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XXXI.

SOPRA IL RITRATTO

DI UNA BELLA DONNA

SCOLPITO NEL MONUMENTO SEPOLCRALE

DELLA MEDESIMA.

Tal fosti: or qui sotterra

Polve e scheletro sei. Su l'ossa e il fango
Immobilmente collocato invano

Muto, mirando dell' etadi il volo,

Sta di memoria solo

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E di dolor custode, il simulacro

Della scorsa beltà. Quel dolce sguardo

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Che tremar fe, se come or sembra, immoto
In altrui s'affisò; quel labbro, ond' alto
Par, come d'urna piena,

Traboccare il piacer; quel collo, cinto
Già di desio; quell' amorosa mano

Che spesso,

ove fu porta,

Senti gelida far la man che strinse
E il seno onde la gente

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SOPRA IL RITR. DI UN▲ BEL. DON.

Visibilmente di pallor si tinse

Furo alcun tempo or fango
Ed ossa sei: la vista

Vituperosa e trista un sasso asconde.

Così riduce il fato

Qual sembianza fra noi parve più viva
Immagine del ciel. Misterio eterno
Dell'esser nostro. Oggi d' eccelsi, immensi
Pensieri e sensi inenarrabil fonte,
Beltà grandeggia, e pare,

Quale splendor vibrato

Da natura immortal su queste arenę,

Di sovrumani fati,

Di fortunati regni e d'aurei mondi
Segno e sicura spee

Dare al mortale stato :

Diman, per lieve forza,

Sozzo a vedere, abominoso, abbietto

Divien quel che fu dianzi

Quasi angelico aspetto,

E dalle menti insieme

Quel che da lui moveva

Ammirabil concetto, si dilegua.

Desiderii infiniti

E visioni altere

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146 SOPRA IL RITR. DI UNA BEL. DON.

Crea nel vago pensiere,

Per natural virtù, dotto concento;

Onde 'per mar delizioso

arcano

Erra lo spirto umano,

Quasi come a diporto

Ardito notator per l' Oceano :
Ma se un discorde accento

Fere l'orecchio, in nulla

Torna quel paradiso in un momento.

Natura umana or come,

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Se frale in tutto e vile,

Se polve ed ombra sei, tant' alto senti? Se in parte anco gentile,

Come i più degni tuoi moti e pensieri Son così di leggeri

Da si basse cagioni e desti e spenti ?

XXXII.

PALINODIA

AL MARCHESE GINO CAPPONI.

Il sempre sospirar nulla rileva.

PETRARCA.

Errai, candido Gino; assai gran tempo,

E di gran lunga errai. Misera e vana
Stimai la vita e sovra l'altre insulsa

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L'età ch'or si rivolge. Intolleranda
Parve, e fu, la mia lingua alla beata
Prole mortal, se dir si dee mortale
L'uomo o si può. Fra maraviglia e sdegno,
Dall' Eden odorato in cui soggiorna,
Rise l'alta progenie, e me negletto
Disse o mal venturoso e di piaceri

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O incapace o inesperto, il proprio fato

Creder comune

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e del mio mal consorte

L'umana specie. Alfin per entro il fumo
De' sígari onorato, al romorio

De' crepitanti pasticcini, al grido
Militar, di gelati e di bevande

Ordinator, fra le percosse tazze
E i branditi cucchiai, viva rifulse
Agli occhi miei la giornaliera luce
Delle gazzette. R conobbi e vidi
La pubblica letizia, e le dolcezze
Del destino mortal. Vidi l'eccelso
Stato e il valor delle terrene cose,
E tutto fiori il corso umano

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e vidi Come nulla quaggiù dispiace e dura.

Nè men conobbi ancor gli studi e l'opre
Stupende, e il senno, e le virtudi, e l'alto
Saver del secol mio. Nè vidi meno

Da Marrocco al Catai, dal Nilo all' Orse,
E da Boston a Goa, correr dell'alma
Perfezion, della comune e vera

Felicità su l'orme a gara ansando
Regni, imperi e ducati ; e già tenerla
O per le chiome fluttuanti o certo

Per l'estremo del boa (11). Così vedendo,
E meditando sovra i larghi fogli
Profondamente, del mio grave, antico
Errore, e di me stesso, ebbi vergogna.

Aureo secolo omai volgono, o Gino,
I fusi delle Parche. Ogni giornale,
Gener vario di lingue e di colonne,
Da tutti i lidi lo promette al mondo

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