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dal seguente passo tolto dal Convito: « Evidente « vuol essere la ragione che partire faccia l'uomo « da quello che per gli altri è stato osservato « lungamente.... chè delle nuove cose il fine non è « certo, perciocchè l'esperienza non è mai avuta, ❝ onde le cose usate e servate sono e nel processo ❝ e nel fine commisurate. Perciò si mosse la Ra❝gione (il diritto civile) a comandare che l'uomo " avesse diligente riguardo a entrare nel nuovo « cammino, dicendo che nello statuire le nuove ❝ cose, evidente ragione dee essere quella che « partire ne faccia da quello che lungamente " è usato " 1.

In che dunque consisteva questa primazia imperiale propugnata dall'Alighieri? Consisteva in quel che dicesi alto dominio su tutti i regni e repubbliche di Europa, i quali, secondo lui, non potevan essere che feudi del sacro romano imperio, compreso lo stato papale; di cui dice (e il medesimo debbe intendersi degli altri): " Poteva l'imperatore, in aiuto della Chiesa, « il patrimonio e le altre cose deputare, stando « sempre fermo il superiore dominio, l'unità del « quale non soffre divisione ». Codesto superiore dominio limitavasi pertanto ad un arbitrato supremo, corroborato dalle armi, che definisse tutti i possibili litigi tra stato e stato, onde la pace, che è il massimo bene e il supremo bisogno dei

1 Tratt. I,

10.

2

Mon. III.

popoli, non venisse mai turbata, onde i principii di giustizia, che sono di tutti i tempi e di tutti i luoghi, venissero accolti e praticati dovunque. A quest'uopo nei singoli Stati dovevano risedere vicarj imperiali che vi mantenessero viva ed in onore l'autorità del monarca, senza ingerirsi però nell' interna amministrazione, riserbata al principe naturale dello Stato, od ai magistrati eletti dal popolo, dove il governo era di forma repubblicana. Odasi l'Autore: « Debbasi così in❝ tendere (una tale primizia) che la umana ❝ generazione, secondo le comuni regole che si ❝ convengono a tutti, sia regolata dalla Monar

chia, e per la regola comune sia a pace con❝dotta. La quale regola e legge, debbono i prin❝cipi particolari dal monarca universale ricevere: ❝come lo intelletto pratico, a fare conclusione

di operare, riceve la proposizione maggiore «dallo intelletto speculativo, e sotto quella ag« giungere la particolare che è propria di lui, e << particolarmente alla operazione conchiude » 1.

Tali erano le dottrine politiche del nostro Poeta, che non pago di speculare a pro di una sola nazione, volse l'ingegno ad annodare i popoli tutti quanti coi vincoli di scambievole fratellanza sotto la dependenza di un padre comune più che sovrano; acciocchè vivessero in istrette ed amichevoli relazioni fra loro, quali membri di un'unica grande famiglia.

1 Mon. I.

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CAPITOLO II.

Dante conosce la difficoltà di attuare i suoi principj politici. La cupidigia e il guelfismo, causa eð effetto l'uno dell'altro, ne sono gli ostacoli masCombatte la prima nell'allegoria morale del suo Poema, ed il secondo nell'allegoria politica.

simi.

Un arbitrato supremo universale, presso a poco quale fu immaginato dall'Alighieri, che componga pacificamente i dissidi tra popolo e popolo, fu sempre il sospiro di ogni cuore onesto che senta raccapriccio pei fiumi di sangue umano onde vengono bruttate troppo di frequente le contrade del mondo incivilito; e se mai col tempo potesse attuarsi sotto qualunque forma, sarebbe al certo la più benefica istituzione di quante furono tentate dal senno umano. Ma il più grande ostacolo che impedisce di raggiungere quest' ideale dell' incivilimento è l'egoismo; il quale par che vada acquistando forze sempre maggiori di mano in mano che si affievolisce negli animi il sentimento religioso.

Dante non tardò ad accorgersi della vanità pratica di tante belle argomentazioni accumulate nel suo libro De Monarchia a fronte di un ostacolo di tal fatta, quando, poco dopo l'esilio, ebbe campo di conoscere più da vicino con che

sorta di gente conveniva trattare. Ne fece il primo sperimento nel 1304, allora che si accostò co'suoi compagni di sventura di parte bianca ai ghibellini di Fiorenza, e fu combinato in Arezzo il tentativo di rientrare in patria armata mano. Conobbe l'immoderanza delle loro pretese, e disperato di farli piegare ai savi suoi consigli e di metterli d'accordo li abbandonò, e imparò fin d'allora a disprezzarli; onde fa dire di loro a Cacciaguida:

E quel che più ti graverà le spalle,

Sarà la compagnia malvagia e scempia
Con la qual tu cadrai in questa valle;
Che, tutta ingrata, tutta matta ed empia
Si farà contra te: ma poco appresso
Ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.
Di sua bestialitade il suo processo
Farà la prova, sì che a te fia bello
Averti fatta parte per te stesso 1.

A mano a mano che prendeva dimestichezza coi capi e le membra della setta ghibellina ne' suoi viaggi, veniva più sempre ad accorgersi che per essi, fatte ben poche eccezioni, l'Italia e la patria non era che un nome vano, e nulla più che un pretesto per appagare i loro privati disegni di ambizione, d'interesse e di vendetta: comprese che nessun divario passava tra ghibellini e guelfi in quanto a rettitudine di intenzione e di

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operare; e indignato da siffatto procedere, permanendo sempre fermo nei principii della setta, colpì guelfi e ghibellini della medesima condanna ; come si ritrae dalle parole che mette in bocca a Giustiniano nel vi del Paradiso:

Omai puoi giudicar di que' cotali;
Ch'io accusai di sopra, e de' lor falli,
Che son cagion di tutti i vostri mali.
L'uno al pubblico segno i gigli gialli
Oppone, e l'altro appropria quello a parte,
Sì che è forte a veder qual più si falli.
Faccian i Ghibellin, faccian lor arte
Sott'altro segno 3; che mal segue quello
Sempre chi la giustizia e lui diparte;
E non l'abbatta esto Carlo novello
Co'Guelfi suoi, ma tema degli artigli
Ch' a più alto leon trasser lo vello *.

Infatti, dopo il mentovato tentativo di Arezzo non si legge che Dante prendesse parte attiva nelle faccende politiche, fuorchè un'unica volta, che fu l'anno 1311, quando Arrigo VII scese in Italia, al quale indirizzò la famosa lettera da noi sopra citata. Ma fallitagli anche quella speranza, non tanto per la inopinata morte di Arrigo, quanto pel discredito in cui la sua impresa, esordita con sì felici auspici, cadde più tardi, egli si rassodò nella propria convinzione che il popolo italiano non era per anco maturo per la

Il guelfo. 2 Il ghibellino. 3 L'aquila.

* v. 97.

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