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DELLA

LETTERATURA ITALIANA.

SECOLO DECIMOTERZO.

NOTIZIE STORICHE.

Sul finire del secolo XII le città lombarde, fattesi indipendenti colla Pace di Costanza, avevano già cominciato a combattersi le une contro le altre.

Nella Toscana l'imperatore Enrico VI contendeva ai papi il possesso delle terre ch'essi dicevan lasciate dalla contessa Matilde alla Chiesa.

In Roma fino dal 1143, sotto il nome di restaurazione del Senato, erasi stabilito un governo repubblicano indipendente dalla Chiesa, nè i papi avevan potuto più ripigliare e mantenere quella piena autorità alla quale agognavano.

Nel regno di Napoli e di Sicilia l'eredità dei Normanni era passata nella Casa di Svevia pel matrimonio di Enrico VI colla principessa Costanza: la quale, morendo un anno dopo il marito (nel 1198), commise la "tutela di suo figlio Federico al pontefice Innocenzo III.

Dopo la morte di Enrico VI si contesero l'imperio suo fratello Filippo duca di Svevia, e Ottone duca di Brunswich. Ma Filippo morì (nel 1208) assassinato per privata inimicizia da un conte di Wittelsbach; e il pontefice nell'autunno dell' anno seguente coronò imperatore Ottone, quarto di cotal nome.

Ma il sacerdozio e l'imperio non erano stati mai senza guerra dopo i tempi di Enrico IV e di Gregorio VII: però anche Ottone e Innocenzo non tardarono

AMBROSOLI - 1.

a inimicarsi; negando l' imperatore di approvare quanto il papa avea fatto in Roma e nella Romagna a diminuzione dei diritti imperiali, e ricusando altresì di riconoscere la sua sovranità feudale su Napoli e sulla Sicilia. Il pontefice, impotente a combattere un tanto avversario, lo scomunicò, e si volse nel tempo stesso a ridestare nella Germania la fazione degli Hohenstaufen o della Casa di Svevia. Ottone si vide allora costretto a levarsi d'Italia per correre a soffocare l'incendio che lo minacciava oltre l'Alpi; ma trovò che Federico vi era già prima di lui, favorito e seguitato da molti. Ebbe inoltre a combattere col re di Francia, avverso a lui per la sua parentela col re d'Inghilterra; finchè, sconfitto a Bovines, si ritrasse ne' suoi Stati ereditari, dove morì nel 1218.

Federico, già coronato re di Germania fino dall'anno 1212, dopo la morte di Ottone ritornò in Italia: quivi da Onorio III, succeduto a Innocenzo, ricevette la corona imperiale chiamandosi Federico II; e rinnovò in quella occasione le promesse, già fatte a Innocenzo, di non unire la corona di Sicilia e di Napoli con quella della Germania, di lasciare al pontefice il libero possesso di tutti i beni della contessa Matilde, e di andare personalmente alla guerra di Terra Santa.

Con queste condizioni volevano i papi sottrarsi al pericolo di avere un vicino troppo potente, assicurarsi un dominio temporale, e volgere fuor dell' Europa le armi imperiali, provate già lungamente e pericolosamente ostili. Ma Federico non osservò poi le promesse; e soprastato molti anni in Italia, attese a farsi potente abbassando i grandi signori e prelati, e migliorando l'amministrazione del regno nel tempo stesso che la restringeva sempre più nelle sue mani. Dalla Sicilia trasportò nella Puglia ventimila Arabi accomodandoli d'abitazioni e di terre; perchè di loro unicamente poteva fidarsi, che non temevano le maledizioni ecclesiastiche. Arricchì di edifizi le città; molte ne fortificò di torri e bastioni; fece della sua corte una specie di Parnaso dove tutti scrivevano versi, nel tempo stesso che vi erano altamente onorate le scienze. Meditava di effettuare il disegno dell' avo sottomettendosi le città lombarde; e fors' anche di trasferire in Italia la dignità imperiale, come nell'antico suo nido. Fu naturale che avesse nemiche le città indipendenti: le quali segretamente sostenute e instigate da Onorio rinnovarono allora

l'antica Lega Lombarda. Però Federico s'accorse di dovere evitare una lotta della quale non era agevole uscir vittorioso, e riconciliossi col papa facendolo arbitro fra lui e le città collegate. La pace fu stabilita con queste condizioni: che Federico restituisse (come allora dicevasi) la sua grazia alle città; e queste dovessero somministrargli un certo numero di soldati per l'impresa d'Oriente, ch' egli di nuovo promise e di nuovo poi differì; finchè non vi fu costretto dalla scomunica di Gregorio IX creato pontefice nel 1227.

Mentre era assente, i suoi nemici presero animo, e gli si levarono contro. Però egli, composte in Oriente alla meglio le cose, affrettò il suo ritorno; nè mai ebbe sincera amicizia o pace durevole nè col papa nè colle città.

Innocenzo IV in un concilio tenuto a Lione nel 1245 lo dichiarò decaduto dall' imperio; e la lotta durò fino all' anno 1251 in cui Federico morì.

L'erede di Federico fu suo figlio Corrado, già eletto re dei Romani; e per lui teneva il governo di Sicilia e di Napoli Manfredi suo fratello naturale. Questi, al dire di alcuni, per cupidigia di regno aveva soffocato già il padre; dipoi avvelenò Corrado; nè si diede pensiero del figliuolo di lui, Corradino, che doveva esserne erede; affrettando coi delitti e colla discordia la rovina di Casa Sveva. Ma tutto questo è incertissimo.

I papi che in quel tempo si succedettero, scomunicarono Manfredi e gli mossero guerra; ma trovandosi inabili a vincerlo, sostenuto come era dalla fazione ghibellina, chiamarono in Italia Carlo d'Angiò fratello di Luigi IX re di Francia. Costui nel 1265 ricevette da Urbano IV l'investitura del regno di Napoli e di Sicilia. L'anno dopo, Manfredi morì combattendo presso Benevento.

Il giovine Corradino venne dipoi di Germania (dove il padre lo avea lasciato fanciullo) per ricuperare coll'armi l'eredità de' suoi antenati: fu vinto a Tagliacozzo e fuggì travestito; ma cadde nelle mani di Carlo, e finì sul patibolo nell'ottobre del 1268. Così Carlo restò padrone del regno. Ma della sua prosperità e della manifesta sua ambizione ingelosì ben tosto la Corte di Roma. Gregorio X, desideroso di suscitargli un ostacolo, si volse a far rivivere la dignità imperiale vacante dopo la morte di Federico II; sicchè poi nel 1273 fu eletto Rodolfo d' Absburgo.

Quest'imperatore, occupato in continue guerre al di là delle Alpi, non discese mai in Italia: giovò nondimeno al papato per l'opinione comune che, bisognando, non gli mancherebbe d'aiuto; e gli accrebbe anche potenza, concedendo a Niccolò III nel 1279 il disputato possesso delle terre lasciate dalla contessa Matilde.

A Carlo d'Angiò nocevano intanto le cattive sue leggi e i modi altieri e oltraggiosi di tutti coloro che eran venuti di Francia con lui: e queste cagioni, aggiunte al dolore che porta sempre con sè ogni dominazione straniera, diedero origine ad una segreta congiura delle principali famiglie per chiamare al trono Pietro re d'Aragona, o piuttosto sua moglie Costanza figliuola di Manfredi, ed ultima di Casa Sveva. Mentre poi quelle pratiche procedevano lente ed occulte, le incessanti violenze degli Angioini provocarono il popolo ad una subita rivoluzione, conosciuta sotto il nome di Vespri Siciliani perchè ebbe principio al tocco del Vespro addi 30 marzo 1282 dinanzi a una chiesa fuor di Palermo. In pochi giorni furono uccisi per tutta l'isola quanti Provenzali o Francesi vennero alle mani del popolo sollevato; col quale si unirono i grandi, già (come si è detto) disposti a ribellarsi, ed ora desiderosi di volgere a proprio profitto quel movimento. Pare che in questa congiura fosse adoperato principalmente un Giovanni da Procida: il quale, spogliato da Carlo di quanto gli avevano dato gli Hohenstaufen, erasi rifuggito alla Corte aragonese. Una tradizione durata come certissima fino ai di nostri, confondendo la congiura che si veniva preparando dai signori coll' improvvisa sollevazione del popolo, attribuì poi a quest'uomo solo quasi tutto quel grande e terribile avvenimento.

Il re d'Aragona non tardò a venire in campo con intenzione di cacciar gli Angioini da tutto il regno. La guerra per altro durò poi così a lungo, che ne Carlo d'Angiò nè Pietro di Aragona poterono vederla finita: e l'esito fu, che la Sicilia toccasse agli Aragonesi; Napoli con quanto è al di qua dello Stretto, restasse agli Angioini.

Frattanto era morto Rodolfo d' Absburgo senza esser venuto in Italia nè anche a pigliar la corona. Nè ci vennero Adolfo di Nassau e Alberto d'Austria suoi successori. Laonde può dirsi che dopo Federico II, per tutto il secolo XIII, le città d'Italia non ebbero da parte dell'imperio ostacolo alcuno a ben progredire: ma fu

rono impedite dalle proprie loro discordie. I nobili che nel secolo precedente s'erano trasferiti dai castelli nelle città, avevan recate dentro un medesimo cerchio di mura quelle animosità che prima solevano esercitarsi da terra a terra. Il popolo si divise aderendosi agli uni od agli altri di que' potenti; i quali non tardarono poi ad acquistarsi autorità e nome di principi. Così in Milano nel 1241 Pagano della Torre, e poi nel 1247 suo nipote Martino furono eletti a difendere i popolani dai nobili, il primo con nome di Protettore del popolo, il secondo con quello di Anziano della Credenza o del Consiglio maggiore; ma già nel 1263 Filippo fratello di Martino aveva preso il titolo di Podestà perpetuo; dipoi Napo o Napoleone quello di Anziano perpetuo del popolo e Vicario imperiale. Egli tenne dal 1265 al 1277 autorità principesca e la consolidava nella sua famiglia, se non si fosse trovato a fronte di un'altra famiglia più potente e più fortunata, qual fu la famiglia Visconti. La quale, dopo una grande vittoria riportata dall'arcivescovo Ottone (Visconti) sopra i Torriani, fondò una signoria che durò fino alla metà del secolo XV. Di questa maniera tramutaronsi in principati anche i governi liberi di altre città.

La forma repubblicana si mantenne nelle città marittime di Pisa, Genova e Venezia, ed anche in Firenze. Ma Pisa, sconfitta dai Genovesi alla Meloria nel 1284, cessò di poter gareggiare colle altre due, e andò sem pre più decadendo. Genova, potentissima in mare, contese lungamente a Venezia il commercio d' Oriente; ma divisa da interne fazioni, non ebbe quella stabilità di istituzioni e quell'ereditaria sapienza di Stato che son fondamento alla potenza. Venezia non meno agguerrita di Genova, nè meno studiosa di procacciarsi ricchezze, la vinse di lunga mano nella sapienza politica, nella forma e nella stabilità del suo reggimento. Al principio di questo secolo il doge Andrea Dandolo, capo della quarta Crociata, conquistò Zara, ed espugnò Costantinopoli, ottenendo per la repubblica un quartiere di quella città e le isole dell' Arcipelago. Quindi i Veneziani presero Candia e Corfù, si stesero nella Grecia, e cominciarono a intromettersi nelle cose di Terraferma. Sul finire del secolo poi, giudicando che alcune famiglie per ricchezze e per gloria militare diventassero pericolose alla libertà, ricorsero a un rimedio nuovo e animoso, conosciuto sotto il nome di Chiusura del gran Consiglio: perciocchè scris,

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