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NELLE NOZZE DELLA SOR. PAOL.

Ch' oggi non fa, pur consolata e paga È quella tomba cui di pianto onora L'alma terra nativa. Ecco alla vaga Tua spoglia intorno la romulea prole Di nova ira sfavilla. Ecco di polve Lorda il tiranno i crini;

E libertade avvampa

Gli obbliviosi petti; e nella doma
Terra il marte latino arduo s'accampa
Dal buio polo ai torridi confini.
Così l'eterna Roma

In duri ozi sepolta

Femmineo fato ayviya un'altra volta.

V.

A UN VINCITORE

NEL PALLONE.

Di gloria il viso e la gioconda voce,

Garzon bennato, apprendi,

E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendi attendi
Magnanimo campion (s' alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Movi ad alto desio. Te l'echeggiante
Arena è il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore :
Te rigoglioso dell'età novella
Oggi la patria cara

Gli antichi esempi a rinnovar prepara.

Del barbarico sangue in Maratona
Non colorò la destra'

Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
Che stupido mirò l' ardua palestra,

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Nè la palma beata e la corona
D'emula brama il punse. E nell' Alfeo
Forse le chiome polverose e i fianchi
Delle cavalle vincitrici asterse

Tal che le greche insegne e il greco acciaro

Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi

Nelle pallide torme

onde sonaro

Di sconsolato grido

L'alto sen dell' Eufrate e il servo lido.

Vano dirai quel che disserra e scote
Della virtù nativa

Le riposte faville? e che del fioco
Spirto vital negli egri petti avviva
Il caduco fervor? Le meste rote
Da poi che Febo instiga, altro che gioco
Son le cure mortali ? ed è men vano
Della menzogna il vero? A noi di lieti
Inganni e di felici ombre soccorse
Natura stessa e là dove l'insano
Costume ai forti errori esca non porse,

Negli ozi oscuri e nudi

Mutò la gente i gloriosi studi.

Tempo forse verrà ch' alle ruine

Delle italiche moli

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Sentano i sette colli; e pochi Soli
Forse fien volti, e le città latine
Abiterà la cauta volpe e l'atro
Bosco mormorerà fra le alte mura;
Se la funesta delle patrie cose
Obblivion dalle perverse menti
Non isgombrano i fati, e la matura
Clade non torce dalle abbiette genti
Il ciel fatto cortese

Dal rimembrar delle passate imprese.

Alla patria infelice, o buon garzone, Sopravviver ti doglia.

Chiaro per lei stato saresti allora

Che del serto fulgea di ch'ella è spoglia,
Nostra colpa e fatal. Passò stagione ;
Che nullo di tal madre oggi s' onora :

Ma

per te stesso al polo ergi la mente. Nostra vita a che val? solo a spregiarla : Beata allor che ne' perigli avvolta, Se stessa obblia, nè delle putri e lente Ore il danno misura e il flutto ascolta; Beata allor che il piede

Spinto al varco leteo, più grata riede.

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VI.

BRUTO MINORE.

Poi che divelta, nella tracia (5) polve

Giacque ruina immensa

L'italica virtute, onde alle valli
D' Esperia verde, e al tiberino lido,
Il calpestio de' barbari cavalli

Prepara il fato, e dalle selve ignude
Cui l'Orsa algida preme,

A spezzar le romane inclite mura
Chiama i gotici brandi;

Sudato, e molle di fraterno sangue,
Bruto per l'atra notte in erma sede,
Fermo già di morir, gl' inesorandi
Numi e l'averno accusa "

E di feroci note

Invan la sonnolenta aura percote.

Stolta virtù, le cave nebbie, i campi Dell' inquiete larve

Son le tue scole e ti si volge a tergo Il pentimento. A voi, marmorei numi,

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