Di questa infelicissima fanciulla.
Che mi strugge, esclamai; per lo diletto. Nome di giovanezza e la perduta
Speme dei nostri dì, concedi, o cara,
Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto Soave e tristo, la porgeva. Or mentre Di baci la ricopro, e d' affannosa Dolcezza palpitando all' anelante Seno la stringo, di sudore il volto Ferveva e il petto, nelle fauci stava La voce, al guardo traballava il giorno. Quando colei teneramente affissi
Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro, Disse, che di beltà son fatta ignuda? E tu d'amore, o sfortunato, indarno
Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio. Nostre misere menti e nostre salme Son disgiunte in eterno. A me non vivi E mai più non vivrai già ruppe il fato La fe che mi giurasti. Allor d'angoscia Gridar volendo e spasimando, e pregne Di sconsolato pianto le pupille,
Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi Pur mi restava e nell' incerto raggio Del Sol vederla io mi credeva ancora.
La mattutina pioggia, allor che l'ale
Battendo esulta nella chiusa stanza Le gallinella ed al balcon s' affaccia L'abitator de' campi, e il Sol che nasce I suoi tremuli rai fra le cadenti
alla capanna mia Dolcemente picchiando, mi risveglia;
E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo Degli augelli susurro, e l'aura fresca, E le ridenti piagge benedico;
Poichè voi, cittadine infauste mura " Vidi e conobbi assai, là dove segue Odio al dolor compagno; e doloroso Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna Beuchè scarsa pietà pur mi dimostrą Natura in questi lochi, un giorno oh quanto Verso me più cortese. E tu pur volgi Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando Le sciagure e gli affanni, alla reina Felicità servi o natura. In cielo,
In terra amico agl' infelici alcuno E rifugio non resta altro che il ferro.
Talor m' assido in solitaria parte, Sovra un rialto, al margine d'un lago Di taciturne piante incoronato.
Ivi, quando il meriggio in ciel si volve, La sua tranquilla imago il Sol dipinge, Ed erba o foglia non si crolla al vento, E non onda incresparsi, e non cicala Strider, nè batter penna augello in ramo, Nè farfalla ronzar nè voce o moto, Da presso nè da lunge odi nè vedi. Tien quelle rive altissima quiete ; Ond' io quasi me stesso e il mondo obblio Sedendo immoto; e già mi par che sciolte Giaccian le membra mie, nè spirto o senso Più le commoya e lor quiete antica
Co' silenzi del loco si confonda.
Amore amore assai lungi volasti
Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno, Anzi rovente. Con sua fredda mano
Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo Che mi scendesti in seno. Era quel dolce E irrevocabil tempo, allor che s'apre
Al guardo giovenil questa infelice
Scena del mondo, e gli sorride in vista. Di paradiso. Al garzoucello il core Di vergine speranza e di desio
Balza nel petto; e già s' accinge all' opra Di questa vita come a danza o gioco Il misero mortal. Ma non si tosto, Amor, di te m' accorsi, e il viver mio Fortuna avea già rotto " ed a questi occhi Non altro conveuia che il pianger sempre. Par se talvolta per le piaggie apriche Su la tacita aurora o quando al sole Brillano i tetti e i poggi e le campagne, Scontro di vaga donzelletta il viso ; O qualor nella placida quiete
D' estiva notte, il vagabondo passo Di rincontro alle ville soffermando
L'erma terra contemplo e di fanciulla Che all' opre di sua man la notte aggiunge Odo sonar nelle romite stanze
L'arguto canto; a palpitar si move.
Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna Tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estrano Ogni moto soave al petto mio.
O cara luna, al cui tranquillo raggio Danzan le lepri nelle selve; e duolsi
Alla mattina il cacciator, che trova L'orme intricate e false e dai covili
Error vario lo svia; salve, o benigna Delle notti reina. Infesto scende
Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro. A deserti edifici, in su l'acciaro
Del pallido ladron ch' a teso orecchio Il fragor delle rote e de'cavalli
Da lungi osserva o il calpestio de' piedi Su la tacita via; poscia improvviso Col suon dell' armi e con la rauca voce E col funereo ceffo il core agghiaccia Al passegger, cui semivivo e nudo
Lascia in breve tra' sassi. Infesto occorre Per le contrade cittadine il bianco Tuo lume al drudo vil che degli alberghi Va radendo le mura e la secreta Ombra seguendo, e resta, e si spaura Delle ardenti lucerne e degli aperti Balconi. Infesto alle malvage menti, A me sempre benigno il tuo cospetto Sarà per queste piagge, ove non altro Che lieti colli e spaziosi campi
M'apri alla vista. Ed io soleva ancora Bench' innocente io fossi, il tuo vezzoso Raggio accusar negli abitati lochi,
Quaud' ei m'offriva al guardo umano, e quando
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