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CAPITOLO XVII.

H terzo regno o il Paradiso. - I nove cicli.

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Loro influenze.

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La terza Cantica del Paradiso è il compimento estetico delle due prime letteralmente considerata, e il compimento anagogico del senso allegorico di tutto il Poema; perocchè in essa continuandosi a descrivere allegoricamente la parte migliore e più perfetta della chiesa militante, ossia la società dei giusti dediti alla vita contemplativa, si addita il fine ultimo a cui perviene il fedele seguace di Cristo, che è la gloria eterna del cielo.

Dicesi comunemente che dessa Cantica sia la più scadente, nè regga al paragone delle altre due, massime dell' Inferno. È per nulla affatto la più scadente, ma a parlar giusto si dovrebbe dire è la meno letta. L'Autore non vi pose meno cura che nelle prime due Cantiche, e abbonda di pregi intrinseci e di sublime bellezza. Invano tu vi cerchi quel contrasto di passioni forti e concitate (come nell' Inferno dov'era il proprio luogo di sommuoverle) atte a scuotere gli animi anche più volgari. Di preferenza vi si trattano argomenti e questioni teologiche; vi si adopera un linguaggio mistico e ascetico qual si conviene al

soggetto, che è la vita contemplativa: linguaggio che non suona facile a tutte le orecchie. Da un capo all'altro di questa Cantica, e massime negli ultimi quattro Canti, regna quel sentimento divoto e affettuoso di che non saprebbesi trovare riscontro nei nostri scrittori ed artisti, salvo che in pochi scritti dell'aureo trecento e nei dipinti del beato Angelico. Dante con tutto che parlasse a gente dedita alle scienze ed alle pratiche religiose assai più che nol siano i presenti, ben s'avvide che il suo Paradiso correva questo rischio sopra mentovato, e non si stette dal palesarlo dal bel principio ai suoi lettori, dicendo:

1

O voi che siete in piccioletta barca,
Desiderosi d'ascoltar, seguíti

Dietro al mio legno che cantando varca,
Tornate a riveder li vostri liti:

Non vi mettete in pelago, chè forse,
Perdendo me, rimarreste smarriti....
Voi altri pochi, che drizzaste il collo
Per tempo al par degli angeli, del quale
Vivesi quì, ma non si vien satollo,
Metter potete ben per l'alto sale

Vostro navigio, servando mio solco
Dinanzi all'acqua che ritorna eguale.
Que'gloriosi che passaro a Colco,
Non s'ammiraron, come voi farete,
Quando Jason vider fatto bifolco

II,

1.

1 *

* Quest'ultima terzina può allegoricamente interpretarsi come segue: "I Minéi che andarono al con

Il Paradiso di Dante è fatto specialmente per questi pochi, atti a sollevarsi sopra la materia ed a comprendere e gustare le dolcezze celestiali. Chiunque però, ben conscio del fine a cui mira il Poema dantesco, e non del tutto ignaro della scienza propria dei tempi dell'Autore, lo studia attentamente, sarà costretto a confessare aver egli ottenuto maravigliosamente, anche in questa Cantica, il suo scopo e finirà coll'apprezzarla tanto più, quanto maggiori furono le difficoltà contro cui dovette lottare.

L'essere il Paradiso, come dissi, la parte men nota di tutto il Poema, mi obbliga a diffondermi alquanto più nella nozione che soglio premettere ad ogni Cantica del senso letterale che è soggetto e materia dell'allegorico. Per la stessa ragione. abbondai nelle citazioni del testo. Tutti sanno a memoria i più bei passi dell' Inferno: non così del Purgatorio; e del Paradiso meno ancora. A ciò m' indusse anche il riflesso, che certi altissimi concetti di cui ridonda questa Cantica non si ponno adeguatamente rendere salvo che colle

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quisto del vello d'oro, non tanto si ammirarono allor ❝ che videro Giasone da guerriero farsi bifolco, semi"nare i denti del serpente e creare da questi uomini armati di tutto punto, quanto voi, lettori, vi maraviglierete veggendo un uomo laico e politico, divenuto agricola della mistica vigna intento a trasmutare pec"catori schiavi del vizio in cristiani fregiati di tutte virtù e degni della gloria celeste ».

stesse parole dell'Autore; e i molti bellissimi tratti di cui mi valgo a riconferma del mio assunto ho fede che gioveranno più di qualunque ragionamento a far toccare con mano come si appongano al falso coloro che disgradano il Paradiso rispetto alle altre due Cantiche. In compenso sarò più breve nella esposizione del senso morale, per avere questo ricevuto già quasi intiero il suo svolgimento.

Non computate la regione dell'aria pura che sovrasta (così credevasi ai tempi dell'Alighieri) alla nostra atmosfera, e la regione del fuoco che viene immediatamente dopo, le quali si volgono intorno alla terra col primo cielo della luna, le sfere celesti, giusta l'astronomia tolemaica abbracciata da Dante, sono in numero di nove mosse in giro esse pure intorno alla terra da intelligenze angeliche; e si nomano come segue: il cielo della Luna, di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno, delle Stelle fisse e del Primo mobile. A tutte poi sovrasta il cielo Empireo immoto.

I sette pianeti ci vengono rappresentati di materia solida e trasparente.

Pareva a me che nube ne coprisse
Lucida, spessa, solida e pulita,

Quasi adamante che lo sol ferisse 1.

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Tanto dicesi della Luna, e sinilmente deve intendersi degli altri pianeti. Ciò non ostante il Poeta penetra dentro di quelli :

Per entro sè l'eterna Margherita (la Luna)
Ne ricevette, com'acqua ricepe

Raggio di luce permanendo unita (ivi);

e li trova popolati dalle anime de' beati in ragione di meriti, e secondo le virtù in che si erano precipuamente esercitati in vita. Quindi nella sfera lunare, che è la prima, colloca le vergini sorelle i cui voti rimasero in parte, senza intiera lor colpa, frustrati; nella seconda di Mercurio, gli spiriti attivi che si proposero a fine del loro operare la gloria mondana; nella terza di Venere, coloro cui vinse l'influsso amoroso di quel pianeta. I fortunati abitatori di queste tre sfere par che ritengano alcun che della men pura influenza, onde in vita rimasero vinti, di essi tre pianeti detti più tardi, ne'quali Dante li trova relegati; con tutto che la lor colpa sia stata scancellata, e fruiscano beati della visione di Dio, nè siano desiderosi di miglior sorte. Nella quarta sfera del Sole, immagine (come vedemmo) del Cristo, trionfano gli scrittori in divinità; nella quinta di Marte, i guerrieri che pugnarono per la dilatazione della vera Fede; nella sesta di Giove, i re ed i principi amatori e propugnatori della giustizia; nella settima di Saturno, gli spiriti con

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