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Anzi li sembreria sollazzo e gioco
Lo suo splendore, quando lo vedesse.
Ma s'ello lo toccasse in alcun loco,
Ben li sembrara1 che forte cocesse;
Quello d'Amore m' ha toccato un poco,
Molto mi coce: Deo, che s' apprendesse !
Che s'apprendesse in voi, o donna mia,
Che mi mostrate dar sollazzo amando,
E voi mi date pur pena e tormento.
E certo l' Amor fa gran villania,

Che non distrigne te, che vai gabbando;
A me che servo, non dà sbaldimento.

Al contrario di questo Iacopo, sembra che Fra Guittone fosse miglior poeta nei sonetti che nelle canzoni, se veramente appartengono a lui le poesie che gli sono attribuite. Certamente, per quell' età dovrebbe giudicarsi assai bello il seguente sonetto:

Donna del cielo, glorïosa madre

Del buon Gesù, la cui sacrata morte,
Per liberarci dalle infernal porte,
Tolse l'error del primo nostro padre;
Risguarda, Amor con saette aspre e quadre
A che strazio n' adduce ed a qual sorte:
Madre pietosa, a noi cara consorte,
Ritra'ne dal seguir sue turbe e squadre.
Infondi in me di quel divino amore

Che tira l'alma nostra al primo loco,
Si ch'io disciolga l'amoroso nodo.
Cotal rimedio ha questo aspro furore,
Tal acqua suole spegner questo fuoco,
Come d'asse si trae chiodo con chiodo.

un altro sonetto dove il poeta ragiona della morte lo conduce anzi tempo la durezza della donna da mata, trascriverò soltanto le terzine:

Ben forse alcun verrà dopo qualch' anno,
Il qual leggendo i miei sospiri in rima
Si dolerà della mia dura sorte.
E chi sa che colei ch' or non m'estima,
Visto con il mio mal giunto il suo danno,
Non deggia lagrimar della mia morte!

Sembrara. Sembraria, sembreria.

* Sbaldimento. S' interpreta: Letizia, allegrezza.

Nelle Canzoni, come già dissi, riuscì minor poeta che nei Sonetti; tanto minore, che duriamo fatica a credere che quelli e queste uscissero d'un medesimo ingegno. E benchè sia possibile ripescare anche da queste canzoni qua e là qualche gruppo di versi abbastanza felice, generalmente ridondano di bisticci, di frasi contorte e di rime sforzate. Perciò non si addirebbe allo scopo di questo libro, nè alcuno potrebbe ragionevolmente desiderare che io ne trascrivessi qui più che una qualche strofa per saggio:

Tantosto, donna mia,

Com' eo voi vidi, fui d' amor sorpriso;
Nè giammai lo meo avviso

Altra cosa che ciò non divisoe,

E si m'è bon ch' eo sia

Fedele a voi, che in me non trovo cosa

Per ciò contrarïosa,

Chè l'alma e lo saver deletta cioe.

Perchè tutto me doe

Voi, cui più che meo soe.

Meo non son già; chè a far vostro piacere

Volontero isfarei me' in persona

Per far cosa di mene

Che più vi stesse bene;

Chè già non m' osa unqu' altro essere a voglia

Che ubbidir vostra voglia.

E s'io di voi disio cosa altra alcona,

Credo che savvi bona,

E che valor v' accresce in allegranza

Di vostra innamoranza.

Non piaccia a Deo che mai possa movère.

Meno lontano dalla pulita maniera del secolo XIV mostrasi non di rado Fra Iacopone da Todi. Così, per esempio, nella canzone a Maria Vergine:

Porgi soccorso, o Vergine gentile,

A quest' alma tapina,

E non guardar ch' io sia terreno e vile,

E tu del ciel reina;

O stella mattutina,

O tramontana del mondan viaggio,

Porgi il tuo santo raggio

Alla mia errante e debil navicella...

Ricevi, donna, nel tuo grembo bello
Le mie lagrime amare;

Tu sai che ti son prossimo a fratello,
E tu nol puoi negare.

Vergine, non tardare,

Chè carità non suol patir dimora:
Non aspettar quell' ora

Che 'l lupo mangi la tua pecorella.

Ma benchè questo non sia un grado di bellezza poetica molto elevato, bisogna pur confessare che Iacopone non vi si mantiene generalmente: però s'egli da alcuni è preferito a'suoi contemporanei, più che una maggior perfezione di forma, n'è causa una certa ricchezza di idee provenienti da studio e da esperienza d'affari, ed anche un sentimento più profondo e più vivo.

Dal lato della dottrina fu unico, piuttostochè primo, in quel secolo Brunetto Latini, famoso altresì per essere stato maestro dell' Allighieri. Ma la sua maggior opera, che porta il nome di Tesoro e fu considerata come un' enciclopedia di quell'età, è scritta in prosa francese; e il lavoro in versi italiani intitolato il Tesoretto, come poesia, non ha pregi nè d'invenzione nè di stile o di lingua che lo distinguano dai già citati. Un altro lavoro poetico, il Pataffio, fu lungamente attribuito a Brunetto Latini: ora è provato che non gli appartiene; se gli appartenesse, non per questo meriterebbe che se ne citasse qui verun saggio.

Opere da potersi veramente dir letterarie non si trovano se non verso la fine del secolo XIII: perciò le scritture precedenti a Federico II, e nemmanco le poesie di quell' imperatore, de' suoi figli Enzo e Manfredi, di Pier delle Vigne suo segretario e di altri vissuti in quel tempo, e famosi in quella corte, non possono trovar luogo in questo Manuale. Ben è vero che, sotto questo rispetto, dovremmo forse escludere dal nostro libro tutti i poeti che precedettero l'Allighieri e il Petrarca: stimai nondimeno di dover dare qualche saggio delle poesie di Guido Guinicelli e di Guido Cavalcanti, non solo perchè furono lodati singolarmente da Dante, ma perchè in loro si scorgono già le tracce di quella perfezione che si veniva accostando: e nel trascurare affatto i primi fondatori di un'arte v'è una specie d'ingratitudine da cui l'animo naturalmente rifugge. Il Guinicelli fu bolognese: trovasi affermato che nel 1270 insegnava in

Bologna lettere umane: nel 1274 fu mandato in esilio colla fazione de' Lambertazzi alla quale aderiva la sua famiglia, e morì esule nel 1276. Nè molto diversi furono i casi di Guido Cavalcanti fiorentino. Perciocchè egli pure fu cacciato della patria per le discordie civili ond'era agitata al suo tempo; e benchè dopo alcuni anni ottenesse di poter ritornare, morì nondimeno ben tosto (nel 1300) in conseguenza dell'infermità cagionatagli dall' aria insalubre di Sarzana dove lo avevano relegato. Del resto nè l'uno nè l'altro ci fa sentire direttamente o indirettamente questi suoi casi ne' versi che ci rimangono di loro.

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Volendo ragionare

Di così grande affare;

2

Ma scusami ch' io si fortemente

Sento li suoi tormente3 ond' io mi doglio.

--

E' par che da verace piacimento

Lo fino amor discenda,

Guardando quel ch' al cor torni piacente.*
Chè poi ch' uom guarda cosa di talento,
Al cor pensieri abbenda,5

E cresce con disio immantinente;
E poi direttamente

Fiorisce e mena frutto.

1 Ancorch'è. Sebbene falla, erra chi vuol ragionare ec.

2 Scusami che ec. Ma questo mi serve di scusa, che io ec.

3 Tormente. Tormenti.

4 Guardando persona o cosa che riesca piacevole al cuore; o (come dice subito appresso) di talento, cioè cosa che gli talenti o gli piaccia, Al cor ec. Circonda, avviluppa il cuore di pensieri.

Però mi sento isdutto 1

L'amor, crescendo, fiori e foglie ha messe,
E vien la mèsse e'l frutto non ricoglio.
Di ciò prender dolore deve e pianto

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↑ Isdutto. Deviato, deluso; perchè dopo i fiori e le foglie, viene il tempo di mietere e non raccolgo alcun frutto.

2 Per caldura. Per caldo desiderio.

3 Meritato. Rimeritato, ricompensato.

Lo suo pensato. La cosa da lui pensata, il suo pensiero.

5 E

orgoglio.

per ec. E in luogo di pietà (pietanza) e compassione trova solo

Chero. Chiedo, dall' ant. cherere, lat. quærere.

7 A voi ee. A voi che, per quanto a me pare (al mio parvente), potete fare tutto ciò che vi piace.

Allotta, per Allora, voce antiquata.

9 Spesso avviene che il servire con animo volonteroso non è rimeri tato (allotta che) quando chi serve aspetta il premio; ma viene poi un tempo ch'è accolto e rimunerato della sua servitù. Questa interpretazione è pel Nannucci, e la fonda sul provenzale escoill che significa accoglienza. Nel resto della canzone, dove tutti e due commentiamo colle stesse parole, siami permesso avvertire che il mio Manuale precedette di circa dieci anni l'opera del Nannucci.

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