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viene intimato a Galileo: « Et ei dicto quod, etc.... et ideo nisi se re» solvat fateri veritatem devenietur contra ipsum ad remedia iuris » et facti opportuna. » La procedura esige finalmente, che si spiegi al reo in che consistano questi rimedii di diritto e di fatto con le seguenti parole: « Et D. D. clare dicentibus, quod contra eum devenie» tur ad torturam; » esse si ritrovano anche nel protocollo Galileiano: « Et ei dicto quod dicat veritatem, alias devenietur ad torturam. › » Fin qui il formulario ed il protocollo vanno, come si vede, perfettamente d'accordo. Ora però cominciano le differenze. Nel formulario segue questo Decreto: « Tunc D. D. sedentes, etc., visa pertina»cia, et obstinatione ipsius Constituti, visoque, et mature considerato » toto tenore processus, et omnibus, ac singulis in eo contentis, ani>> madvertentes, in eo adesse indicia sufficientia, quibus ipse Con>>stitutus possit, ac debeat quaestionibus exponi; decreverunt, ipsum › Constitutum esse torquendum tormento funis pro veritate habenda » super, etc.... Et ideo mandaverunt, ipsum Constitutum duci ad >> locum tormentorum, ibique spoliari, ligari, ac funi applicari, etc. » Di tutto questo non si trova alcun vestigio nel protocollo. Ivi non si legge altro che questo: «Et cum nihil aliud posset haberi in execu» tionem decreti, habita eius subscriptione, remissus fuit ad locum

> suum. ›

» Parrebbe che questo ultimo passo fosse così chiaro da risolvere da un lato per sempre la questione, se Galileo sia stato o no sottoposto realmente alla tortura, e da spiegare dall'altro, perchè il Padre Macolano contro la procedura ordinaria della Inquisizione non espose il grande Astronomo ai tormenti della corda. Non già, come la Signoria Vostra suppone, per propria iniziativa ovvero per compassione verso il vecchio Scienziato fisicamente e moralmente accasciato, ma puramente e semplicemente, come il protocollo dice ben chiaro: in executionem decreti.

» Un'esatta comparazione del suddetto formulario coll' interrogatorio di Galileo spiega anche chiaramente il senso della frase: «et >> comminata ei tortura, ac si sustinuerit, » che si contiene nel noto Decreto del 16 giugno. Di fatto dal perfetto accordo del protocollo col formulario, che era in uso nel cap. II: modo di esaminare in tortura, risulta, a mio credere evidentemente, che quella frase significhi che il Galilei debba essere interrogato precisamente come se egli dovesse venir sottoposto di fatto alla tortura. A questa mia spiegazione potrebbe, è vero, opporsi il seguente passo della sentenza definitiva: « E parendo a noi, che non avevi detta intieramente la verità circa » la tua intenzione, giudicassimo esser necessario venir contro di te

› al rigoroso esame, nel quale (senza però pregiudizio alcuno delle › cose da te confessate, e contro di te dedotte come di sopra, circa › la detta tua intenzione) rispondesti cattolicamente. >

» Qui la sentenza riferirebbe dunque cosa contraria al vero, una volta che escamen rigorosum è sinonimo di tortura. La quale difficoltà opponendosi ancora alla di Lei supposizione della condiscendenza del Padre Macolano, Ella ammette, e certo a ragione, che un così lungo e importante documento, come la sentenza già notificata al Galilei la mattina del 22 giugno, non potè essere steso dopo l'ultimo interrogatorio, che ebbe luogo il 21, ma dovè necessariamente essere stato compilato già prima. Però Ella giunge dipoi alla conclusione, a mio credere erronea: Dunque la sentenza fu compilata nella previsione, » che fosse stato eseguito tutto quello che nel Decreto (del 46 giugno) » era stato prescritto. Questo è però assolutamente impossibile, giacchè appunto il Decreto del 16 giugno imponeva espressamente, come ho dimostrato di sopra, la sola minaccia della tortura.

» Fa d'uopo adunque cercare una diversa spiegazione del perchè possa contenersi nella sentenza cosa evidentemente contraria alla verità. L'opera più volte citata Sacro Arsenale ci offre, mi sembra, la desiderata spiegazione. È facile di convincersi con un paragone dei ⚫ due testi, che la sentenza e l'abiura del Galilei sono state concepite dietro uno schema che si può leggere a pagina 260 dell' opera citata. Il passo del formulario, che qui più specialmente c'interessa, è così concepito: « E parendo a noi, che tu non havessi detta intieramente » la verità, giudicassimo col conseglio e parere de' nostri Signori Con› sultori, Dottori, Teologi e Canonisti, esser necessario venir contro > di te al rigoroso esamine, nel quale costituto (senza però alcun » pregiuditio delle cose da te confessate; e contro di te dedotte nel » processo, e delle quali anco rimanesti convinto respettivamente) › confessasti, etc. » Come si vede, il passo corrispondente della sentenza del Galilei concorda quasi a parola, ed è ragionevole il concluderne, che una tale redazione della sentenza conforme alla procedura ordinaria della Santa Inquisizione fosse anch'essa di precetto e non potesse essere omessa. Si rifletta che i protocolli degl' interrogatorii, come pure il celebre Decreto del 16 giugno 1633, anzi in generale tutti gli atti del processo erano documenti segreti, e che l'inquisito era obbligato con giuramento e sotto la minaccia delle più gravi pene, anzi della scomunica, di mantenere intorno all' andamento del processo completo silenzio. La sentenza, al contrario, era un documento pubblico destinato ad avere mediante invio e pubblicazione in ogni parte del mondo cattolico la più ampia diffusione, e che doveva avere

certamente lo scopo di arrestare i progressi della dottrina Copernicana e di mostrare ai suoi partigiani le conseguenze, a cui gli avrebbe tratti il sostenere quella opinione. Nella sentenza non poteva quindi confessarsi il riguardo usato per ordine del Papa al Galilei; da un lato infatti quei riguardi sarebbero stati alieni dalla procedura ordinaria, e dall'altro la sentenza doveva precipuamente mirare al fine della intimidazione.

» Rimarrebbe ancora qualche punto che avrei amato discutere colla Signoria Vostra, come a cagion d'esempio la strana circostanza, che soli sette dei dieci Cardinali Inquisitori abbiano sottoscritto la sentenza: dalla quale circostanza Ella afferma senz'altro non potersi in nessuna maniera desumere che i tre mancanti fossero di parere contrario, mentre storici coscienziosi come Cantor, Wohlwill, Martin ed altri le hanno dato, e con ragione, una grande importanza. Ma io non voglio abusare della pazienza sua e di quella dei lettori, e non mi resta se non di attestare alla Signoria Vostra Chiarissima i sentimenti di alta stima e considerazione, coi quali me Le dichiaro

» Meran, 48 agosto 1876.

» Dev.mo Obb.mo

» CARLO DI GEBLER. >>

NERONE

NELL' ARTE CONTEMPORANEA.

Il signor Siemiradzki, giovane pittore polacco, ha esposto in Roma un suo gran quadro, Le luminarie di Nerone, che di recente ha tratto molto concorso d'Italiani di forestieri a vederlo. I Cristiani accusati dell' incendio di Roma, uomini e donne, stanno a un lato del quadro legati sopra un filare di pali un dietro l'altro, ed escono solo colla testa e un poco di spalla dall' involucro di materie combustibili, onde sono avvolti e fasciati come mummie. Nerone sul ripiano d'una ricca scala del suo palazzo giace in una splendida lettica, in cui si è fatto portare a goder lo spettacolo. Già uno della Corte dà il segnale con un panno rosso, e gli esecutori son li presso ad appiccare il fuoco. Sotto alla scala, nel primo piano del quadro, una moltitudine di gente abbandonata al piacere: vecchi coronati di rose, fanciulle molli, seminude, coll' auree tazze nelle mani, altri che giocano a' dadi, l'avanzo voluttuoso d'un baccanale. Questo nella tela: fuori di essa gli spettatori, sieno artisti, sieno profani, osservano ammirando la ricca composizione, il colore vero e smagliante, la varietà dei volti, la perfezione de' minimi particolari, e non so quante altre belle qualità, delle quali non intendo discorrere; perchè il ripetere gli altrui giudizii è noioso, e per me non ho autorità da parlarne.

Quel che a me importa è il soggetto, Nerone. Egli è da un pezzo che mi perseguita. Piglio in mano un romanzo, l' Acté di

Dumas, e trovo Nerone: in una recente Esposizione artistica di Firenze non sentivo parlare che d' una statua bizzarra del Gallori, il Nerone: e il Nerone del Cossa calca tra gli applausi le nostre scene; e un dramma di A. Soumet e Belmontel, Une Fête de Néron; e un altro di Legouvé padre s'intitola: Epicharis et Néron, e un più recente d' Emile Duneau, La mort de Néron: un poema appare, or fa dieci anni, in Germania, l' Ahasvero di Hamerling, e il protagonista è Nerone: ed ecco Nerone in due quadri tedeschi celebratissimi, l'uno del Piloty, l'altro del Kaulbach: e perchè non manchi nessun' arte, apro un Giornale e vi leggo che Arrigo Boito sta scrivendo in versi un libretto che poi metterà in musica, il Nerone: e proprio adesso mentre sto scrivendo, mi portano in camera una Novella, L'artista Claudio Nerone, che Giuseppe Serafini dice aver tradotta dal francese. E chi sa quante altre opere che non conosco o non ricordo! e Nerone non è solo; ma quasi capo d' una famiglia di personaggi a lui congiunti di sangue, o prossimi di tempo e di costume. Abbiam veduto pur ora un Tiberio, non ci manca un Caligola, ed ecco una Messalina del Wilbrandt, una Messalina del Cossa, una Messalina del Gorth, o di chi mi dicono nascondersi sotto quel

nome.

E avanti al Nerone del Siemiradzki, quasi dimentico del quadro, m' andavano certi pensieri pel capo, e chiedevo a me stesso: Che vuole da noi questo Nerone? Perchè ne traggono tanta ispirazione gli artisti, e il pubblico li segue, se non sempre cogli applausi, sempre colla curiosità e coi discorsi? A che viene egli? Perchè i Cristiani maledicano al primo persecutore della Chiesa? perchè i fautori di libertà imprechino al tiranno efferato? perchè tutti gli uomini inorridiscano al matricida bestiale? No: egli ha spogliato quell' aspetto orribile e deforme, con cui spaventava i sogni della nostra infanzia: non lo si vede più dipinto sul seggiolone di giudice condannare torvo e feroce i credenti sereni e guardanti il cielo, da cui scendevano gli angeletti colle palme; non passeggia più le scene d'Europa coi lunghi passi, coll' aspetto truce, colla voce sepolcrale del tiranno. Il Nerone destinato a far meglio risaltare le sue vittime è morto sulle nostre scene col Paolo del Gazzoletti; ed ora n'è sorto un altro elegante nelle sue voluttà, amabile ne' suoi capricci, quasi attraente nella sua ferocia: e si direbbe che tra lui e il pubblico corrono delle intelligenze secrete, e ch'egli sia accolto con un senso mal celato di simpatia.

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