragguardevoli che l'Europa esercita appresso nazioni antiche ed anzi decrepite e cadute al presente, direbbe il Vico, in una specie di barbarie ricorsa. Il che, senza meno, comprende l'Asia e l'Affrica intera e non lascia intatta l'Europa stessa, in quanto dal Danubio ai monti Caucasii e dall'Ionio al Mar Nero, abita e comanda una gente di stirpe tartarica, e la quale ci apparisce dopo cinque secoli più forestiera che nativa, e più accampata che bene accasata. In ogni modo, noi intendiamo discorrere di tutti que' popoli che scaduti sostanzialmente dall'antica grandezza, o non progrediti alla pari con gli Occidentali, ricevono da questi una influenza non mai discontinua ed ora è benefica, ora malefica; talvolta è cortese e amichevole, tal' altra è violenta; e v'ha pure il caso che la influenza convertesi in dominazione permanente e

Sovrana.

Nè per vero dire ci siamo indotti noi moderni a predominare sulle vecchie nazioni, per ischietto senso di fratellanza, o per altra nobil cagione. Appo i Greci e i Romani fu l'orgoglio delle conquiste; in noi moderni è, ripetiamo, la voglia dell' arricchire. Un concetto come quel di Alessandro, di mischiare il sangue Greco all'Asiatico, promovendo maritaggi scambievoli senza numero e celebrandone molti con regale magnificenza, dubito forte che siasi mai affacciato al pensiero della Compagnia delle Indie, o a quello dei Comandanti dell'Algeria.

Ne'tre ultimi secoli è mestieri di riconoscere che il jus gentium ha oltremodo progredito, non che nella dottrina, ma nella pratica eziandio. Tuttavolta nessuno ha parlato, che io sappia, della Charitas gentium, ed è un gran fatto, se procedesi con gli Orientali a stretta norma di giustizia. Della carità internazionale, certo, danno bel saggio le Missioni cattoliche e protestanti; ma se il proposito è santo e talvolta eroico, gli effetti non corrispondono, e le conversioni, massime nelle Indie, sono quasi nulle; onde parrebbe miglior partito (sia qui detto per incidenza), che lo zelo ammirabile dei missionarii venisse speso unicamente fra le tribù al tutto selvaggie, e queste poi fossero catechizzate poco sui dogmi e assais.

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