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per questi due ultimi Stati e priva di effetti per la Turchia, ha servito di ammaestramento a tutti e fatte dileguare innanzi alla Russia le opposizioni efficaci. L' Austria in particolare, quella che per certi rispetti, non fosse altro per la posizione geografica, potrebbe di più, comprende benissimo che il temporale sviato a forza dall' Oriente andrebbe a scaricarsi prestissimo sopra di lei, e benchè il consentire alla Russia non sia per lei senza pericoli gravi, gravissimo fra tutti le deve parer quello di contrastarle. Dalla guerra di Crimea in poi, essa pagò questa risoluzione, benchè dissimulata dalla neutralità, troppo cara, per non rammentarsene. Il campo resta quindi pressochè libero alla Russia. Ciò, attese le condizioni di tutte le Potenze, accresce sommamente i pericoli della Turchia, ma insieme, tutt'altro da quello che sarebbe accaduto in altri tempi, diminuisce quelli della pace.

X.

PS. Le elezioni sono riuscite a una segnalata vittoria del Ministero, come tutti prevedevano; una vittoria che superò le speranze dei Ministeriali, e i timori dell'Opposizione. Che il Ministero dovesse vincere, sapevano tutti; che dovesse tanto stravincere, pochissimi presumevano.

Il fine di essere libero dal Centro l'ha conseguito pienamente. Ora resta a vedere che uso esso sarà per fare di questa sua libertà. Noi persistiamo a credere ch'esso non sarà per abbandonare quel programma di temperanza e di moderazione, che non fu l'ultima delle cause de' suoi trionfi. Senza di questo, avvenendo che i Centri s'accostassero risolutamente al piccolo nucleo della vecchia Destra, potrebbe ricostituirsi nella Camera un'opposizione molto più forte che non facciano oggi presumere le elezioni. Del resto, tutti i pronostici hanno per ora poco fondamento, essendovi tra gli eletti troppi nomi nuovi per far commenti sulle forze dei partiti.

La sola osservazione da fare sinora è, che a tutte le persone imparziali e tranquille riuscì di non poca maraviglia e rammarico il ve dere, o abbandonati dagli elettori, o quasi, uomini che dedicarono tutti i loro pensieri e la loro vita all'Italia, e resero al paese inestima bili servigi nella prospera fortuna e nella rea. Questa memoria tanto labile de' giovani è di pessimo augurio per tutti, quantunque siamo sicuri che o nei ballottaggi o nelle elezioni parziali si vorrà trovare modo di rimediarvi. Dove si dimenticano certi nomi, si dimentica la storia della Nazione, e chi oblia il suo passato va incontro ad occhi chiusi all' avvenire.

ERMINIA FUÀ-FUSINATO.

al disperato pianto

De' suoi cari dovria mescersi il lutto
D'Italia intera.

I.

L'ultimo giorno di settembre moriva in Roma Erminia FuàFusinato, e una tale perdita parve sciagura nazionale. Poche morti furono accompagnate da tanta pietà e da tanto lutto. Quell'anima piena di genio scomparve; e nello splendore della sua luce discese d'un tratto nella funerea oscurità del sepolcro.

Nella casa, per lo innanzi si lieta, regna la costernazione e il dolore al sorriso della gioia è succeduta un' ombra piena di pianto. Gli amici pensano col cuore angosciato a quella tomba prematuramente schiusa; e nel ricordare la virtù e l'ingegno della donna gentile anche adesso ci pesa sull' animo un'immensa tristezza.

Nacque Erminia Fuà in Rovigo da genitori israeliti nell' ottobre del 1834, e, pochi mesi dopo la sua nascita, la famiglia si trasferiva a Padova, dove Erminia visse fino al tempo del suo matrimonio, e dove ebbe istruzione appena elementare, educazione semplice e casalinga. Dovè tutto a sè stessa quel che divenne dappoi. Fanciulla appena dodicenne accudiva alle faccende di casa come donna matura.

La poesia era nata con lei, non aveva ancora dieci anni e chiacchierava in versi. Sarebbe stata una grande improvvisatrice, ma fortunatamente non la tentò il plauso lusinghiero. La

sua casa era il ritrovo di culte ed egregie persone, che ammiravano il suo ingegno precoce, e nel cui frequente conversare si svi luppò, forse inavvertitamente, quell'innato sentimento del bello e del buono, che fu l' ispiratore costante dei suoi scritti e delle sue azioni. Si era alla vigilia del 48, e nelle conversazioni private, nei privati convegni si manifestavano i desiderî ardenti che agitavano quella generazione che credeva e sperava in tante cose. Dappertutto un vigore nuovo d'intelligenza, un rigoglio non più veduto, quell' elevazione ed esaltazione di sentimenti e d'idee, quella vita soverchiante di passioni che inauguravano la primavera sacra d' Italia. Ciò che non si poteva, che la sospettosa Polizia austriaca non permetteva di scrivere in prosa, lo si scriveva in versi, e le poesie di Prati, di Aleardi, di Cabianca, di Dall' Ongaro, di Fusinato, di Gazzoletti correvano manoscritte per le mani di tutti. Il nostro risorgimento è dovuto alle lettere, tanto vero questo che le armi non vinsero, eppure trionfò il concetto. Nella giovinetta Fuà pareva innato anche l'amore di patria, e l'avversione invincibile allo straniero. Non ancora quattordi cenne dettava, o a dir meglio, improvvisava canti patriottici, che nella forma negletta rivelavano la potenza dell' intelletto e l'ardore delle nobili cose. Essa non vedeva che la patria, e ad essa informava ogni suo pensiero, ogni aspirazione dell' anima. Sentiva suonare l'inno dei crociati? Ne faceva tosto le parole. Vedeva la casa di Petrarca? E non rendeva il culto d'onore al poeta dei carmi amorosi, ma

A lui che Italia mia cantava un giorno.

Alle speranze, ai delirî, agli entusiasmi succedevano le tristezze, le onte, e la patria ripiombava ancora per lungo tempo nella solitudine dei disinganni. Nelle ore fugaci di libertà l'entusiasmo, nei di della sventura le generose fermezze. Restituita nel Veneto la Signoria austriaca, Erminia visse più che mai ritirata fra le domestiche pareti, chè la vista delle straniere divise le metteva ribrezzo, nè sapeva reprimere un moto involon tario di sdegno se taluna ne incontrava per via.

Dal 1850 al 1852 nei pochi e brevi ozì che le concedevano le famgliari occupazioni, rese più gravi da una lunga e incurabile malattia della madre, consacrava il suo tempo alla lettura di libri istruttivi che Benedetto Fuà, suo zio, le procurava. Forse da ciò la sua costante avversione alla letteratura frivola e romanzesca. Nella quaresima del 1852 conobbe Arnaldo Fusinato, le

cui vivaci poesie erano state accolte dovunque con viso allegro. Ma il sorriso romoroso e onesto del cantore dello Studente e del Medico condotto s'era cangiato nell' elegia malinconica di Suor Estella. Il simpatico poeta di Schio aveva provato due grandi dolori: la patria ridivenuta schiava, e la morte di una sposa giovine, buona e dilettissima, e da tre anni l' Arnaldo spensierato, giulivo, gaio, brillante, si teneva lontano dalla vita sociale. Erminia aveva letto i versi del Fusinato, aveva avuto il desiderio di conoscerlo, tutte le volte che Arnaldo da Castelfranco si recava a Padova, un amico comune insisteva per presentarlo alla bellissima fanciulla. Si schermi a lungo, perchè, com'egli stesso confessa, ebbe sempre in uggia le donne letterate, e tale supponeva l'Erminia; ma finalmente in una giornata di pioggia, che non gli permise il ritorno a Castelfranco, non sapendo che far del suo tempo, si lasciò trascinare in casa Fuà. Erminia si trovava in quell'età felice, in cui la realtà si confonde col sogno. Era una figura ideale; avea la fronte ampia come il pensiero, e l'anima le sorrideva negli occhi. La sua voce aveva accenti, che parevano carezze. Più che dalla sua bellezza, più che dal fuoco calmo e sereno del suo sguardo, Arnaldo fu sedotto dall'ingenuità de' suoi modi, dalla vereconda modestia, dal profumo originale, che emanava dalla breve poesia intitolata: Versi e Fiori. Dopo quattr' anni era sua, ma in quello spazio di tempo lo sposo futuro ebbe non poca parte a formare l'educazione poetica di Erminia, il cui ingegno si andava mano mano affinando nel magistero dell'arte, che più tardi raggiunse in grado eminente. Ostacoli che parevano insuperabili si opponevano al matrimonio, e più forte d'ogni altro la diversità di religione. Ma l'amore vince ogni cosa, e nel maggio del 1856 era accolta a Venezia in casa di un suo zio paterno, e sull'alba del 6 agosto successivo si compiva silenziosamente il sacro rito nella chiesa di San Salvatore. Arnaldo la condusse poscia a Castelfranco tra le braccia della prima sua suocera, colla quale egli conviveva, e che fin dal primo istante affascinata da quell' aura d'ineffabile dolcezza che traspariva dal volto della giovinetta, apprese ad amarla come la figlia perduta. E forse furono questi gli anni più belli di quella buona e venerabile vecchia, che volle, prima di morire fra le braccia di Erminia, ripeterle ancora una volta, colla voce rotta dall'agonia, il grande amore che le aveva portato vivendo. E a Castel[franco trascorse pure giorni felici la povera Erminia. Passato appena un mese dal matrimonio la casa paterna si riapriva feVOL. III, Serie II. Novembre 1876.

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stosamente per lei. « Quanto fosse beata quel giorno, mi scri» veva Fusinato dopo la tremenda sciagura,- io solo posso dirlo, " che tante volte le aveva asciugato coi miei baci le lagrime che "le strappava il pensiero degli addolorati parenti. »

Nell'autunno i due sposi si recarono in Friuli al Castello di Colloredo, ospiti di Ippolito Nievo. Fu il regalo di nozze che Arnaldo offerse ad Erminia. Là si trovava anche Teobaldo Ciconi: tre poeti ed una poetessa sotto il medesimo tetto. Che giorni furono quelli!

Oh forse ancora

Il vetusto Castel di Colloredo
Rammenta il conversar di quel giocondo
Stuolo d'amici, e gli agguati innocenti
Apparecchiati a festeggiar l'arrivo
Di caro ospite atteso, e quell' assidua
Mite allegria, che si pascea di giuochi
Quasi infantili, perchè impressa d'una
Quasi infantile ingenuità. Che ameni
Pellegrinaggi si compîr per valli

E colline ridenti, ove, con gli occhi
Volti al levarsi od al cader del Sole,

Talor muti posammo, e in fondo al core

Ne fremea l'agitata onda del verso.

Anco il Sole in quei giorni, e l'erbe e i fiori,

Il viso delle stelle, il volo e il canto

Degli augelletti, e n'appariva tutto
Lassù più bello!...

Una sera Ippolito, Teobaldo ed Arnaldo, reduci a tarda ora da una gita fatta a Conegliano, scorgono da lungi il Castello illuminato, varcano curiosamente la soglia e vedono scendere le vaste scale l'Erminia, ravvolta in un'ampia veste di broccato, pescata nell'antico arsenale di famiglia, coi due giovani fratelli d'Ippolito, camuffati grottescamente da paggi, e con un lungo corteo di contadini che suonavano una fanfara di paiuoli, di secchi e di padelle. Fece inginocchiare i tre poeti ai suoi piedi, diede loro le mani a baciare e dopo un breve complimento in versi veneziani, l'introdusse nel salotto da pranzo, dove li attendeva un gran piatto di tordi fumanti. « Povera Erminia, - esclama Arnaldo coll'animo affranto dai ricordi, — come eri bella quella sera

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