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Di questa infelicissima fanciulla.

Per le sventure nostre,

e per

ין

amore

Che mi strugge, esclamai; per lo diletto.
Nome di giovanezza e la perduta

Speme dei nostri dì, concedi, o cara,

Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto
Soave e tristo, la porgeva. Or mentre
Di baci la ricopro, e d' affannosa
Dolcezza palpitando all' anelante
Seno la stringo, di sudore il volto
Ferveva e il petto, nelle fauci stava
La voce, al guardo traballava il giorno.
Quando colei teneramente affissi

Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro,
Disse, che di beltà son fatta ignuda?
E tu d'amore, o sfortunato, indarno

Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio.
Nostre misere menti e nostre salme
Son disgiunte in eterno. A me non vivi
E mai più non vivrai già ruppe il fato
La fe che mi giurasti. Allor d'angoscia
Gridar volendo e spasimando, e pregne
Di sconsolato pianto le pupille,

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Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi
Pur mi restava e nell' incerto raggio
Del Sol vederla io mi credeva ancora.

XVI.

LA VITA SOLITARIA.

La mattutina pioggia, allor che l'ale

Battendo esulta nella chiusa stanza
Le gallinella ed al balcon s' affaccia
L'abitator de' campi, e il Sol che nasce
I suoi tremuli rai fra le cadenti

Stille saetta

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alla capanna mia Dolcemente picchiando, mi risveglia;

E sorgo,
e i lievi nugoletti, e il primo
Degli augelli susurro, e l'aura fresca,
E le ridenti piagge benedico;

Poichè voi, cittadine infauste mura "
Vidi e conobbi assai, là dove segue
Odio al dolor compagno; e doloroso
Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
Beuchè scarsa pietà pur mi dimostrą
Natura in questi lochi, un giorno oh quanto
Verso me più cortese. E tu pur volgi
Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
Le sciagure e gli affanni, alla reina
Felicità servi o natura. In cielo,

In terra amico agl' infelici alcuno
E rifugio non resta altro che il ferro.

Talor m' assido in solitaria parte, Sovra un rialto, al margine d'un lago Di taciturne piante incoronato.

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Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
La sua tranquilla imago il Sol dipinge,
Ed erba o foglia non si crolla al vento,
E non onda incresparsi, e non cicala
Strider, nè batter penna augello in ramo,
Nè farfalla ronzar nè voce o moto,
Da presso nè da lunge odi nè vedi.
Tien quelle rive altissima quiete ;
Ond' io quasi me stesso e il mondo obblio
Sedendo immoto; e già mi par che sciolte
Giaccian le membra mie, nè spirto o senso
Più le commoya e lor quiete antica

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Co' silenzi del loco si confonda.

Amore amore assai lungi volasti

Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno,
Anzi rovente. Con sua fredda mano

Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo
Che mi scendesti in seno. Era quel dolce
E irrevocabil tempo, allor che s'apre

Al guardo giovenil questa infelice

Scena del mondo, e gli sorride in vista.
Di paradiso. Al garzoucello il core
Di vergine speranza e di desio

Balza nel petto; e già s' accinge all' opra
Di questa vita come a danza o gioco
Il misero mortal. Ma non si tosto,
Amor, di te m' accorsi, e il viver mio
Fortuna avea già rotto " ed a questi occhi
Non altro conveuia che il pianger sempre.
Par se talvolta per le piaggie apriche
Su la tacita aurora o quando al sole
Brillano i tetti e i poggi e le campagne,
Scontro di vaga donzelletta il viso ;
O qualor nella placida quiete

D' estiva notte, il vagabondo passo
Di rincontro alle ville soffermando

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L'erma terra contemplo e di fanciulla Che all' opre di sua man la notte aggiunge Odo sonar nelle romite stanze

L'arguto canto; a palpitar si move.

Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna Tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estrano Ogni moto soave al petto mio.

O cara luna, al cui tranquillo raggio Danzan le lepri nelle selve; e duolsi

Alla mattina il cacciator, che trova
L'orme intricate e false e dai covili

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Error vario lo svia; salve, o benigna
Delle notti reina. Infesto scende

Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro.
A deserti edifici, in su l'acciaro

Del pallido ladron ch' a teso orecchio
Il fragor delle rote e de'cavalli

Da lungi osserva o il calpestio de' piedi
Su la tacita via; poscia improvviso
Col suon dell' armi e con la rauca voce
E col funereo ceffo il core agghiaccia
Al passegger, cui semivivo e nudo

Lascia in breve tra' sassi. Infesto occorre
Per le contrade cittadine il bianco
Tuo lume al drudo vil che degli alberghi
Va radendo le mura e la secreta
Ombra seguendo, e resta, e si spaura
Delle ardenti lucerne e degli aperti
Balconi. Infesto alle malvage menti,
A me sempre benigno il tuo cospetto
Sarà per queste piagge, ove non altro
Che lieti colli e spaziosi campi

M'apri alla vista. Ed io soleva ancora
Bench' innocente io fossi, il tuo vezzoso
Raggio accusar negli abitati lochi,

Quaud' ei m'offriva al guardo umano, e quando

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