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parte, direi quasi, accidentale, come le tre fiere del primo canto, la donna gentile, Lucia, Catone, Stazio, Sordello, Matelda e San Bernardo con tutti quegli animali ed oggetti allegorici dei quali il Poeta ha popolato la divina foresta collocata in vetta alla montagna del Purgatorio, diremo partitamente a proprio luogo.

CAPITOLO V.

Sui due sensi principali del Poema

cioè, e l'allegorico-morale.

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il letterale

Due sono, come notai più sopra, i sensi principali che informano da un capo all' altro il Poema dantesco; il letterale cioè, e l'allegorico-morale; de' quali al primo, che ne costituisce come a dire l'ossatura, devesi certamente lo studioso applicare di preferenza, seguendo la regola dettata dallo stesso Alighieri; il quale nel Convito, dopo aver ripetuto quasi le medesime cose già dette nella Lettera allo Scaligero (e da noi riportate poco avanti) sui diversi sensi allegorici, secondo cui denno essere interpretate le scritture in generale, e specialmente le sue proprie Canzoni, conchiude, che sempre lo (senso) letterale deve andare innanzi, siccome quello nella cui sentenza gli altri sono inchiusi, e senza lo quale sarebbe impossibile e irragione

vole intendere gli altri 1. La Divina Commedia è mirabile anche in questo, che, dove le altre poesie di natura allegorica il massimo e quasi unico diletto che può ritrarne il lettore dipende sì fattamente dalla conoscenza dell'allegoria che senza di ciò non è possibile sostenerne tampoco il fastidio della lettura; di quella all'opposto basta comprenderne anche solo il senso letterale per cavarne tal diletto e tal pro da farla già parere un miracolo dell' umano ingegno. Di questo senso letterale, estraneo al mio assunto, e che il giovane lettore potrà studiare col sussidio di qualche buon commento, mi terrò pago di esporne quel tanto solo che basti a ben intendere le diverse allegorie; nel campo delle quali entro diviato traendole di sotto al velo che le ricopre.

Prima ci si presenta quella che da alcuni si appella semplicemente allegoria, da altri allegoria religiosa, e che noi, usando il linguaggio del nostro autore, chiameremo morale: Est morale negotium, seu Ethica; quia non ad speculandum, sed ad opus inventum est totum 2. Questa è appunto l'allegoria che dopo il senso letterale, lettori (per suggerimento di lui medesimo) deono intentamente andare appostando a utilità loro 3. Intorno alla quale invito il giovane lettore a fermare alquanto l'attenzione su di un punto che è

1 Conv.

II, 1.

2 Ep. a Cane.

3 Conv. II. 1.

i

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di massima importanza; vuo' dire il soggetto del Poema. Già dimostrammo essere questo, per confessione di Dante medesimo, l'uomo traviato che vuolsi restituire al pristino grado d'innocenza e perfezionare nello spirito con tutti quei mezzi che fornisce la scienza umana e la divina rivelazione. Quest' uomo, collettivamente preso, è rappresentato da Dante che, come individuo, è pur il soggetto dell' Epopea nel senso letterale. Ammessa la verità di tale concetto non farà più maraviglia a nessuno, cred' io, il veder Dante comparire sotto veste di gran peccatore in un'opera destinata ad eternare il suo nome; conciossiachè qui non trattisi di lui qual individuo, ma sì bene dell' uom peccatore in astratto che egli tolse a rappresentare. Quindi, e le pecche di cui si finge maculato, e i rimproveri amari che si fa indirizzare da Virgilio, e più ancora da Beatrice, non a lui propriamente si riferiscono, ma al soggetto che allegoricamente rappresenta. Nel vero, in que' pochi luoghi, che sono veri episodii, dove la figura subentra al figurato (come nel XV dell' Inferno, nell' ultimo del Purgatorio, nel xv, XVI e XXVII del Paradiso) Dante compare in ben altro aspetto che di umile peccatore.

L'allegoria morale espressa come sopra è dunque quella che forma il tema principalissimo dell'Epopea dantesca; tema il più sublime di quanti mai fossero concepiti dalla mente di un poeta o di un filosofo, avendo per fine il fine stesso cui

mirano tutte le divine ed umane istituzioni, che è il perfezionamento della parte più nobile dell'uomo e il suo ravvicinamento a Dio di cui è creatura ed immagine e nel cui amplesso è destinato a gustare una beatitudine imperitura. Quest'allegoria non è delle posticcie che possano stare o no, come tante altre, a volontà degl' interpreti, ma è fissata di prima intenzione, invade tutte le fibre del Poema, gli è sostanza e sangue, e risulta, così evidente dal suo insieme e dalle singole parti che chiunque imprende a leggerlo in buona fede non d'altro preoccupato che di scuoprirne il senso più naturale, non trova passo, sto per dire, che non si attagli perfettamente alla prefata allegoria; ciò che non può dirsi delle altre, le quali non ci entrano che indirettamente. Arrogi a questo l'unanime conforme attestazione di tutti gli antichi chiosatori, fra i quali tengono meritamente il primo luogo i figli stessi di Dante, Iacopo e Pietro; il primo dei quali dichiara nel Proemio del suo commento di voler dimostrare parte del profondo ́e autentico ⚫ intendimento di suo padre; e il secondo diede della morale allegoria delle tre Cantiche un sunto così preciso ed assennato che riporterei qui per esteso a sostegno della presente mia esposizione se la brevità che mi sono prefissa mel consentisse. A costoro fanno seguito Messer Bosone dei Raffaelli da Gubbio ospite e discepolo del Poeta, l'ottimo Commento opera di più autori, frate

Guido da Pisa detto Guido del Carmine, e Iacopo Della Lana, tutti contemporaneisas Dante, tutti più o meno seco lui convivuti ed ammessi alla sua confidenza e tutti d'accordo nell'additare cotal senso allegorico morale che informa la Divina Commedia. Lo stesso dicasi degli altri chiosatori che seguirono pel corso di quattro intieri secoli, fino al P. Venturi che fu il primo, se non erro, o certo uno dei primi di quella nuova serie di espositori che, ripudiato il vero concetto tradizionale di esso Poema, attesero a specularne altri nuovi più conformi ai loro pregiudizi, e riuscirono a darci le loro individuali fantasie piuttosto che la vera intenzione dell'autore. Non così i recentissimi, i quali, staccatisi dai visionarii che tennero il campo negli ultimi cento anni, fanno ritorno con miglior consiglio al senno antico.

A questi ultimi io pure aderisco, propugnando essere quest'allegoria, che imprendo ad esporre, intima al Poema dantesco, come quella che lo abbraccia e lo nobilita tutto quanto, dandogli per iscopo un concetto vero, sublime, universale; per materia i vizi e le virtù di tutto il genere umano; per istromento le scienze sacre e profane; per estensione tutti i tempi, e per aderenze tutti i cristiani. Della quale verità più sopra allegammo

' Vedi la bell'opera intitolata: Il Concetto della Divina Commedia del P. Francesco Berardinelli; Napoli 1859.

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