XXXIV. SCHERZO. Quando uando fanciullo io venni A pormi con le Muse in disciplina, La mi condusse intorno Mostrommi a parte a parte A che ciascun di loro Io mirava e chiedea: Musa, la lima ov'è? Disse la Dea: La lima è consumata; or facciam senza. Ed jo, ma di rifarla Non vi cal, soggiungea, quand'ella è stanca ? FRAMMENTI. XXXV. ALCETA. Odi, Melisso: io vo' contarti un sogno : Che quanto nel cader s' approssimava, e di scintille Si forte come quando un carbon vivo Nell'acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo E ne fumavan l'erbe intorno intorno. Allor mirando in ciel, vidi rimaso Come un barlume, o un'orma, anzi una nicchia, Ond' ella fosse svelta; in cotal guisa, Ch'io n'agghiacciava; e ancor non m'assicuro. MELISSO. E ben hai che temer che agevol cosa ALCETA. Chi sa? non veggiam noi spesso di state Cader le stelle? MELISSO. Egli ci ha tante stelle, Che picciol danno è cader l'una o l'altra Ha questa luna in ciel, che da nessuno Cader fu vista mai se non in sogno. I. XXXVI. qui vagando al limitare intorno Invan la pioggia invoco e la tempesta, Acciò che la ritenga al mio soggiorno. Pure il vento muggia nella foresta, E muggia tra le nubi il tuono errante, Pria che l'aurora in ciel fosse ridesta. O care nubi o cielo o terra o piaute, Parte la donua mia: pietà, se trova Pietà nel mondo un infelice amante. O turbine, or ti sveglia, or fate prova Di sommergermi o nembi, insino a tanto Che il sole ad altre terre il dì rinnova. S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto Posan l'erbe e le frondi, e m'abbarbaglia Le luci il crudo Sol pregne di pianto. |