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La mattina dopo, quando m' aspettavo che il padrone m'ordinasse di menarli a caccia, mi sento invece chiamare dal Fattore nello scrittoio e mi dice: Il padrone ha risaputo tutto; dice che gli dispiace, ma che vi dà licenza subito, sul tamburo.... a voi, queste son cinquecento lire che vi regala....

Le cinquecento lire non le volli; presi solamente lo schioppo e me ne venni. –

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Fece una breve pausa; s' asciugò il sudore con una manica della cacciatora, e continuò:

Ora son nov' anni che son qui! mi chiamano il Matto; mi rincorrono; m'urlano dietro e mi tirano le schioppettate da lontano per farmi paura.... Ma me lo merito, perchè dopo ammazzato lui, invece d'andare dal Maresciallo a farmi pigliare, mi dovevo legare un sasso al collo e farla finita....

Ma se tu avessi un bisogno.... nel caso d'una malattia, non hai un parente...?

Nessuno.

Nemmeno un amico?

Un amico si; e che amico! Lo vol conoscere?

Fece un fischio, e sbucò, sguazzando nell'acqua fino alla pancia, un vecchio Restone' quasi non reggendosi in gambe, il quale muovendo festosamente la coda, andò con fatica a mettere le zampe davanti sul barchino del suo padrone, e guardandolo con occhi lustri, mandò con voce rauca un latrato di gioia.

Il Matto lo accarezzò ruvidamente tirandogli un orecchio, e siccome il cane senti male, si mise a guaire.

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Zitto, zitto, Moro, disse il Matto;

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eppure lo sai che se qualcuno ci sente, bisogna scappare se non si vol' essere impallinati. Tieni, povero vecchio.

E cosi dicendo, gli buttò un tozzarello di pan secco che spari, senza toccargli un dente, nella gola del povero Moro, come un sasso buttato nell'acqua.

Il cane rimase un momento a guardarlo con la testa alta e leggermente inclinata sopra una parte, come per domandargli: - Ce n'è altro? - Il Matto guardò lui con tenerezza e scuotendo il capo, rispose sospirando: Per oggi, no.

Gli vuoi bene a cotesta bestia? domandai.

Più che all' anima mia.

Lo venderesti!

'Specie di cane da caccia.

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In questo momento lo vidi puntare il forcino con furia vertiginosa, e datasi una vigorosa spinta, si dileguò come un fantasma tra i ciuffi di vetrice la nebbia che s'era fatta foltissima; mentre una lieve folata di vento mi portò all'orecchio, ma quasi impercettibile, la voce della fanciulla che ripeteva la sua

canzone:

Dimmelo te, gran Dio... ma il mio lamento

Vola e si perde su l'ali del vento.

Circa due mesi dopo, tornando in padule, domandai alla solita Guardia:

- O il Matto?

Glielo dicevo che era un mezzo Stregone quel brutto coso...? O che non ne sa nulla?

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No....

O di quel canaccio nero che aveva, se ne rammenta?
Quel Restone vecchio?

Sissignore. Cotesto serpente gli cascò morto di vecchiaia, di cimurro, di fame, o che lo so? e quattro giorni dopo fu trovato stecchito anche lui nelle giuncaje mezzo mangiato dagli animali.... Dica la verità, ci ha avuto piacere anche lei!?

Non risposi, e mutai discorso.

NERI TANFUCIO.

I LIMITI DEL PROTEZIONISMO MERCANTILE.

I. I limiti del protezionismo mercantile.

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Si manifesta di nuovo vivissimo lo zelo dei protezionisti mer. cantili; nè solamente scrittori giovani e valenti presero la bandiera del protezionismo; chè altresi autori vecchi abbandonarono il partito della libertà per passare al partito opposto. E sono seguiti dalle classi operaie; anzi da nazioni grandi e industri, che scelsero il protezionismo per sistema della diplomazia e dei trattati internazionali.

Se noi osassimo giudicare con dispregio questi fatti, e asse. verare teoricamente, che il protezionismo è contrario a giustizia e all' utile comune delle nazioni, la nostra assolutezza si stimerebbe una baldanza ideale e vana; e si ripeterebbe che trascu riamo l'esperienza. Laonde a me pare prudente non contrapporre teorie; e piuttosto seguire i passi del protezionismo per arrestarlo là dove può fare il male.

Nessuno negherà che egli abbia dei limiti; e noi avvisiamo in questo discorso di dimostrare come essi possono essere rin tracciati e.resi manifesti colla scorta dell' osservazione e coll'induzione sperimentale.

II. Il protezionismo in riguardo alle individuali professioni.

L'individuo spronato dal suo proprio egoismo aborre la concorrenza. Però egli nello stato rustico copre di mistero i suoi pos

sessi, le sue cognizioni e le sue invenzioni: e inclina a denigrare, e anche a respingere colla forza chi intenda competere con lui nella stessa professione; e dove non sia permesso usare la violenza, egli cerca di essere patentato legalmente con diplomi e brevetti personali.

Lo scopo pratico è di avere prestigio e superiorità, e trarre prezzi più rimuneratori delle sue fatiche.

I Governi medioevali, i primi ad essere retti dalla moltitudine faticosa, secondarono quell' egoismo istintivo; il quale non è un odio dell' animo; bensì è il sentimento interno e naturale della conservazione. Se non che l'osservazione ponderata e veggente ha fatto conoscere, che l'azione individuale esclusiva nelle maniere sopraddette è stazionaria, superstiziosa, negligente, bugiarda, e in sè si fiacca, che presto si fa distruggere dall' energia degli altri individui. E qualora essa sia sostenuta e protetta da leggi autoritarie e nazionali, l'individuo trascura l'istruzione ed i perfezionamenti, rende servigi poco accettevoli, ha una clientela circoscritta e guadagni relativamente scarsi, perchè la società si abitua a privarsi dei suoi servigi e dei suoi prodotti. Tutti ora concordano a ritenere che nell'esclusione personale non ci è tornaconto nè per l'individuo, nè per la società.

La qual cosa si può vedere da chiunque osservi un piccolo paese lontano dai centri, separato dalle comunicazioni e dalla concorrenza usuale. In questo paese vi è d'ordinario l'esclusione più pretta. Un fornaio solo, un macellaio solo, un farmacista solo, un medico solo, un droghiere solo, un ostiere solo, un ortolano solo, e via discorrendo delle altre professioni casalinghe. E tutti costoro sono, nonchè poveri, rozzi e retrivi; e la popolazione si contenta di vivere una vita di privazioni anzichè subire la tirannia di quelle genti incapaci e pigre.

Tuttavia l'esclusione o la privativa può tornare a vantaggio dell'individuo, quando egli possegga prodotti di prima necessità e alberghi in un centro popoloso. La qual cosa però se non fosse affatto occasionale darebbe nascimento alla più flagrante ingiustizia. Laonde i popoli civili si limitano a concedere patenti, diplomi e privative personali soltanto negli uffizii, pei quali sia d'uopo esigere dai professionisti garanzie morali, tecniche o pecuniarie, ovvero anche quando non si scorga altro mezzo per compensare i trovati di un inventore esimio. L'esclusione e la privativa sono stimati spedienti, e guai se formassero sistema!

III. Il protezionismo in riguardo alla corporazione artigiana.

Il lavoratore provveduto di capitali fugge i vincoli della corporazione, e ha rinunziato da molto tempo ai privilegi delle arti volendo essere libero.

Invece il lavoratore nullatenente non potrà completare la sua personalità operosa, se non avrà l'appoggio protettivo della corporazione artigiana. Infatti vi sono ancora corporazioni obbligatorie e altre libere, conforme vi sono state in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Imperocchè le corporazioni artigiane si riconoscono non solo presso ai popoli del mezzo tempo, ma presso ai Greci e ai Romani, non che presso agli Etruschi, anzi nell' Asia e nell'Affrica, dove esistono tuttavia.

Ora pertanto che predomina nelle nazioni civili il diritto comune, il quale è la sanzione della individualità giuridica, conviene distinguere chiaramente dalle corporazioni obbligatorie le libere.

La corporazione obbligatoria è una istituzione politica, un brano dello Stato, e contiene un privilegio sovrano. Però guardata nel senso economico la corporazione obbligatoria poggia sul perno dell' esclusione industriale ed è protettiva; affinchè il la voro sia assicurato ed il salario alto. Ma di contro a tali benefizii si palesano i difetti seguenti.

La corporazione obbligatoria è chiusa agli operai estranei, i quali languono nella miseria, la qual cosa non assicura neppure alla corporazione privilegiata un lavoro continuo. Anzi le interruzioni cagionano angosce irrimediabili ai soci stessi, i quali non possono cercare altrove il lavoro. Oltre a ciò, nella corporazione obbligatoria esiste necessariamente una gerarchia inamovibile e un tirocinio lungo: per il che il guadagno dell'individuo è tardivo e relativamente scarso, rattenuta la sua energia, spregiata la sua perizia; infine è aborrito il perfezionamento del lavoro. E osserverete facilmente che una città signoreggiata da corporazioni esclusive e privilegiate cerca di far senza dei loro servigi e dei loro prodotti. Laonde langue il lavoro, languono gli scambi, langue la vita produttiva. Per le ragioni sopraddette l'operaio intelligente rinunzio negli Stati civili spontaneamente al privilegio e alla protezione della corporazione obbligatoria, eccettuati alcuni casi di opere circoscritte e peculiari come sarebbe il facchinag

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