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automato si avrà l'occhio ai trattati di Cicerone e della Marchesa di Lambert sopra l'amicizia. L'Accademia pensa che l'invenzione di questa così fatta macchina non debba essere giudicata nè impossibile, nè anche oltre modo difficile, atteso che, lasciando da parte gli automati del Regiomontano, del Vaucanson e di altri, e quello che in Londra disegnava figure e ritratti, e scriveva quanto gli era dettato da chiunque si fosse; più d'una macchina si è veduta che giocava agli scacchi per se medesima. Ora a giudizio di molti savi, la vita umana è un giuoco, ed alcuni affermano che ella è cosa ancora più lieve, e che tra le altre, la forma del giuoco degli scacchi è più secondo ragione, e i casi più prudentemente ordinati che non sono quelli di essa vita. La quale oltre a ciò, per detto di Pindaro, non essendo cosa di più sostanza che un sogno di un ombra, ben debbe esserne capace la veglia di un automato. Quanto alla favella, pare non si possa volgere in dubbio che gli uomini abbiano facoltà di comunicarla alle macchine che essi formano, conoscendosi questa cosa da vari esempi, e in particolare da ciò che si legge della statua di Mennone e della testa fabbricata dal magno Alberto, la quale era sì loquace, che perciò san Tommaso di Aquino, venutagli in odio, la

ruppe. E se il pappagallo di Nevers (6), con tutto che fosse una bestiolina, sapeva rispondere e favellare a proposito, quanto maggiormente è da credere che possa fare questi medesimi effetti una macchina immaginata dalla mente dell'uomo e construtta dalle sue mani; la quale già non debbe essere così linguacciuta come il pappagallo di Nevers ed altri simili che si veggono e odono tutto giorno, nè come la testa fatta da Alberto magno, non le convenendo infastidire l'amico e muoverlo a fracassarla. L'inventore di questa macchina riporterà in premio una medaglia d'oro di quattrocento zecchini di peso, la quale da una banda rappresenterà le immagini di Pilade e di Oreste, dall'altra il nome del premiato col titolò : PRIMO VE

RIFICATORE DELLE FAVOLE ANTICHE.

La seconda macchina vuol essere un uomo artificiale a vapore, atto e ordinato a fare.opere virtuose e magnanime. L'Accademia reputa che i vapori, poichè altro mezzo non pare che si trovi, debbano essere di profitto a infervorare un semovente e indirizzarlo agli esercizi della virtù e della gloria. Quegli che intraprenderà di fare questa macchina, vegga i poemi e i romanzi, secondo i quali si dovrà governare circa le qualità e le operazioni che si richieggono a questo automato. Il premio sarà una medaglia d'oro di quattro

cento cinquanta zecchini di peso, stampatavi in sul ritto qualche immaginazione significativa della età d'oro, e in sul rovescio il nome dell' inventore della macchina con questo titolo ricavato dalla quarta egloga di Virgilio, Qvo FERREA PRIMVM

ESINET AC TOTO SVRGET GENS AVREA MVNDO.

La terza macchina debbe essere disposta a fare gli uffici di una donna conforme a quella immaginata, parte dal conte Baldassar Castiglione, il quale descrisse il suo concetto nel libro del Cortegiano, parte da altri, i quali ne ragionarono in vari scritti che si troveranno senza fatica, e si avranno a consultare e seguire, come eziandio quello del Conte. Nè anche l' invenzione di questa macchina dovrà parere impossibile agli uomini dei nostri tempi, quando pensino che Pigmalione in tempi antichissimi ed alieni dalle scienze si potè fabbricare la sposa colle proprie mani, la quale si tiene che fosse la miglior donna che sia stata insino al presente. Assegnasi all'autore di questa macchina una medaglia d' oro in peso di cinquecento zecchini, in sulla quale sarà figurata da una faccia l'araba fenice del Metastasio posata sopra una pianta di specie europea, dall' altra parte sarà scritto il nome del premiato col titolo:

INVENTORE delle donNE FEDELI E DELLA FELI

·

CITA CONIUGALE.

L'Accademia ha deeretato che alle spese che occorreranno per questi premi, suppliscasi con quanto fu ritrovato nella sacchetta di Diogene, stato segretario di essa Accademia, o con uno dei tre asini d'oro che furono di tre Accademici sillografi, cioè a dire di Apuleio, del Firenzuola e del Macchiavelli; tutte le quali robe pervennero ai Sillografi per testamento dei suddetti, come si legge nella storia dell'Accademia.

DIALOGO

DI UN FOLLETTO E DI UNO GNOMO.

FOL.

Oh sei tu qua, figliuolo di Sabazio?

Dove si va?

GNO. Mio padre m'ha spedito a raccapezzare che diamine si vadano macchinando questi furfauti degli uomini; perchè ne sta con gran sospetto, a causa che da un pezzo in qua non ci danno briga; e in tutto il suo regno non se ne vede uno. Dubita che non gli apparecchino qualche gran cosa contro, se però non fosse tornato in uso il vendere e comperare a pecore, non a oro e argento; o se i popoli civili non si contentassero di polizzine per moneta, come hanno fatto più volte, o di paternostri di vetro, come fanno i barbari; o se pure non fossero state ravvalorate le leggi di Licurgo, che gli pare il meno credibile.

FOL.

Voi gli aspettate invan: son tulti morti,

diceva la chiusa di una tragedia dove morivano tutti i personaggi.

GNO. Che vuoi tu inferire?

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