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Ma quando scoppia dalla propria gota
L'accusa del peccato, in nostra corte
Rivolge sè contro il taglio la rota.

E infatti la mistica donna, mitigatasi alquanto per cotale generosa confessione, smette da questo punto il tuono di rimprovero usato fin qui per assumere un linguaggio più familiare e più atto a convincere la ragione, onde si ravvivi nel Poeta la vergogna del fallo commesso, e l'animo di lui si confermi nel santo proposito del bene. E procedendo di questo tenore tocca motivi sempre più delicati, pe' quali Dante mai non avria dovuto venir meno alla fedeltà verso una tanta amante. L'effetto che ne ottiene è significato dai seguenti versi:

Quale i fanciulli vergognando muti,
Cogli occhi a terra, stannosi ascoltando,
E sè riconoscendo, e ripentuti ;
Tal mi stav' io. Ed ella disse: Quando
Per udir se' dolente, alza la barba
E prenderai più doglia riguardando.

Leva Dante il viso, sebbene con somma ripugnanza; e cessata essendo la pioggia di fiori, può ravvisare qualche traccia della sovrumana bellezza di quel volto, tutto che coperto ancora del candido suo velo. Fu questo per lui il colpo decisivo: l'amore compì e perfezionò ciò che il timore, la confusione, la vergogna e il convincimento avevano apparecchiato :

Di penter sì mi punse ivi l'ortica,

Che di tutte altre cose, qual mi torse
Più nel suo amor, più mi si fe' nemica.
Tanta riconoscenza il cor mi morse,

Ch'io caddi vinto,

privo de'sensi, morto cioè completamente alla colpa per rivivere alla grazia. Allora Matelda lo prese e lo immerse tutto quanto nelle acque di Lete Che toglie altrui memoria del peccato, scancellandolo intieramente dall'anima risanata, mentre si canta con dolcezza ineffabile Asperges me; che significa l'assoluzione da ogni reato, conduce moralmente risorto al di là del fiume in grembo della vera Chiesa.

CAPITOLO XVI.

Iniziamento del Poeta alla vita contemplativa.

As

saggio delle acque di Eunoè. Epilogo delle prime due Cantiche in ordine alla morale allegoria.

Asterso dalle acque misteriose del secondo battesimo, e lasciato in esse ogni macchia dell'anima e persino la memoria delle passate colpe, Dante si prepara ad una novella vita tutta gioconda, prelibando le dolcezze del pane che cade dalla mensa angelica. Ma questa vita di spirituali godimenti, che s'inizia nel donneare (direbbe il Poeta) il volto di Beatrice, che la

rappresenta, e deve disporlo a percorrere le vie del cielo, ha luogo essa pure per gradi, come il buon dolore onde fu rimaritato cou Dio.

Ecco dunque Matelda offerirlo da prima alla danza delle quattro virtù cardinali, ancelle di Beatrice, e queste accoglierlo festose quasi uno di loro schiera, guidarlo al petto del Grifone di fronte a Beatrice stessa, che ancor velata teneva gli occhi fissi su di quello, e invitarlo a sbramare la vista desiosa nell'aspetto di lei. Dante, mentre che sente raddoppiarsi in petto l'ardore per la sua donna, scorgeva negli occhi di questa, come in lucido specchio, l'immagine del Grifone e de'suoi diversi atteggiamenti, e la vedeva trasformarsi nell'idolo suo; concetto che esprime chiarissimamente la sopranotata stretta analogia tra Beatrice e il Grifone simbolo del supremo Gerarca, e com'essa sia la manifestazione del potere e della virtù di questo, e come l'una s'immedesimi nell'altro.

Intanto si fecero avanti le tre virtù teologali che miran più profondo. Alle preghiere di queste, Beatrice, deposto finalmente il velo del capo, si palesa in tutta la sua sfolgorante bellezza, sì che al Poeta è concesso per somma grazia di aguzzare le ciglia nel giocondo lume di quegli occhi, e discernere in quel volto la seconda bellezza (il senso mistico delle divine Scritture) celata ai profani. Ecco com'egli esprime l'effetto in lui prodotto da questo nuovo spettacolo :

O isplendor di viva luce eterna!
Chi pallido si fece sotto l'ombra

Si di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
Che non paresse aver la mente ingombra,
Tentando a render te qual tu paresti

Là dove armonizzando il ciel t'adombra,
Quando nell'aere aperto ti solvesti?

La cattedra di Pietro, presieduta dalla virtù che conduce a Dio e corteggiata dai sacri emblemi, dopo avere coll'efficacia della divina parola ricondotto l'uom peccatore all'ovile di Cristo, retrocede Col sole e colle sette fiamme al volto; e Dante, scosso dalla estatica contemplazione del bel viso per la voce delle tre dive, che gli fanno rimprovero di curiosità soverchia, accompagna con Matelda e con Stazio il glorioso esercito; finchè si giunge ad una gran pianta cui il Grifone condusse e lasciò legato il mistico carro.

Il lungo passo dal principio del Canto XXXII fino al verso 103 del XXXIII, che versa tutto sulla riforma morale della romana corte, deve considerarsi come un episodio avente bensì relazione diretta con altri passi della Commedia, ma solo indiretta coll'allegoria morale; onde che riserbandomi a darne la spiegazione nella prossima Appendice, dove tratterò di proposito della mentovata parziale riforma, credo spediente di non interrompere l'argomento che ho tra le mani, ripreso dall'Autore verso la fine dell'ultimo Canto.

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Dante, tutto che riconciliato con Dio, era non però di meno travagliato dai perniciosi effetti o reliquie della colpa; primo de'quali è l'inettitudine della mente a penetrare nel senso intimo della divina parola: il secondo è la tiepidezza della volontà nella pratica del bene; difetti che gli sono rinfacciati da Beatrice con frasi a dir vero non troppo cortesi. Siffatti impedimenti dovevano essere tolti. Conveniva che il novello convertito si svincolasse da ogni terreno affetto, e ravvivasse nell'animo suo le grazie e le virtù tramortite, ond'essere degnato di sollevarsi alla contemplazione della vita soprannaturale. Tanta dovizia di doni celesti il Poeta l'attinge da quel divino mistero che è appellato sacramento per eccellenza, quivi adombrato nel fiumicello Eunoè. A'tutti altri sapori esso è di sopra; avea già detto Matelda parlando di quello; ma non opera i suoi effetti se prima non si è gustata l'acqua di Lete. Perciò il Poeta, testè lavato da ogni macchia in virtù di quest'ultima, è condotto da Matelda, per comando di Beatrice, a dissetarsi nell'onda ristoratrice di quello, che lo riempie di forza e di sovrumana dolcezza, per forma ch'egli Alza il capo dalla santissim'onda,

Rifatto sì come piante novelle
Rinnovellate di novella fronda,

Puro e disposto a salire alle stelle;

Purg. XXXII, 31, 67 e 85.

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