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a lungo, perchè ci rimanga comodo di fermarci altrettanto a quelle di fuori. Le probabilità di guerra in questo mese crebbero rapidamente e continuano a crescere tutti i giorni. Da un lato gli animi parvero rassicurati alquanto, come si seppero le solenni dichiarazioni dell'Imperatore di Russia a Lord Loftus, ch' egli cioè dava la sua sacra e solenne parola di re di non mirare a Costantinopoli, disegno nè conforme alle tradizioni della politica russa, nè conciliabile cogl' interessi suoi d'oggi. Dall' altro però la nomina di un personaggio della famiglia imperiale a capo dell'esercito, la concentrazione ai confini di oltre a dugentomila uomini, e gli apparecchi di tutto il materiale da guerra, di ambulanze, di ospitali, ec., sono faccende troppo vistose e troppo serie, per dover servire a una semplice dimostrazione. Per conciliare la sacra parola, che pure non può essere considerata come il mezzo di coprire il pensiero, coi fatti pei quali potrebbe parer vana, non resta se non credere che la Russia, non mirando in effetto a Costantinopoli, miri ad altro, all'occupazione cioè della Bulgaria, per assestare poi con questo pegno in mano le cose della Turchia a suo talento. E tanto più ragionevolmente si può credere così, che, come notammo già molte volte, l'annessione di Costantinopoli, una città, per dir così, mondiale, sposterebbe il centro di gravità dell' Impero e diverrebbe per la Russia una cagione di debolezza più che di forza.

Intanto quello che apparisce ogni di più chiaro è che all'occupazione della Bulgaria per parte della Russia non si opporrà scopertamente nessuno. L'Inghilterra s'adoprerà di aiutare a modo suo la Turchia, ma poichè l'Austria, tenuta in rispetto dalla Germania, cercherà salvezza nel non muoversi, la Russia non avrà dinanzi a sè che i Turchi soli. L'Italia e la Francia non possono indubbiamente se non astenersi. Che debba poi uscire un giorno da questo immenso predominio tedesco e russo, quando il temporale si scaricherà sull' Austria, è un pensiero che oggi scema un poco le simpatie agli Slavi.

X.

BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

NUOVA

DELLA

ANTOLOGIA

LETTERATURA.

Dei doveri. Libri tre di M. TULLIO CICERONE, tradotti e annotati da GIUSEPPE RIGUTINI. — Firenze, G. C. Sansoni, 1876. (Un vol., di pag. XVIII-369.)

Dire che il prof. Rigutini nel tradurre questo tanto utile Trattato Ciceroniano ha superato tutti i precedenti volgarizzatori italiani, sarebbe troppo piccola lode, essendo essi, qual più qual meno, inesatti, duri o snervati, nè serbando il dovuto rispetto all' indole della lingua, in cui traducono. Giustizia vuol dunque che si dica, esser questa una bella versione e tale, che pochissime ne abbiamo di somiglianti, intendendo delle prosastiche. Infatti qui trovasi l' unica, vera e ben intesa fedeltà, che rende sotto la lettera lo spirito del testo; ed evvi nel tempo stesso una veste italiana chiara, facile, vivace, come in una prosa originale. Eccone a prova l'aneddoto di Pizio: « C. Canio cavalier romano, uomo assai garbato e non senza cultura, essendosi recato in Siracusa non per affari, ma per non far nulla, com'egli soleva dire, più volte manifestò il desiderio di comprare un casino di campagna, dove potesse convitare gli amici, e godersela senza essere disturbato da alcuno. Sparsasi la voce, un tal Pizio, banchiere siracusano, disse che aveva un casino, ma non per venderlo; pure, se Canio lo desiderava, egli lo metteva a sua disposizione, e nel medesimo tempo lo invitò a pranzo per il giorno dopo. Accettato l'invito, Pizio, che per essere un banchiere aveva molto credito presso ogni qualità di persone, mandò a chiamare molti pescatori, e gli richiese che volessero il giorno appresso pescare innanzi al suo casino, e disse loro tutto quello che avrebbero dovuto fare. Canio adunque venne all' ora fissata: il pranzo era stato imbandito sontuosamente da Pizio: gran quantità di barche innanzi agli occhi: ciascuno portava la propria pesca; gettavansi i pesci ai piedi di Canio. Allora Canio: Di grazia, o Pizio, che significa ciò? Come mai tanti

pesci, tante barche? E quegli: Che meraviglia? In tutto il mar di Siracusa non si trova pesce che qui: qui e non altrove si viene a prender acqua; e perciò costoro non possono fare a meno di questo luogo. Entrato Canio in gran desiderio di avere il casino, lo domandò con istanza a Pizio. Da prima egli fece spallucce; ma per non andar per le lunghe, finalmente acconsentì; e il nostro Canio, che era pien di voglie e di quattrini, lo comprò a cancello chiuso, e per quanto volle Pizio si fece la scritta e l'affare fu sbrigato. Il giorno dopo Canio invita gli amici: egli viene per tempo. Nessuna barchetta, nessun pescatore: domanda al più prossimo vicino, se in quel giorno fosse qualche festa dei pescatori. - No, ch'io sappia, -- gli risponde; e qui non suol venir alcuno a pescare: perciò rimasi ieri molto meravigliato. — A Canio venne la senapa al naso: ma non c'era rimedio, ec. » Abbiamo scelto questo passo, non tanto perchè il soggetto è dilettevole, quanto per due appunti che ci arrischiamo di fare al valente Professore. Uomo assai garbato e non senza coltura non risponde, o ci pare, a capello col testo: nec infacetus et satis litteratus, che sarebbe: uomo non senza spirito, e abbastanza colto. Il modo popolare Da prima egli fece spallucce (Gravate ille primum) ci urta un poco in mezzo alla urbanità Ciceroniana del racconto, assai ben conservata dal Traduttore. Più chiaro e non meno familiare sarebbe : fece delle difficoltà. Nè meno ci finisce quel venne la senapa al naso (stomachari), che ci par troppo poco. Non sarebbe meglio: andò in furia, o simili? Ma, del resto, il racconto è reso, come si dice, di getto e in generale tutto il testo; dove appena troveresti qua là qualche periodo o espressione un po' languida, a paragone del rimanente. Anche delle note che offrono quant' è necessario a capire le allusioni storiche, letterarie e filosofiche, non potremmo dir se non bene, come pure dei sommarii preposti all' opera, e dell' averla accompagnata col testo. Ecco dunque, concludiamo, un eccellente libro per il Liceo, dove i giovani impareranno, in modo comparato, la Filosofia Ciceroniana, e il metodo di tradurre da una in altra lingua.

Fauste nozze DE LAZZARA - DE ZIGNO. rini, 1876.

Padova, Prospe

A festeggiare questo matrimonio, il fratello dello sposo ha pubblicato tutto il libro XIV e altri saggi d'una versione inedita di Silio Italico di Niccolò Lami, l'ultimo Ministro di grazia e giustizia del Granduca di Toscana. Il Lami, al sopraggiungere de' nuovi tempi, ritiratosi dalle cure del Governo, si consacrò tutto intero alla coltura delle lettere, e condusse a compimento l' accennata versione, cui stava già da molti anni meditando. Di Silio Italico non avevamo alcuna versione leggibile, non che buona, sino al 1869, quando il professore Occioni ci offerse alcuni libri da lui volgarizzati, come appendice a un diligente studio sul Poeta. Non istaremo a far confronti, che sono sempre odiosi, sul merito assoluto delle due versioni. Ambedue son belle: quella dell'Occioni

è più breve, stringata e robusta; quella del Lami è più larga, e in molti luoghi più fedele, ha frase più poetica, e ci pare che renda meglio il carattere del testo. Se pertanto è desiderabile che il Professore padovano finisca di pubblicare il suo lavoro; ci auguriamo ancora che l' editore di questo saggio del Lami mantenga ciò che fa sperare nella Dedicazione al fratello, e che metta in luce per intero la bella versione.

Vocabolario Italiano-latino compilato ad uso delle Scuole dal prof. CELESTINO DURANDO. - Torino, tip. di San Francesco di Sales, 1876.

Questo Vocabolario segue la tradizione del Pasini e del Vallauri, ed è compilato sulla vecchia Crusca, aggiunte però molte voci moderne, tradotte in latino sulle tracce del Boucheron, del Morcelli e del Vallauri medesimo. Si per questa ragione, sì per la mole che va presso alle mille pagine, può tenersi come il più ricco, fra gli scolastici, di quanti ne sono stati fatti in Italia. E il prezzo è relativamente tenue, perchè il volume non costa più di sette lire, che, coll' altro volume già da alcuni anni pubblicato contenente la parte latina-italiana, sommano a sole 13 lire e mezzo. Quanto al lusso eccessivo di modi italiani, e quanto al costume, anche qui tenuto, di ammucchiare molti sinonimi latini, senza sufficiente distinzione, potremmo in gran parte ripetere il già detto nel fascicolo precedente sopra il Vocabolario Italiano-greco del Pechenino. L' erudito nella lingua saprà trovare e prendere quello che gli abbisogna, il giovinetto inesperto e svogliato anderà spesso a tentone. Ma questa è quistione di criterii e di metodo; e una volta ammesso che il Vocabolario Italiano-latino debba dare un equivalente a tutti i termini della Crusca e tradurli materialmente tutti, anche i disusati ed antichi, non si poteva tenere una via molto differente da quella seguita dal professore Celestino.

Le Odi di Q. Orazio Flacco. Versione poetica DI DOMENICO PERRERO, con testo a fronte. Torino, Fratelli Bocca, 1876.

Il Perrero non si è lasciato sgomentare dai tentativi non molto fortunati e tante volte ripetuti, e viene ad aggiungersi alla schiera numerosissima dei traduttori d' Orazio. La sua versione vien fuori in un elegante volume, col testo a fronte. Io non so da qual ragione egli sia stato indotto a porvi di fronte quel maledetto testo. A chi può leggere Orazio sarà sempre insopportabile ogni traduzione, se non altro perchè gli toglie quel sapore di latinità che è suo proprio: peggio poi se in poesia rimata, dovendosi allora per assoluta necessità alterare ad ogni passo il concetto dell'Autore. Le traduzioni non possono recar vantaggio che a chi le fa e a chi non conosce la lingua dell' originale. Agli altri bisogna per lo meno nascondere il testo, poichè non è affatto piacevole il confrontarvi sopra la traduzione e assistere agli sforzi, ai

contorcimenti del povero traduttore nella sua lotta colla lingua, col verso e colla rima. Per esempio, apro a caso a pag. 193, e leggo:

Giunse all'empirea chiostra

Con quest'arte Polluce ed Ercol vago,

Fra cui sedendo Augusto il labbro innostra
Del nettareo licor, che lo fa pago:

Te, fatto per quest'arte al mondo chiaro,
Bacco, docili al fren, sui seggi eterni

Tue tigri alfin levâro, ec.

Vorrei dir: Bene! ma mi cade sott' occhio il testo che è a fronte, e trovo che l'empirea chiostra è imagine diversa dall' arces igneas; il vago italiano desta diversa idea del vagus latino, o per lo meno è anfibologico; quell' innostra indica che il labbro d' Augusto si faccia rosso pel vino, mentre Orazio pone quel purpureo come qualità della bocca ; l'idea che lo fa pago è aggiunta di pianta; Te, fatto per quest' arte al mondo chiaro non ridà il merentem; sui seggi eterni è aggiunto; docili al fren è espressione che converrebbe a' più mansueti animali: Orazio ha detto indocili collo, e il bello è appunto nel contrasto fra la fierezza naturale della tigre e l'atto di trarre il giogo; alfin è aggiunto e per lo meno inutile, ec. Tutto questo in sette versi: e simili inesattezze ho trovato per tutto dove ho confrontata la traduzione col testo.

Ma lasciamo il testo da parte, persuasi che a voler tradurre Orazio in strofe regolari e rimate, sia un' assoluta necessità il deviare a ogni passo dall' originale. Converrebbe conoscere le infinite traduzioni Oraziane per poter istituire tra queste e l'altre un confronto; lavoro quasi impossibile, poichè gran parte di queste, lodate dai concittadini, non sono mai uscite dal luogo dove si pubblicarono. Se il Perrero avrà voluto conoscere i traduttori precedenti, son certo che avrà durato fatica a trovare, per esempio, il Rezzi, il Caroselli, ed altri. Certo è però che il Perrero è meno libero e più proprio e robusto del Gargallo, che non ha lo stento insopportabile di molti altri, che la strofa corre ordinariamente spedita e armoniosa come fosse originale. La forma e l'armonia non mi pare così schiettamente italiana e spontanea come nelle poche odi tradotte dal Marchetti, e s'incontrano qua e là versi che stridono come una lima, per esempio questo: Lira mia Musa assüeta (pag. 25). Ma nel complesso, e tenuto conto degli ostacoli insuperabili, è opera da far onore al Perrero e da leggersi utilmente e con diletto da chi non possa gustare l'originale. Egli scrive nella Prefazione che dall'esito di questo volume dipenderà il tirare innanzi l' intrapresa pubblicazione. Vada pure innanzi : tanto più che, superato l' Epodon, non avrà poi a lottar più colla rima e la strofa.

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