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quello che doveva essere il primo di tanti altri lieti e fecondi nell'avvenire. Finalmente si era incontrato con la compagna e l'amica che poteva dare al suo spirito alimento e conforto. La Giulia Goffredi aveva detto bene, quando asseriva che tutti gli uomini grandi avevano trovato aiuto e sollievo nell'amicizia con donne di mente elevata.

Adesso che quest'amica era sua, che cosa gli mancava ancora per salire laddove volgeva intensamente il desiderio? Tutto gli sorrideva.

La sua elezione nel collegio di S. era quasi certa, ed era già cosa intesa col deputato dimissionario che questi doveva proporlo in vece propria agli elettori; l'editore aveva chiesta la sua opera storica prima ancora che fosse finita; gli amici lo incoraggiavano, lo aiutavano e lo portavano alle stelle senza che egli avesse fatto nulla di notevole. Che cosa poteva desiderare di più?

Giunse con questi pensieri alla porta di casa, e mentre stava per salire le scale, il portinaio lo richiamò porgendogli una lettera. Era una lettera della Marchesa.

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«Caro Flavio, - diceva in essa, è giunto or ora il Sottoprefetto di S., e mio cugino il Conte d'Ortalia. Ortalia è uno dei proprietarii più ricchi di S., ed ha molta influenza nelle elezioni. Egli vuol conoscervi e potrà esservi immensamente utile. L'ho invitato a pranzo col Sotto-prefetto. Venite anche voi e siate puntuale. Alle nove anderanno via, e forse rimarremo soļi.... vi devo la fine di quella deliziosa musica di Raaff, e dovrei anche tenervi il broncio per essere stato tutto un giorno senza venire da me. » VITTORIA.

» PS. Ortalia è un po'clericale. Parlategli della vostra prima comunione, o del santo protettore del vostro paese, e sarete certo d'essere eletto. »

Flavio sorrise, ripiegò la lettera e sali le scale in quattro salti. Era tardi, e gli restava appena appena il tempo di mutare gli abiti.

- La signora è uscita per accompagnare la signora Teodolinda alla stazione, - disse la donna di servizio appena lo vide, e tornerà subito.

--

Flavio, contento di non trovarla in casa, andò in camera per vestirsi presto e uscire prima che ella fosse tornata.

Passando dal salotto da pranzo, vide con meraviglia che la

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tavola era apparecchiata con più eleganza del solito, che la stanza era ornata di fiori e che in essa spirava un'aria insolita di festa. Perchè questi preparativi? pensò fra sẻ Flavio, guardando la tavola, la quale era apparecchiata, come al solito, per due persone. Ma Flavio non stette un pezzo a cercare la spiegazione di quel futile mistero. Entrato in camera, indossò presto presto la giubba, mise una cravatta bianca, e un quarto d'ora più tardi scendeva le scale ancor più lesto che non le avesse salite.

Proprio mentre usciva dalla porta s'imbattè con Marcella che

tornava a casa.

Essa era tutta vestita di nero, con molta semplicità. Nel suo portamento appariva un che di stanco; il suo bel viso era pallido, e i suoi occhi sembravano più grandi e neri del solito.

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- Si.... rispose Flavio imbarazzato; perchè, senza avvertirne la cagione, sentiva che sua moglie era in uno stato d'animo eccezionale e turbato; egli ebbe l'intuizione che ella soffriva senza però accorgersene nè dal suo aspetto mutato, nè dall'afflizione che traspariva da ogni movenza della sua persona.

-Non potrei aspettarti.... e pranzare con te più tardi? chiese con dolcezza e timidità Marcella.

- Ma vado a pranzo fuori, ribatté il marito.

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A pranzo fuori! - esclamò essa

-

sarà il primo anno che non festeggeremo insieme l'anniversario del nostro matrimonio. Ah! fece Flavio che aveva dimenticato. Non ardi confessarle che non se n'era ricordato, ma lo noiava l'importanza che Marcella soleva ancora dare a cose che per lui non ne avevano più. Lo so e mi dispiace.... disse ora è troppo tardi, e non potrei senza commettere una scortesia mancare ad un invito.... Mi faresti tanto piacere, - tornò a dire con affettuosa insistenza Marcella.

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Sta a vedere - disse fra sè Flavio impazientito che essa prende ora la bella abitudine di fare la vittima, e che non sarò più libero di pranzare fuori, quando lo voglia. Bisogna che non mi lasci sfuggire l'occasione di educarla un pochino a modo mio. rispose forte, devo pranzare in compagnia di persone che hanno molta influenza sulle prossime elezioni a S., e capisci bene che m'importa assai di potermi mettere in buone relazioni con esse.

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Cara Marcella,

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Si.... capisco.... balbettò Marcella, abbassando la testa.
Un uomo che sta per entrare nella vita pubblica, deve

prendere l'abitudine

continuò Flavio di dedicarsi intiera

mente a quella, e di mettere in seconda linea tutti i suoi inte

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- Tutti,

disse; ed egli non capi se ripeteva a caso le sue

parole, o se lo dicesse in tuono di sgomento o ironia.

- Tutti, rispose egli con vivacità e coll'impazienza di chi vuol andarsene.

Addio,

replicò Marcella piano piano, come se quella parola le uscisse a stento dalla gola, ed entrò nella casa.

Flavio non se lo fece dire due volte, salutò e andò via lesto lesto, senza più pensare a Marcella, la quale rimasta sola stette in orecchio per udire ancora il passo affrettato di Flavio che s'allontanava.

- È finita,

- disse allora, e sali le scale.

Entrò anch'essa, come aveva fatto Flavio, nel salotto da pranzo, e dètte un'occhiata ai fiori, ai lumi accesi, alla tavola apparecchiata.

Com'era deserto quel salotto; e il chiarore di que' lumi come pareva che illuminasse un vuoto senza misura e senza fine!

Marcella, nelle ultime ore di quel giorno, aveva nudrita una ultima assurda speranza; un desiderio illogico, un'aspirazione da femminetta, stanca di soffrire e di veder chiaro nelle crudeli negazioni della realtà; essa aveva sognato di riavere almeno per un'ora il suo Flavio di una volta, dimenticando l'abisso che da quello la separava e che, scorsa quell'ora, l'avrebbe nuovamente attirato a sè.

Ma neppure per un solo istante, neppure mettendovi tutte le forze dell'animo per ingannar se stessi, non è possibile riprodurre l'immagine di una felicità perduta. Si può coll'artifizio creare l'immagine di qualcosa già creato per opera di fatti artificiali, ma il vero, quando il vero è un affetto sincero, non si riproduce più in nessun modo. Si direbbe che è cosa che la natura rivuole per sè, e che nasconde tanto gelosamente, perchè un suo istrumento di vita non serva d'inutile conforto a gente scorata e stanca.

Marcella ferma dinanzi alla tavola si scioglieva i nastri del cappello, e guardava con un senso di pauroso stupore quella tavola da pranzo apparecchiata per due, e che sembrava attendesse gente a lei sconosciuta. Parevale dovessero giungere altri, che con quelli che ora abitavano in questa casa non avevano nulla di comune. Perchè anch'essa si sentiva mutata, e se si fosse messa

al posto che era pure il suo, le sarebbe parso di occupare quello di un'altra. Tanto prende di noi un amore profondo e sincero, che, se a forza dobbiamo perderlo, porta via con sè la miglior parte nostra, e quella che rimane, e che di quell'affetto non s'era finora alimentata, sembra nuova, sconosciuta e tale da non apprezzarsi più.

E forse questa la cagione del male gravissimo che provocano certe disillusioni, mentre la perdita di persone care e di amici e parenti non lascia un vuoto che accanto a noi, senza che per questo si produca in noi stessi; e a piangerli può concorrere tutta l'individualità nostra, che non si spezza o si spegne come negli amori perduti.

Marcella andò nella camera da letto. La camera era buia. Essa non accese il lume, ma provò quasi sollievo per quella oscurità, che la proteggeva, in un momento di angoscia, dalla vista di cose che l'avrebbero straziata ancor più. Si levò il cappello e si lasciò cadere sopra una seggiola.

Senza volerlo si era seduta accanto al letto del marito. Quando se ne accorse, senti una stretta al cuore, vi appoggiò il capo e dette in un pianto dirotto. Ma non era nell' indole sua di piangere per un pezzo, nè di abbandonarsi senza freno alla disperazione. Si vergognò di non saper altro che piangere per quel suo amore perduto; le pareva una prova di dolore troppo comune e meschina in confronto del dolore stesso. E poi perchè disperarsene oggi piuttosto che ieri o ieri l'altro? Non andavano le cose loro a questo modo da un pezzo?

Ma oggi le era apparsa più vera, più incontrastabile la certezza di non essere più amata da lui; senza analizzarne le cagioni, sentiva che ormai tutto era finito e che al suo male non vi era più rimedio. E quella certezza le si era affacciata così a un tratto, proprio quando aveva avuto un'ultima puerile speranza di felicità.

Si alzò, accese un lume e si mise a guardare nella camera; vi era in essa la roba di lui e quella di lei; tutti i particolari della vita intima s'intrecciavano in quelle quattro mura e sembravano guardarla con triste ironia. Per la prima volta tale comunità di cose di vita le parve assurda e le fece male. Pareva non esistesse più per altro che per affermare, deridendola, la grande separazione avvenuta fra di loro; sembravale che di due che non s'amavano più, soltanto i mobili e le vesti avessero serbato una inutile e stolta abitudine di affetto. Marcella sbigottita

da quella crudele evidenza guardò i due letti che le stavano accanto, e arrossi per la vergogna e la confusione, allorquando pensò che un uomo che non sapeva più amarla venendo a riposare accanto a lei ogni sera portava in quella intimità sogni e memorie di cose e di gente a lei estranea e ignota, e quei pensieri di persone e ricordi a lei sconosciuti e che pure s' intrecciavano nella convivenza sua col marito, l'avvilivano come se ella vi prendesse parte volontariamente e se ne macchiasse come di colpa propria. A che cosa serviva ormai quella camera? Dio buono, a che cosa! ripeteva fra sè Marcella. Via via che rifletteva con impazienza e rapidità quasi pensasse nella febbrile sovreccitazione di un sogno, le appariva differente di prima ogni cosa che le stava vicina; e il suo stato le apparve tanto mutato, quasi fosse divenuto triste, vile, indegno di lei e indegno perfino di quell'altro che non l'amava più.

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Nell' animo di Marcella sorgeva una tempesta violenta, un nobile sdegno contro ogni transazione bugiarda, ogni finzione convenzionale.

Marcella che nella via regolare seguita sino ad ora non aveva ancora trovato contrasti, ma provato bensì afflizioni e impeti momentanei di sdegno, ora sentiva finalmente che una vera lotta incominciava per lei.

Essa sentiva farsi vicina la necessità di rompere quell'intimità, di togliersi al tormento e alla vergogna del curare l'apparenza di cosa che nella realtà non era più. Ma per farlo sapeva di dover affrontare una lotta. Non ne ebbe paura, ma ribrezzo. Era una lotta della verità contro l'ipocrisia; ma già prima di affrontarla aveva una vaga intuizione, per la quale presentiva che tutti anche i migliori, sarebbero sorti a difendere quell'ipocrisia contro il vero. Era una lotta contro il passato, contro il legamne che l'univa a Flavio, contro tutti quei particolari dell' intimità che le stavano in questo momento sotto agli occhi e che le face

vano orrore.

Nell'animo ribellato pareva spento tutto il suo amore per Flavio, ma ella sentiva che un cumulo di cose autorevoli e potenti sarebbe venuto a far pressione sul suo giudizio, non perchè ella lo amasse di nuovo, ma perchè soffrisse ipocritamente in silenzio e serbasse l'apparenza dell' affetto, mentre a salvare l'affetto stesso nessuno l'avrebbe aiutata. E le passavano dinanzi alla mente severi e scontenti i parenti e gli amici; e la legge e la consuetudine, come fossero persone, le apparivano ugualmente mi

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