XI. IL PASSERO SOLITARIO. D'in su la vetta della torre antica Passero solitario, alla campagna Cantando vai finchè non more il giorno; Brilla nell'aria, e per li campi esulta, Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi; Di tua vita e dell' anno il più bel fiore. Oimè, quanto somiglia Al tuo costume il mio. Sollazzo e riso E te, german di giovinezza amore, Non curo, io non so come; anzi da loro Quasi romito, e strano Al mio loco natio, Passo del viver mio la primavera. La gioventù del loco Lascia le case, e per le vie si spande; Rimota parte alla campagna uscendo, Indugio ad altro tempo e intanto il guardo Steso nell' aria aprica Mi fere il Sol che tra lontani monti, Dopo il giorno sereno, Cadendo si dilegua, e par che dica Tu, solingo augellin, venuto a sera Del viver che daranno a te le stelle, Non ti dorrai; che di natura è frutto. Quando muti questi occhi all' altrui core, E lor fia vóto il mondo e il dì futuro Del di presente più noioso e tetro, Che parrà di tal voglia ? Che di quest'anni miei? che di me stesso ? Ahi pentirommi, e spesso, Ma sconsolato, volgerommi indietro. XII. L'INFINITO. Sempre empre caro mi fu quest' ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell' ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando e mi sovvien l'eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s' annega il pensier mio: E il naufragar m'è dolce in questo mare. XIII. LA SERA DEL DI DI FESTA. Dolce e chiara è la notte e senza vento, Serena ogni montagna. O donna mia Che mi fece all' affanno. A te la speme In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti |