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XXXIX.

DELLO STESSO.

Umana

mana cosa picciol tempo dura,

E certissimo detto

Disse il veglio di Chio
Conforme ebber natura
Le foglie e l'uman seme.
Ma questa voce in petto

Raccolgon pochi. All'inquieta speme,

Figlia di giovin core,

Tutti prestiam ricetto.

Mentre è vermiglio il fiore

Di nostra etade acerba,

L'alma vota e superba

Cento dolci pensieri educa invano,
Nè morte aspetta nè vecchiezza ; e nulla
Cura di morbi ha l' uom gagliardo e sano.
Ma stolto è chi non vede

La giovanezza come ha ratte l'ale,

E siccome alla culla

Poco il rogo è lontano.

Tu pria di porre il piede

In sul varco fatale

Della plutonia sede,
Ai presenti diletti

La dubbia età commetti.

NOTE.

Pag. 10. (1) Il successo delle Termopile fu celebrato veramente da quello che in essa canzone s'introduce a poetare, cioè da Simonide; tenuto dall'antichità fra gli ottimi poeti lirici, vissuto, che più rileva, ai medesimi tempi della scesa di Serse, e greco di patria. Questo suo fatto, lasciando l'epitaffio riportato da Cicerone e da altri, si dimostra da quello che scrive Diodoro nell' undecimo libro, dove recita anche certe parole d'esso poeta in questo proposito, due o tre delle quali sono espresse nel quinto verso dell'ultima strofe. Rispetto dunque alle predette circostanze del tempo e della persona, e da altra parte riguardando alle qualità della materia per se medesima, io non credo che mai si trovasse argomento più degno di poema lirico, nė più fortunato di questo che fu scelto, o più veramente sortito, da Simonide. Perocchè se l'impresa delle Termopile fa tanta forza a noi che siamo stranieri verso quelli che l'operarono, e con tutto questo non possiamo tenere le lacrime a leggerla semplicemente come passasse e ventitre secoli dopo ch'ella è seguita; abbiamo a far congettura di quello che la sua ricordanza dovesse potere in un Greco, e poeta, e dei principali, avendo veduto il fatto si può dire, cogli occhi propri, andando per le stesse città vincitrici di un esercito molto maggiore di quanti altri si ricorda la storia d' Euro-,

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pa, venendo a parte delle feste, delle maraviglie, del fervore di tutta un' eccellentissima nazione, fatta anche più magnanima della sua natura dalla coscienza della gloria acquistata, e dall'emulazione di tanta virtù dimostrata pur dianzi dai suoi. Per queste considerazioni, riputando a molta disavventura che le cose scritte da Simonide in quella occorrenza fossero perdute, non ch' io presumessi di riparare a questo danno, ma come per ingannare il desiderio, procurai di rappresentarmi alla mente le disposizioni dell'animo del poeta in quel tempo, e con questo mezzo, salva la disuguaglianza degl' ingegni, tornare a fare il suo canto; del quale io porto questo parere, che o fosse maraviglioso, o la fama di Simonide fosse vana, e gli scritti perissero con poca ingiuria. Lettera a Vincenzo Monti premessa alle edizioni di Roma e di Bologna.

Pag. 25. (2) Di questa fama divulgata anticamente, che in Ispagna e in Portogallo, quando il sole tra montava, si udisse di mezzo all' Oceano uno stridore simile a quello che fanno i carboni accesi, o un ferro rovente, quando è tuffato nell' acqua, vedi Cleomede Circular. doctrin. de sublim. 1. 2. c. 1. ed. Bake, Lugd. Bat. 1820. p. 109. seq. Strabone 1. 3. ed. Amstel. 1707. p. 202. B. Giovenale Sat. 14. v. 279. Stazio Silv. 1. 2. Genethl. Lucani v. 24. seqq. ed Ausonio Epist. 18. v. 2. Floro l. 2. c. 17. parlando delle cose fatte da Decimo Bruto in Portogallo: peragratoque victor Occani litore, non prius signa convertit, quam cadentem in maria solem, obrutumque aquis ignem, non sine quodam sacrilegii metu, et horrore, deprehendit. Vedi ancora le note degli eruditi a Tacito de Germ. c. 45.

Pag. 26. (3) Mentre la notizia della rotondità della terra, ed altre simili appartenenti alla cosmografia, furono poco volgari, gli uomini ricercando quello che si facesse il sole nel tempo della notte, o qual fosse lo stato suo, fecero intorno a questo parecchie belle immaginazioni: e se molti pensarono che la sera il sole si spegnesse, e che la mattina si raccendesse, altri immaginarono che dal tramonto si riposasse e dormisse fino al giorno. Stesicoro ap. Athenaeum 1. 11. c. 38. ed. Schweigh. t. 4. p. 237. Antimaco ap. eumd.; 1. c. p. 238. Eschilo 1. c. e più distintamente Mimnermo, poeta greco antichissimo, 1. c. cap. 39. p. 239. dice che il sole, dopo calato, si pone a giacere in un letto concavo a uso di navicella, tutto d' oro, e così dormendo naviga per l'Oceano da ponente a le vante. Pitea marsigliese, allegato da Gemino c. 5. in Petay. Uranol. ed. Amst. p. 13. e da Cosma egiziano Topogr. christian. 1. 2. ed. Montfauc. p. 149. racconta di non so quali barbari che mostrarono a esso Pitea il luogo dove il sole, secondo loro, si adagiava. a dormire. E il Petrarca si accostò a queste tali opinioni volgari in quei versi, Canz. Nella stagion, st. 3. Quando vede 'l pastor calare i raggi

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Del gran pianeta al nido ov' egli alberga.

Siccome in questi altri della medesima Canzone st. 1. segui la sentenza di quei filosofi che per virtù di raziocinio e di congettura indovinavano gli antipodi.

Nella stagion che'l ciel rapido inchina

Verso occidente, e che 'l di nostro vola
A gente che di là forse l'aspetta.

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