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LA STORIA DEI CENTO GIORNI

NARRATA DAL SISMONDI.

(Epistolario inedito).

Lo scorso gennaio pubblicai nella Revue Historique di Parigi, una Conversazione inedita fra Napoleone I ed il Sismondi, esprimendo la speranza di poter pubblicare ancora le lettere che lo stesso Sismondi aveva scritte, durante i Cento Giorni, da Parigi alla madre in Pescia. In questa piccola città della Toscana la sua famiglia si era, come è noto, ricoverata nel 1795, cacciata da Ginevra per le agitazioni che accompagnarono la Rivoluzione francese; in essa molte delle sue opere furono concepite o scritte. Ivi la sua sorella Sara sposò Antonio Forti, matrimonio da cui nacquero un maschio che fu il celebre giureconsulto Francesco Forti, ed una femmina, Enrichetta, sposata nei Desidèri, che furono poi eredi del Sismondi. Ed ora è appunto per la cortesia del mio amico il dottor Carlo Desidèri di Pescia, possessore di quelle lettere, che sono in grado di adempiere la promessa fatta ai lettori della Revue, nella quale comincerà col prossimo gennaio la pubblicazione del prezioso epistolario. Nè mi sembra del tutto inutile darne fin d'ora un breve ragguaglio ai lettori della Nuova Antologia. Cercherò di essere breve, trattandosi di documenti che presto vedranno la luce.

Sono in tutto 42 lettere, la prima delle quali porta la data del 1° gennaio, l'ultima quella del 31 agosto 1815. Molte di esse però, scritte giorno per giorno durante una intera settimana o più, riescono lunghissime. È infatti un vero e proprio giornale storico, che in forma di lettere il Sismondi scriveva alla madre, donna di molta coltura e di raro buon senso. In esse noi vediamo uno scrittore illustre, uno storico giustamente celebre, un uomo VOL. III, Serie II. Dicembre 1876.

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sinceramente liberale e di nobilissimo carattere, che, trovandosi in mezzo al gran dramma de' Cento Giorni, l'osserva, lo studia con un' attenzione sempre crescente, tale che gli fa nascere il pensiero di scriverne la storia. Egli non riusci più tardi a porre in atto questo suo proponimento; ma intanto non resiste al bisogno di comunicare tutte le sue osservazioni, tutte le sue impressioni, giorno per giorno, ora per ora, alla persona che più di tutte amava sulla terra, alla madre. E così noi abbiamo una storia meno letteraria, meno artisticamente composta, ma forse appunto per ciò più vera.

A questa importanza storica se ne aggiunge un' altra, che direi psicologica. Il Sismondi, di un'antica famiglia italiana da lunghissimo tempo stabilita nella Svizzera, liberale e repubblicano ardente, parteggiò allora per Napoleone I. Fu quindi accusato subito di riprovevole debolezza, di aver ceduto a lusinghe non solo, ma a favori interessati del potente fuggitivo dell' Elba. E l'accusa venne poi ripetuta anche da gravi scrittori, da storici imparziali. Queste lettere invece dimostrano chiaro che egli non smenti mai la nobile fierezza e indipendenza del suo carattere. Ciò che lo rese favorevole allora a Napoleone I, il cui genio esso non poteva non ammirare, fu da un lato il non crederlo più abbastanza forte da far male alla libertà; da un altro il profondo disgusto e disprezzo che gli aveva ispirato il governo dei Borboni, tornati a governare la Francia colle armi straniere. Ma quando fece conoscere queste sue opinioni in alcuni articoli, che pubblicò sulla nuova Costituzione imperiale, e Napoleone I, assai lusingato di ciò, volle parlargli con molta benevolenza, e gli offri poi la Legione d'Onore, il Sismondi pregò che fosse ritirato quel decreto, perchè nessuno avesse il diritto di esprimere dubbii sulla indipendenza disinteressata de' suoi giudizii. Quel ch' egli scrive alla madre in questa occasione non lascia più dubbio alcuno. A lei egli nulla nasconde, con lei egli quasi si confessa. Ciò è anzi assai spesso, io direi, il fascino di queste lettere. È singolare vedere come il Sismondi, sdegnato delle puerili miserie del governo dei Borboni, i quali, dopo la grande Rivoluzione, credevano possibile la pura e semplice restaurazione d'un passato, di cui non avevano alcuna delle virtù e molti dei vizii, e come paragonando tutto ciò alla chiarezza, alla precisione, alla rapidità dei discorsi e delle azioni di Napoleone, che imitava allora mirabilmente il linguaggio liberale, si lasciasse illudere sino a crederlo capace di restaurare e salvare veramente

la libertà. Ma la genesi di queste illusioni è ora sotto i nostri occhi, ed esse si formano cosi naturalmente, che finirebbero qualche volta coll'illudere noi stessi, se una più lunga esperienza non ci avesse troppo ammaestrati. Più singolare è poi sentire la voce della vecchia madre, che dal fondo della piccola Pescia, con singolare persistenza, dice al figlio: « Ricòrdati ch'è stato sempre un tiranno. Pensa che se mai trionfasse il partito che tu ora difendi, la libertà della nostra Ginevra sarebbe perduta per sempre. » — - È questo uno studio notevolissimo di caratteri, nel quale se possiamo deplorare qualche illusione del grande scrittore, dobbiamo sempre più ammirare la nobiltà del suo animo.

Alla importanza storica e psicologica di queste lettere si può aggiungere anche l'altra che viene da una serie di osservazioni e di giudizii letterarii, critici, politici, che il Sismondi fa di passag gio sopra incidenti secondarii, mentre osserva e descrive mirabilmente le grandi linee e i grandi avvenimenti che formano l'ultimo atto del dramma colossale del primo Impero. Ora si ferma a descrivere una villa del Chateaubriand, la quale, non molto diversa da colui che l'abita, gli sembra « de l'affectation en relief." Ora, paragonando gli scritti della Staël a quelli dello stesso Chateaubriand, osserva che se nei primi s'incontra qualche pensiero oscuro, considerandolo meglio si troverà quasi sempre un'idea giusta, un' osservazione acuta malamente espressa; ma nei secondi sarà nebbia sempre più densa, armonia di parole, che nasconde la povertà delle idee. E così continuando, specialmente nelle prime lettere, a parlare dei principali personaggi che conosce, quasi tutta la società politica e letteraria di Parigi a quel tempo passa sotto i nostri occhi. Tali pregi uniti agli altri assai maggiori, che ognuno può ammirare in queste lettere, ne accrescono non poco il valore.

Il Sismondi cominciò a scrivere da Ginevra il di 1° gennaio 1815, annunziando gli apparecchi del viaggio a Parigi, dove andava, senza punto immaginare quel che doveva seguire, ma solo per continuare la stampa della sua Storia delle Repubbliche Italiane. Il giorno 8 egli scrive da Parigi, dove era già stato altra volta, e dove i suoi scritti, massime i primi volumi della Storia, lo avevano reso notissimo. Fu subito ricevuto in quello che si chiama colà il gran mondo; desinò col Corpo diplomatico dal duca di Wellington, e sin dai primi giorni riconobbe lo stato deplorevole di cose, in cui era la Francia. «Il re non è del tutto

privo d'ingegno, " esso scriveva nella lettera incominciata il 19 gennaio; « ma quelli che lo circondano fanno di tutto perchè si dubiti della sua buona fede. Vanno dicendo ad alta voce che lo Statuto è una lustra per divertire il popolo, ma non può durare a lungo. Circondato da pochi, esso è quasi isolato, «et s'imagine » de remplir ses devoirs royaux lorsqu'il pose pour des por» traits. » — «È proprio impossibile assuefarsi ad un cosi strano mutamento, che ci fa vedere « l'extrême faiblesse mise précisé"ment au lieu où était, il y a deux ans, l'extrême force."

Ma nei due mesi di gennaio e di febbraio le lettere del Sismondi parlano molto di affari personali. Egli descrive alla madre la sua vita, le persone che vede, le proprie occupazioni; domanda dei parenti; spera farle fare un viaggio coi denari che caverà dai nuovi volumi della sua Storia; aspetta con impazienza le lettere di lei, le quali legge anche a Mad. de Dolomieu, che qualche volta le preferisce a quelle di Mad. de Sévigné.

Il giorno 8 di marzo la scena si muta ad un tratto; egli dà la grande notizia: Napoleone, fuggito dall'Isola d'Elba, è sbarcato in Provenza. E si rallegra di trovarsi a Parigi in momenti così solenni: «C'est digne d'un historien.... les évènemens sont moins

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importants à saisir que le développement des caractères. » In sul primo dubita che Napoleone possa vincere; teme che sarà schiacciato; ma il giorno 11 annunzia già che esso vincerà senza bruciare una cartuccia. « Il est impossible, » egli aggiunge, parlando del Governo di Luigi XVIII, «de voir un gouvernement "plus papier-mâché que celui-ci; il y est tombé quelques gout"tes de pluie dessus, et le voilà tout de suite fondu dans la " boue. "

Segue una lunghissima lettera incominciata il 13 marzo e continuata per molti giorni. In essa abbiamo una fedele descrizione del grande e rapido mutamento d'opinione che si osserva a Parigi, in mezzo ad una grande apatia. I proclami di Napoleone sono affissi accanto a quelli che promettono un premio a chi lo uccide. Gente colla coccarda bianca e gente colla coccarda tricolore passeggiano nel giardino delle Tuileries. Giovanastri che vanno gridando: Vive le Roi; e quando la folla si rivolge maravigliata, aggiungono: de Rome et son Papà.

Tutti sembrano liberati dal giogo straniero al trionfo di Napoleone, perchè sono gli stranieri che hanno riportato i Borboni. Ma pure lo spettacolo rende immagine di un popolo che guardi come vien liberato, piuttosto che di un popolo che risorga per ri

conquistare la sua indipendenza. Napoleone entra alla testa dell'esercito uscito a combatterlo, e riposa tranquillo alle Tuileries, dove avevano dormito la sera innanzi coloro che dovevano schiacciarlo. Tutto questo colpisce profondamente l'immaginazione del Sismondi, quasi lo conquista. Egli ammira la moderazione di linguaggio della quale ora fa uso Napoleone, i cui proclami gli piacciono assai. I Borboni, invece, ogni giorno, ogni ora danno materia a far crescere il disprezzo che già sentiva per essi. Si trovano nelle Tuileries non meno di 34 cucine: « per tutto si m'angiava, per tutto era un puzzo di cucina insopportabile, « et des " armées de marmitons qui avaient remplacé la vieille Garde. " Ora, invece, in un attimo ogni cosa è di nuovo ordine ed aspetto marziale. Il re giunto a Menin diceva di aver fatto «une perte irréparable et dont il ne se consolerait jamais. » — « Tu crederai forse" scrive il Sismondi alla madre « che si tratti della perdita di un regno e dell'onore. «Non; c'est une paire de pantoufles

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perdues dans un portemanteau qui a été volé!» «Esso trovava di buon gusto fare un simile scherzo, che doveva provare il suo coraggio e la sua filosofia. Senza mettere in dubbio nè l'uno nè l'altra, «il nous permettra aussi de ne regretter sa chute qu'après » la perte de nos vieilles pantouffles. »

Invero, se tutto ciò predisponeva sempre più l'animo del Sismondi contro i Borboni, e, per una naturale reazione, in favore di Napoleone I, non pare che sia da maravigliarsene troppo. Assai più singolare è invece, che egli non vedesse punto come Napoleone fosse fatalmente trascinato a ricominciare la guerra, e come in nessun caso gli Alleati si sarebbero rassegnati a lasciarlo di nuovo governare la Francia e ricostituire l' Impero. Ep. pure così è: egli credeva che la pace fosse nell' interesse di tutti, e che perciò tutti finirebbero col volerla; credeva che Napoleone si sarebbe sentito tanto debole da rinunziare ad ogni conquista, e da volere in buona fede ricostituire il suo regno sopra una libertà temperata e sicura. Sinceramente animato e confortato da questi sentimenti, salutò con gioia la nuova Costituzione dell'Impero, che venne allora pubblicata, e la lodò nei giornali. Il fatto non sfuggi alla vigile attenzione di Napoleone I, che subito fece chiamare il Sismondi, col quale ebbe alle Tuileries la conversazione, che noi abbiamo già pubblicata, e della quale anche in queste lettere si tien parola. Più tardi il Sismondi pubblicò addirittura il suo Examen de la Constitution Française. "In esso," egli dice alla madre, « io ho difeso la moderazione, la

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