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che in una festa da ballo la bella del poeta fu colta da emorragia nasale. L'accidente è poco poetico; ma con un po' di fantasia si può ridurlo tale, e darne anche la colpa ad Amore. Amore, invero, da un gran pezzo voleva ferirla, e scelse cotesta occasione per dirizzarle uno strale: ma egli è cieco, Madonna danzava, il colpo invece di andare al cuore andò al naso, ed ecco perchè ella fa sangue di li:

E volendo toccarla in mezzo al cuore
Non ci vedendo, nel naso la colse.

Se fosse detta per scherzo, sarebbe bellina: il male è che è detta. sul serio !

Un giorno tira gran vento; è accidente che avviene spesso, ma il poeta ha capito che gatta ci cova: è Giove, proprio Giove, che converso in Borea ha trovato questo mezzo per baciar le labbra di Madonna: poteva almeno scendere in aura soave, e sarebbe riuscito meglio:

Or guarda se mia sorte è trista e ria,

Che insino il vento che dal ciel trabocca,
M'empie col suo spirar di gelosia.

Ma tu, Giove, se amore il cor ti tocca,
Almen vieni in un' aura umile e pia,
E non corromper così bella bocca.

Un'altra volta nevica, e la sua bella è a spasso:

Stava pieno ciascun di maraviglia

Vedendo che fioccava e che Sol era:

Il Sol che facea lei colle sue ciglia.

Intanto la neve caduta si converte in ghiaccio: e sapete perchè?

Sendo la neve qua discesa in terra

E vedendosi vincer di bianchezza

Da Madonna, di sdegno, ira e tristezza
Agghiacciossi, per farle ingiura e scorno.

Anzi fece di peggio; chè andando ella al tempio, la fece scivolare.
Per fortuna il naso fu salvo, ma rimase offeso un braccio:

Ma se Madonna ardea si come io faccio,
Giunta mai non sarebbe a tal caso empio,

Chè a chi ama sotto i piè si strugge il ghiaccio.

Anche questa non si sapeva. Ma almeno, dacchè va in chiesa, si rammenti di lui nelle commemorazioni dei morti:

Se pregar pei tuoi morti usa mai sei,

Spero pur oggi anch'io qualche conforto,
Chè, se fai ben tuo conto, io son tuo morto,
Ne da tal numer separar mi déi.

Se poi fosse andata a confessarsi, si ricordi che bisogna restituire il mal tolto: l'arco e la faretra ad Amore, il cuore al poeta, e stia attenta a non abbagliare il povero confessore, chè l'assoluzione sarebbe nulla:

E se sarai dal sacerdote assolta

Non ti fidar, che si dal tuo splendore
Occupato riman, che non ti ascolta.

Il sole si nasconde fra le nuvole: sapete perchè? perchè si vergogna di esser vinto di luce da una donna di quaggiù; e farebbe bene a starsene sempre così nascosto:

Non so che causa a ritornar l' induce,

Ma il starsi occulto è per lui meglio assai.

Si appicca il fuoco alla casa dell'amata: tutti accorrono, salvo il poeta, che si scusa con buone ragioni:

Ch' essendo io fiamma, avrei più acceso il fuoco.

Nè è da meravigliarsi se l'incendio fu spento tardi; perchè la gente accorsa coll' acqua la dovette usare a propria salvezza contro l'altro incendio degli occhi di Madonna:

Onde l' acqua ch' avea già per te presa
Costretto era gittar sopra il suo petto.

Se non che non a tutti è nota la cagion vera dell'incendio. Era quella unica fenice che si accendeva il rogo: lo preparò con l'arco e le saette tolte ad Amore, e poi soffiò coll' ali nel fuoco:

Ma il ciel che vide le faville accense,

Parendogli pur lei giovane ancora,

Non volse, e il fuoco incominciato spense.

Oh che bel fine io m'aspettavo allora !

Miste avrei con le sue mie fiamme immense :

Mai più non fia che si felice io mora !

Madonna è partita: la finestra ond' egli soleva vederla, è fatta vedova: tre sono fatti ciechi a un tratto: la finestra sullodata, l'amante e Amore: chi sta peggio?

Tre ciechi siamo: tu, fenestra, ed io

E Amor, da cui principio ebbe il mio male:
Ma del vostro patir più forte è il mio.
Chè tu sei vetro, e in te dolor non vale,
Chè sei cosa insensata: Amore è Dio,

E a me dato è il sentire, e son mortale.

Un giorno il poeta è riuscito a metter le mani sopra la preziosa tela candida e felice -idest, per intendersi, sulla camicia della sua donna la palpa, la bacia, e conchiude:

Volentier per un di ti porterei

Sopra la carne mia, ma ancor si forte
M' arde, ch' io temo che ti brucerei.
Deh, fussi quella che da sua consorte

Ebbe Ercol! chè bruciar te non dovrei,
Ma che bruciassi me dandomi morte.

Madonna però, dagli dàgli, si fa men aspra: i due amanti si sono dovuti separare, ed ella ha pianto: ma a lui che giova?

Quel dolce pianto giuso al cor mi scese,

E l'acqua, oh strano ed incredibil fatto!
Che spegner dovea il fuoco, più l'accese.

Pegno d'amore e di dolci cure, egli le manda una palla da scaldarsi le mani l'inverno, infuocandola : ei l'ha scaldata colle sue fiamme amorose:

Del fuoco che per voi m'arde e m'incende
Mandovi dentro questa palla accesa,

Che fia alle vostre man scudo e difesa
Contro il freddo crudel quando le offende.
Ma se avvien che in la palla il calor mora,
Di nuovo riscaldar la poterete

Al mio cor, che con voi sempre dimora.

Nè le arguzie sono meno studiate e copiose, perch' ei debba

pianger la morte della donna amata. Qualche accento di dolore è nel Sonetto in morte della madre:

Riposa in pace; vale, vale, vale,

Madre, che presto ti verremo dietro:

ma non cosi in quelli per l'amata. Egli grida alla Morte:

Forse che un corpo solo al libro scrivi?

Ahimè! chè sotto un' agghiacciata pietra

Sepolti hai seco mille corpi vivi.

E invidia la sorte di Niobe convertita in sasso dal dolore, perchè del sasso si fanno le pietre sepolcrali:

Oh quanto invidiata da me sei,
Niobe, chè nel caso tuo infelice
Fosti in pietra conversa dagli Dei.
Tal mutazion mi potria far felice,
Perchè coperchio al cener mi farei

Di costei, che fu in terra una fenice.

Ma al lettore basteranno, e avanzeranno, questi esempj di una poesia tutta guizzi, scoppietti e fulgòri. Il Sonetto che presso i seguaci del Petrarca era sempre più caduto in languidezza, pareva adesso rianimarsi: se non che ciò avveniva per infusione di sangue alieno. Il Sonetto diventava Epigramma, e la decorosa sua tessitura si cangiava, per opera del Tebaldeo, in un accozzo di sentenze ed arguzie. Anzi che esser un componimento, nel quale il poeta filasse intero un concetto, giungendo naturalmente al quattordicesimo verso, tutta l'industria del poeta era posta in servigio di codesť' ultimo verso e del concettino finale, facendoli scattare colla violenza d'un saltamartino, e schizzar fuoco e fiamma agli occhi non preparati a tal meraviglia. La tecnica sapiente del Sonetto, per questi fuochi d'artifizio e razzi matti e girandole della nuova retorica, si può dir davvero che diventasse una specie di pirotecnica.

VII.

Serafino dell'Aquila supera i suoi maestri, ed è più falso e più luccicante di loro. Anche più di loro abusa delle figure di parola

e di pensiero, dei giuochetti, delle immaginette: e senza dubbio, assai più che il Cariteo e il Tebaldeo, fa pompa dell'arte di cavar un concettino piacevole, un pensierino galante da un nonnulla, 'di metter le cose fra loro in relazioni inaspettate, di alzare il piccolo al grande e al sublime, e adeguare il grande ed il sublime al piccolo. Tutta la sua poesia è davvero una creatio cx nihilo: però, il nulla resta sempre nulla, e la immagine che per un istante sorprende la fantasia, e il suono che momentaneamente accarezza l'orecchio, non perviene Icelar del tutto e durevolmente la vacuità dell' affetto e del pensiero. Il nostro poeta si compiace a gonfiare piccole bolle di sapone, che per un mo mento hanno vaghezza di colori, e poi scoppiano senza lasciar niuna traccia di sè.

I soggetti sono tutti tolti da fatti e casi di poco rilievo; da un cagnolino accarezzato da Madonna, da un falcone morto, da un uccellino mandato in dono, o chiuso in gabbia, o da questa fuggito. Spesso sono soltanto illustrazioni a quei fregj, a quei motti, de' quali l'età era si vaga, col nome di imprese, e sulle quali tanto si stillarono il cervello il Giovio, il Ruscelli, il Dolce, il Tasso, e tanti altri. L'anello porge argomento a più Sonetti. Esso era già un fiore, che lo sguardo di Madonna indurò:

Gli spiacque tua beltà fosse si frale,

E con quel guardo suo pien di vaghezza

Ti fece un smalto.

Dal dito dell' amata è passato a quello dell' amatore: ma bada, gli dice il poeta, che il mio fuoco ti liquefarà:

E credo certo il mio calore ardente

Un di ti fonderà nel proprio dito,

Ancor che smalto sei duro e possente.

Dalla sorte che attende il povero anello, argomenti l'amata qual sarà la propria, s'ei le venga appresso col suo fuoco amoroso:

E se 'l mio caldo amor gli diede impaccio,
Pensa se a vincer te mi sarà poco,

Ch' ei fu di smalto, e tu di duro ghiaccio.

La stessa trasmutazione del fiore in smalto toccò ad una

Io non m'intendo di versi: ma dice chi ne ha pratica, che componeva sopra una mosca, sopra una lettera, sopra una maniglia, e sopra ogni impresa: Aretino, loc. cit.

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