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Vivi tu, vivi, o santa

Natura? vivi e il dissueto orecchio
Della materna voce il suono accoglie ?
Già di candide ninfe i rivi albergo,
Placido albergo e specchio

Furo i liquidi fonti. Arcane danze
D'immortal piede i ruinosi gioghi
Scossero e l'ardue selve (oggi romita
Stanza de' venti) e il pastorel ch' all'ombre
Meridiane (6) incerte e alla fiorita
Margo adducea de' fiumi

Le sitibonde agnelle, arguto carme
Sonar d'agresti Pani

Udi lungo le ripe; e tremar l'onda
Vide, e stupi, che non palese al guardo
La faretrata Diva

Scendea ne' caldi flutti, e dall'immonda
Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveo lato e le verginee braccia.

Vissero i fiori e l'erbe

Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
Aure, le nubi e la titania lampa

Fur dell'umana gente, allor che ignuda
Te per le piagge e i colli,

Ciprigna luce, alla deserta notte

Con gli occhi intenti il viator seguendo,

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Te compagna alla via te de' mortali Pensosa immaginò. Che se gl' impuri Cittadini consorzi e le fatali

Ire fuggendo e l'onte,

GI' ispidi tronchi al petto altri nell' ime Selve remoto accolse

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Viva fiamma agitar l'esangui vene,
Spirar le foglie, e palpitar segreta
Nel doloroso amplesso

Dafne o la mesta Filli, o di Climene
Pianger credè la sconsolata prole
Quel che sommerse in Eridano il sole.

Nè dell' umano affanno,
Rigide balze, i luttuosi accenti
Voi negletti ferìr mentre le vostre
Paurose latebre Eco solinga,
Non vano error de' venti,

Ma di ninfa abitò misero spirto,
Cui grave amor cui duro fato escluse
Delle tenere membra. Ella per grotte,
Per nudi scogli e desolati alberghi,
Le non ignote ambasce e l'alte e rotte
Nostre querele al curvo

Etra insegnava. E te d'umani eventi
Disse la fama esperto

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Musico augel che tra chiomato bosco

Or vieni il rinascente anno cantando,
E lamentar nell'alto

Ozio de' campi, all'aer muto e fosco
Antichi danni e scellerato scorno 2
E d'ira e di pietà pallido il giorno.

Ma non cognato al nostro

Il gener-tuo; quelle tue varie note
Dolor non forma, e te di colpa ignudo
Men caro assai la bruna valle asconde.
Ahi ahi, poscia che vote

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Son le stanze d'Olimpo e cieco il tuono
Per l'atre nubi e le montagne errando,
Gl' iniqui petti e gl'innocenti a paro
In freddo orror dissolve; e poi ch' estrano
Il suol nativo e di sua prole ignaro

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Le meste anime educa;

Tu le cure infelici e i fati indegni
Tu de' mortali ascolta,

Vaga natura e la favilla antica
Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi,
E se de' nostri affanni

Cosa veruna in ciel, se nell' aprica
Terra s'alberga o nell'equoreo seno
Pietosa no, ma spettatrice almeno.

VIII.

INNO

AI PATRIARCHI

DE' PRINCIPII DEL GENERE UMANO.

E voi de' figli dolorosi il canto,
Voi dell' umana prole incliti padri,
Lodando appellerà; molto all' eterno
Degli astri agitator più cari, e molto
Di uoi men lacrimabili nell'alma
Luce prodotti. Immedicati affanni
Al misero mortal nascere al pianto,
E dell' etereo lume assai più dolci
Sortir l'opaca tomba e il fato estremo
Non la pietà, non la diritta impose
Legge del cielo. E se di vostro antico
Error che l'uman seme alla tiranna
Possa de' morbi e di sciagura offerse
Grido antico ragiona, altre più dire

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Colpe de' figli, e pervicace ingegno,
E demenza maggior l'offeso Olimpo
N' armaro incontra e la negletta mano
Dell' altrice natura; onde la viva
Fiamma n'increbbe, e detestato il parto
Fu del grembo materno e violento
Emerse il disperato Erebo in terra.

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Tu primo il giorno, e le purpuree faci
Delle rotanti sfere, e la novella
Prole de' campi, o duce antico e padre
Dell' umana famiglia, e tu l' errante
Per li giovani prati aura contempli :
Quando le rupi e le deserte valli
Precipite l'alpina onda feria
D'inudito fragor; quando gli ameni
Futuri seggi di lodate genti

E di cittadi romorose, ignota
Pace regnava; e gl' inarati colli
Solo e muto ascendea l'aprico raggio
Di febo e l'aurea luna. Oh fortunata
Di colpe ignara e di lugubri eventi,
Erma terrena sede! Oh quanto affanno
Al gener tuo, padre infelice, e quale
D'amarissimi casi ordine immenso
Preparano i destini! Ecco di sangue
Gli avari colti e di fraterno scempio

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