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Chiesa, e a morte del re della Magna. » L'aquile levarono dalle porte, e dove erano intagliate e dipinte; ponendo pena a chi le dipignesse, o le dipinte non spegnesse.

Lo imperadore, schernito da' Fiorentini, si partì di Pisa, e andonne a Roma, dove giunse a dì 1 di maggio 1312, e onoratamente fu ricevuto come signore, e messo nel luogo del senatore.' E intendendo le ingiurie gli eran fatte dai Guelfi in Toscana, e trovando i Ghibellini che con lui s'accostavano di buona voluntà, mutò proposito e accostossi con loro: e verso loro rivolse l'amore e la benivolenzia che prima avea co' Guelfi: e proposesi di aiutarli e rimettergli in casa sua, e i Guelfi e'Neri tenere per nimici, e quelli perseguitare.

I Fiorentini sempre teneano ambasciadori a' piè del re Ruberto, pregandolo che colla sua gente offendesse lo imperadore, promettendoli e dandoli danari assai.

Il re Ruberto, come savio signore e amico de' Fiorentini, promise loro d'aiutarli, e così fe: e allo imperadore mostrava di confortare e ammunire i Fiorentini gli fussono ubbidienti come a loro signore. E come senti che lo imperadore era a Roma, di subito vi mandò messer Giovanni suo fratello con trecento cavalli, mostrando mandarlo per sua difesa e onore della sua corona; ma lo mandò, perchè s' intendesse con gli Orsini nimici dello imperadore, per corrompere il senato, e impedire la sua coronazione: che ben la intese.*

Mostrando il re grand' amore allo imperadore, gli mandò suoi ambasciadori a rallegrarsi della sua venuta, facendoli grandissime profferte, richieggendolo di parentado, e che li mandava il fratello per onorare la sua coronazione e per suo aiuto, bisognando.

Rispose loro il savissimo imperadore di sua bocca: « Tarde sono le profferte del re, e troppo tostána è la venuta di messer Giovanni. » Savia fu la imperiale risposta, chè bene intese la cagione di sua venuta.

A di primo di agosto 1312 fu incoronato in Roma Arrigo, conte di Luzimborgo, imperadore e re de' Romani nella chiesa di San Giovanni Laterano da messer Niccolaio cardinale da

1 Senatore. I Romani conservarono questa Magistratura gran tempo, ma il più delle volte era un semplice nome.

2 In casa sua. La grammatica vorrebbe: in casa loro; ed anche sarebbe più chiaro: cosi com'è, potrebbe anche intendersi della casa di Arrigo. 3 Ruberto, o Roberto re di Napoli, agognava al dominio d'Italia. Che ben ec. Arrigo conobbe la vera intenzione di Roberto, Tostána. Subitanea; senza aspettar richiesta.

Prato, da messer Luca dal Fiesco cardinale di Genova, e da messer Arnaldo Pelagrù cardinale di Guasconia, di licenzia e mandato di papa Clemente V e de' suoi cardinali.

IL NOVELLINO.

Appartiene al secolo XIII una raccolta di cento novelle che si credono scritte (non si sa da chi nè da quanti) tra il 1250 e il 1300, e riunite più tardi in un volume denominato Il Novellino o Il Cento novelle. È probabile che alcuni di questi racconti siano stati scritti non solo dopo il tempo qui sopra indicato, ma ben anche dopo l' età del Boccaccio: nella maggior parte per altro è manifesta l'impronta dell' antichità.

Come due nobili Cavalieri s' amavano di buono amore.

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Due nobili cavalieri s' amavano di grande amore: l'uno avea nome messere G..., e l'altro messere S... Questi due cavalieri s' aveano lungamente amato. L'uno di questi si mise a pensare, e disse così: Messere S... ha uno bello palafreno, se io li le chieggio, darebbelm' egli? E così pensando, l'uno cuore gli dicea, sì darae; e l'altro gli dicea, non darae. E così tral si e 'l no, vinse il partito che non gliel darebbe. Il cavaliere fu turbato, e cominciò a fare strano sembiante, ed ingrossò contro all'amico suo. E ciascuno giorno lo pensiere cresceva, e rinnovellava il cruccio. Lasciolli di parlare, e volgeasi, quando elli passava, in altra parte. Le genti si maravigliarono, ed elli medesimo si maravigliava forte. Uno giorno avvenne, che messere S.., il quale avea il palafreno sotto, non poteo più sofferire; andò a messere G.., e disse: Amor mio, compagno mio, perchè non mi parli tu? E perchè se' tu crucciato meco? Elli rispose: Perch' io ti chiesi lo palafreno tuo, e tu lo mi negasti.

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1 Di licenzia e mandato. Con permissione e commissione di Clemente V the risiedeva in Avignone.

2 Li le. Gliele; usato dagli antichi in vece di glielo e gliela indistinlamente.

3 Vinse ec. Prevalse in lui l'opinione.

Ingrosso. Ingrossare, stare ingrossato, star grosso contro uno dipingono il contegno di chi cessa con qualcuno dalla consueta dimestichezza senza dirgliene la cagione.

Lasciolli di parlare. Lasciò, cessò di parlargli. Elli per egli, tome lasciolli per lasciogli. Maniere antiquate.

6 Elli medesimo. Messer S., a cui G. non parlava più.

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E quelli rispose: Questo nè fu giammai, nè può essere. Lo pa. lafreno sia tuo, e la persona; ch' io t' amo come me medesimo. Allora lo cavaliere si riconsigliò, e tornò in su l'amore ed in su l'amistade usata; e riconobbesi che non avea ben pensate. Come un giullaro si compianse dinanzi ad Alessandro d'un cavaliere, al quale elli avea donato per intenzione che 'l cavaliere li donerebbe ciò che Alessandro li donasse.

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Stando lo re Alessandro alla città di Giadre con moltitudine di gente ad assedio, un nobile cavaliere era fuggito di prigione; ed essendo poveramente ad arnese, misesi ad andare ad Alessandro, che gli donasse; acciocchè lo mondo parlava, che donava larghissimamente sopra gli altri signori. Andando per lỏ cammino trovò uno uomo di corte nobilmente ad arnese. Domandollo dov' egli andava. Lo cavaliere rispose: Vo ad Alessandro, che mi doni; acciocchè io possa tornare in mia contrada onoratamente. Allora lo giullaro rispose e disse: Che vuogli tu che io ti dea, e tu mi dona ciò che Alessandro ti donerà? Lo cavaliere rispose: Donami cavallo da cavalcare, e somieri e robe e dispendio convenevole a ritornare in mia terra. Lo giullaro le gli donò, e in concordia cavalcâro ad Alessandro, lo quale aspramente avea combattuto la città di Giadre, ed era partito dalla battaglia, e faceasi sotto un padiglione disarmare. Lo cavaliere e lo giullaro si trassero avanti. Lo cavaliere fece la domanda sua ad Alessandro, umile e dolcemente. Alessandro non gli fece motto niente, nè non 10 fece rispondere. Lo cavaliere si partio dal giullaro, e misesi per lo cammino a ritornare in sua terra. Poco dilungato il cavaliere, avvenne che li nobili cavalieri di Giadre recâro le chiavi della città ad Ales

1 E la (mia) persona.

2 Si riconsigliò. Rinsavi.

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3 Poveramente ad arnese. Mal vestito. Poco appresso: Nobilmente ad arnese. Vestito nobilmente.

Che gli ec. Affinchè gli donasse. Acciocchè vale qui Perciocchè;

ma è disusato affatto.

Domandollo. Chi domanda è l'uomo di corte; ma per la grammatica si crederebbe il contrario.

6 Giullare o Giullaro, Giocolare, Buffone, Uomo di corte, persona piacevole e motteggevole che frequentava le corti.

7 Dispendio ec. Tanto che mi basti per tornare onorevolmente al mio paese.

8 Le gli dono. Gli donò le cose domandate.

9 Umile e dolcemente. Di due avverbi terminati in mente usarono al cuni antichi di troncare il primo.

10 Nè non. Il non è superfiuo; pur trovasi questa ridondanza anche in qualche moderno.

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sandro, con pieno mandato d' ubidire li suoi comandamenti, come a lor signore. Alessandro allora si volse inverso i suoi baroni e disse: Dov'è chi mi domandava ch'io li donassi? Allora fu tramesso2 per lo cavaliere ch' addomandava il dono. Lo cavaliere venne; Alessandro parlò e disse: Prendi, nobile cavaliere, le chiavi della nobile città di Giadre, chè la ti dono volentieri. Lo cavaliere rispose: Messere, non mi donare cittade: priegoti che tu mi doni oro o argento o robe, come ti sia in piacere. Allora Alessandro sorrise, e comandò che gli fossero dati due mila marchi d'ariento; e questo si scrisse per lo minore dono ch'egli facesse unque mai. Lo cavaliere prese li marchi e diègli al giullaro. Lo giullaro fu dinanzi ad Alessandro, e con grande istanza addomandava che gli facesse ragione; e fece tanto che fece sostenere lo cavaliere, e 'l propose così: Messere, io trovai costui in cammino: domandâlo ove andava e perchè. Dissemi che ad Alessandro andava perchè gli donasse. Con lui feci patto; donâgli; ed egli mi promise di darmi ciò che Alessandro gli donasse: ond' egli m'ha rotto il patto; chè ha rifiutato la nobile città di Giadre, e preso li marchi per ch' io dinanzi alla vostra Signoria domando, che mi facciate sodisfare di tanto, quanto vale più la città che' marchi. Allora il cavaliere parlò; e primieramente confessò i patti pienamente, poi disse: Ragione vuole quegli che mi domanda: egli è giullaro, e in cuore di giullaro non puote discendere signoria di cittade. Lo suo pensiero fu d'argento ed oro; e la sua intenzione fu tale, ed io pienamente fornita l'ho: onde la tua Signoria proveggia nella mia diliveranza, secondo che piacerà al tuo savio consiglio. Alessandro e' suoi Baroni prosciolsero il cavaliere, e commendaronlo di grande sapienza.

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1 Con pieno mandato ec. Con commissione di ec.

Fu tramesso per ec. Fu mandato a cercare il cavaliere.

3 Ariento per Argento e Unque mai per Giammai non s' usano più. 4 Sostenere. Che gli fosse impedito di partirsi.

5 Domandálo. Domandailo, lo (o gli) domandai ec. —

donágli per Gli donai.

Per ch' io. Per che, per la qualcosa io ec.

7 Che'. Che i.

8 Diliveranza. Liberazione. Voce antiquata.

Così appresso

AMBROSOLI. -l

Qui conta d' una bella sentenzia che diè lo schiavo di Bari tra uno borghese ed uno pellegrino.1

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Un borghese di Bari andò in romeaggio, e lasciò trecento bisanti a un suo amico, con queste condizioni e patti: Io andrò, siccome a Dio piacerà; e s'io non rivenissi, darâgli per l'anima mia; e s'io rivengo a certo termine, quello che tu vorrai mi renderai, e gli altri riterrai. Andò il pellegrino in suo viaggio; rivenne al termine ordinato; domandò li bisanti suoi. L'amico rispose: Come sta il patto? Lo romeo lo contò appunto. Ben dicesti, disse l'amico. Te', dieci bisanti ti voglio rendere; i dugento novanta mi tengo. Il pellegrino cominciò a crucciarsi, dicendo: Che fede è questa? Tu mi tolli il mio falsamente. E l'amico rispose soavemente: Io non ti fo torto; e s'io lo ti fo, sianne dinanzi alla Signoria. Richiamo ne fu. Lo schiavo di Bari ne fu giudice: Udite le parti, formò la quistione; cnde nacque questa sentenza, e disse così a colui che ritenea i bisanti: I dugento novanta ne vuogli, rendili; e li dieci che tu non volêi, ritienli; perocchè il patto fu tale: Ciò che tu vorrai mi renderai.

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Qui conta d'un novellatore di messer Azzolino. 8

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Messer Azzolino avea un suo novellatore il quale faceva favolare quando erano le notti grandi di verno. Una notte avvenne che 'l favolatore avea grande talento di dormire,10 e Azzolino il pregava che favolasse. Il favolatore incominciò a dire una favola d' uno villano ch' avea suoi cento bisanti: andò a

1 Nell'anno 925 fu Catapano, e perciò anche giudice supremo, in Bari Michael Schlavus, un Michele Sclavo, forse così nominato dalla sua origine schiavona. Devo questa notizia fondata su prove non dubbie alla cortesia del signor A. Nova. professore dell' Università di Pavia. Così cessa quella maraviglia nella quale ci lasciaron finora gli editori del Novellino, che uno schiavo fosse giudice in appello, superiore alla Signoria.

2 Romeaggio dicevasi l'andare per divozione a Roma; Romeo chi vi andava. 3 Bisante o Bisanto. Moneta dell'imperio bizantino.

Lo contò appunto. Ridisse esattamente il patto che avevan fra loro.

5 Tolli. Togli; dal lat. tollere, è forma rimasta ai soli poeti.

strato.

6 Sianne. Siamone, Andiamo a cagione di ciò alla Signoria, al MagiRichiamo (più spesso dicesi Reclamo), Lamentanza, Querela fatta al giudice od a qualsiasi superiore.

7 Ne vuogli. Che tu vuoi avere dei trecento a te affidati.

Non volevi.

8 Azzolino. Ezzelino da Romano.

Non voléi.

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Favolare. Raccontar favole.

Favolatore. Chi racconta favole.

10 Talento di dormire. Voglia di dormire.

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