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Se per le ragioni sopra dette l'allegoria politica non può aver luogo nella terza Cantica fuorchè in un senso molto largo; la dottrina politica in tutto conforme a quella sviluppata nelle due prime non vi è però mai perduta di vista. Ne sia prova il lungo encomio e l'apoteosi del santo augello (l'aquila vessillo dell' imperio), Che fe' i Romani al mondo reverendi, del vi Canto, e i molti altri luoghi dove se ne discorre con aperto sermone, più di frequente che nelle altre cantiche. Ma degno che se ne faccia particolare considerazione è il brano già citato altrove per incidenza, e che stimo prezzo dell'opera di qui riportare per intiero. Beatrice, introdotto che ebbe il Poeta nella forma generale del Paradiso, così dice:

In quel gran seggio, a che tu gli occhi tieni,
Per la corona che già v'è su posta,
Prima che tu a queste nozze ceni,
Sederà l'alma, che fia giù augosta,

Dell' alto Arrigo, che a drizzare Italia
Verrà in prima ch'ella sia disposta.
La cieca cupidigia, che v'ammalia,
Simili fatti v' ha al fantolino,

Che muor di fame e caccia via la balia;
E fia prefetto nel foro divino

Allora tal, che palese e coverto
Non anderà con lui per un cammino.

Ma poco poi sarà da Dio sofferto

Nel santo ufficio; ch'el sarà detruso
Là dove Simon mago è per suo merto,
E farà quel d'Alagna andar più giuso '.
1 Par. XXXI, 133.

Qui si predice la ricompensa che aspetta lassù l'imperatore Arrigo VII, pel tentativo che farà di raddrizzare Italia; la stoltezza degl' Italiani nel disconoscere un tanto beneficio, e la colpa e l'eterna condanna riserbata a Clemente V che porrà ostacolo alla grand'opera; con che s'intende di porgere un eccitamento ai successori del primo a ritentare l'impresa, un utile ammaestramento ai secondi, ed una minaccia ai successori del terzo. E furono queste le ultime parole di Beatrice e quasi il sunto di sua divina missione dal punto che scese nel limbo a suscitare Virgilio fino a questo momento; dopo di che sparisce dagli occhi di Dante e va ad occupare Il trono che i suoi merti le sortiro. È questo un nuovo argomento che conferma la sentenza da noi più volte asserita, che nella segreta intenzione del suo autore lo scopo finale del poema dantesco è tutto politico, e tendente a promuovere il trionfo della causa imperiale, che fu il voto più ardente di tutta la vita del ghibellino poeta.

L'allegoria politica indirizzata al conseguimento dello scopo sopra enunziato può essere in brevi parole riepilogata come segue. « Il popolo

italiano, smarrita la diritta via, è entrato a nella selva oscura dell'anarchia, della irreli«gione e della immoralità, perchè nel mondo, ❝ causa il guelfismo, non è chi governi. Da ciò « la necessità di far rivivere la podestà impe«riale rappresentata da Virgilio che, col mezzo

« della umana ragione, faccia palese ad esso po❝ polo personificato in Dante l' infelice condizione « in cui versa (l'Inferno), e lo persuada a ri

"

pigliare la verace via abbandonata, unica che, ❝ sotto la balìa del monarca universale (Catone), mena alla felicità temporale (il Purgatorio e « il Paradiso terrestre). Ottenuta questa, si tro❝ verà puro e disposto, mercè l'indirizzo della « podestà spirituale ( Beatrice ), all'acquisto della felicità eterna (il Paradiso)".

CONCLUSIONE

Colla esposizione da me data della Divina Commedia confido di aver fatto capace il lettore attento e imparziale di due cose: la prima, che sotto la storia o senso letterale di essa oltre l'allegoria primaria, che è la morale confessata oggimai da tutti i chiosatori, sta nascosta altresì un'allegoria politica che vi occupa il secondo luogo; e questa verità si è dimostrata con lungo discorso a suo luogo. La seconda, che la divina mente dell'Alighieri, con esempio unico nella storia letteraria, trovò modo di fondere insieme le prefate due allegorie, di ravvicinarne i sommi capi, e di coordinarle a un fine ultimo comune ad entrambe, senz'ombra di confusione, e senza offendere la legge dell'unità. Perocchè il tema di tutta l'opera, considerata sotto qualunque aspetto, non cessa mai di essere il fine dell'uomo, che tanto vale quanto la felicità dell'uomo:

Quel dolce pome, che per tanti rami

1

Cercando va la cura de' mortali 1;

1 Purg. XXVII,

115.

felicità che s'acquista col liberarsi dalla tirannia delle passioni e dai disordini dell'anarchia: felicità nella presente vita, che serve di apparecchio alla felicità della vita futura. Quest'altra verità, sebbene non trattata di proposito nel corso dell' opera, si raccoglie però non meno evidente dal suo contesto, e massime dalla seconda Parte. Tutto ciò conferma la sentenza da noi registrata a pag. 5, che la Divina Commedia abbraccia i bisogni più vitali dell'uomo e i suoi doveri verso di sè medesimo, verso il prossimo e verso Dio.

La natura allegorica e figurata di essa, la disparità degli elementi che in sè comprende tutto che subordinati a un tema unico, gli altissimi sensi che vi sono adombrati, l'avrebbero resa inaccessibile agl' intelletti non assueti a profonde meditazioni, se l'Autore non vi avesse rimediato con un provvedimento opportunissimo ; il quale consiste nell'averne lumeggiati i varii sensi più o meno, secondo l'importanza relativa di ciascuno; sì veramente, che ogni lettore vi trovasse pascolo proporzionato alla sua capacità. Intorno a questo accorgimento usato dal Poeta mi sia lecito un breve cenno che servirà di conclusione.

Fra i mentovati sensi della Commedia, Dante attese sopra tutto alla perfezione del letterale o storico, che chiama il fondamento dell'edificio1;

1 Conv. II, 1.

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