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gione. Ma qui non consiste il punto. Fa un poco di avvertenza. Io negava che la pura vita, cioè a dire il semplice sentimento dell'esser proprio, fosse cosa amabile e desiderabile per natura. Ma quello che forse più degnamente ha nome altresì di vita, voglio dir l'efficacia e la copia delle sensazioni, è naturalmente amato e desiderato da tutti gli uomini: perchè qualunque azione o passione viva e forte, purchè non ci sia rincrescevole o dolorosa, col solo esser viva e forte, ci riesce grata, eziandio mancando di ogni altra qualità dilettevole. Ora in quella specie di uomini, la vita dei quali si consumasse naturalmente in ispazio di quarant'anui, cioè nella metà del tempo destinato dalla natura agli altri uomini; essa vita in ciascheduna sua parte, sarebbe più viva il doppio di questa nostra: perchè, dovendo coloro crescere, e giungere a perfezione, e similmente appassire e mancare, nella metà del tempo; le operazioni vitali della loro natura, proporzionatamente a questa celerità, sarebbero in ciascuno istante doppie di forze per rispetto a quel che accade negli altri; ed anche le azioni volontarie di questi tali, la mobilità e la vivacità estrinseca, corrisponderebbero a questa maggiore efficacia. Di modo che essi avrebbero in minore spazio di tempo la stessa quantità di vita che abbiamo noi. La

quale distribuendosi in minor numero d'anni basterebbe a riempierli, o vi lascerebbe piccoli vani; laddove ella non basta a uno spazio doppio : e gli atti e le sensazioni di coloro, essendo più forti, e raccolte in un giro più stretto, sarebbero quasi bastanti a occupare e a vivificare tutta la loro età; dove che nella nostra, molto più lunga, restano spessissimi e grandi intervalli, vòti di ogni azione e affezione viva. E poichè non il semplice essere, ma il solo esser felice, è desiderabile; e la buona o cattiva sorte di chicchessia non si misura dal numero dei giorni: io conchiudo che la vita di quelle nazioni, che quanto più breve, tanto sarebbe men povera di piacere, o di quel che è chiamato con questo nome, si vorrebbe anteporre alla vita nostra, ed anche a quella dei primi re dell' Assiria, dell' Egitto, della Cina, dell' India, e d'altri paesi; che vissero, per tornare alle favole, migliaia d'anni. Perciò, non solo io non mi curo dell' immortalità, e sono contento di lasciarla a'pesci; ai quali la dona il Leeuwenhoek, purchè non sieno mangiati dagli uomini o dalle balene; ma, in cambio di ritardare o interrompere la vegetazione del nostro corpo per allungare la vita, come propone il Maupertuis (25), io vorrei che la potessimo accelerare in modo, che la vita nostra si riducesse alla mi

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sura di quella di alcuni insetti, chiamati efimeri, dei quali si dice che i più vecchi non passano l'età di un giorno, e contuttociò muoiono bisavoli e trisavoli. Nel quale caso io stimo che non ci rimarrebbe luogo alla noia. Che pensi di questo ragionamento?

FIS. Penso che non mi persuade; e che se tu ami la metafisica, io m'attengo alla fisica: voglio dire che se tu guardi pel sottile, io guardo alla grossa, e me ne contento. Però senza mettere mano al microscopio, giudico che la vita sia più bella della morte, e do il pomo a quella, guardandole tutte due vestite.

MET. Così giudico auch'io. Ma quando mi torna a mente il costume di quei barbari, che per ciascun giorno infelice della loro vita, gittavano in un turcasso una pietruzza nera, e per ogni di felice, una bianca (26); penso quanto poco nu'mero delle bianche è verisimile che fosse trovato in quelle faretre alla morte di ciascheduno, e quanto gran moltitudine delle nere. E desidero vedermi davanti tutte le pietruzze dei giorni che mi rimangono; e, sceverandole, aver facoltà di gittar via tutte le e detrarle dalla mia vivere " ta; riserbandomi solo le bianche: quantunque io sappia bene che non farebbero gran cumulo, e sarebbero di un bianco torbido.

FIS. Molti, per lo contrario, quando anche tutti i sassolini fossero neri, e più neri del paragone; vorrebbero potervene aggiungere, benchè dello stesso colore: perchè ngono per fermo che niun sassolino sia così nero come l'ultimo. E.questi tali, del cui numero sono anch'io, potranno aggiungere in effetto molti sassolini alla loro vita, usando l'arte che si mostra in questo mio libro.

MET. Ciascuno pensi ed operi a suo talento: e anche la morte non mancherà di fare a suo modo. Ma se tu vuoi, prolungando la vita, giovare agli uomini veramente; trova un'arte per la quale sieno moltiplicate di numero e di gagliardia le sensazioni e le azioni loro. Nel qual modo, accrescerai propriamente la vita umana, ed empiendo quegli smisurati intervalli di tempo nei quali il nostro essere è piuttosto durare che vivere, ti potrai dar vanto di prolungarla. E ciò senza andare in cerca dell'impossibile, o usar violenza alla natura, anzi secondandola. Non pare a te che gli antichi vivessero più di noi, dato ancora che, per li pericoli gravi e continui che solevano correre " morissero comunemente più presto? E farai grandissimo beneficio agli uomini: la cui vita fu sempre, non dirò felice, ma tanto meno infelice, quanto più fortemente agitata, e in maggior parte occupata, senza dolore nè disagio. Ma piena d'o

zio e di tedio, che è quanto dir vacua, dà luogo a creder vera quella sentenza di Pirrone, che dalla vita alla morte non è divario. Il che se io credessi, ti giuro che la morte i spaventerebbe non poco. Ma in fine, la vita debb'esser viva, cioè vera vita; ola morte la supera incomparabilmente di pregio.

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